Quando
ti abbiamo visto?
di Antonietta Potente
Intervento
scritto in occasione della mostra
"Assenza invadente del divino",
tenutasi nel 2000 a Castel S.Angelo, Roma.
Chi ci ricorda
l'assenza del divino? Chi ci sospinge a riflettere sul Dio nascosto e silenzioso?
Forse la malattia, la morte, la guerra o l'inquieto linguaggio della natura
devastante; la solitudine vissuta nel segreto o forse l'intensa ricerca attraversando
gli opachi sentieri della vita o, ancora, la profezia illuminata da indescrivibili
bagliori di luce.
Nella nostra tradizione occidentale fissata negli scritti filosofici e teologici,
sono precisamente i drammi esistenziali che l'umanità vive o che la creazione
soffre, a riportarci alla memoria l'assenza di Dio, il suo silenzio, il suo
sonno.
Ma ci sono altri mondi, altre storie, altre culture, che il Dio nascosto non
lo rievocano solo nei drammi esistenziali della vita, quanto piuttosto nel trascorrere
quotidiano del tempo. Ci sono luoghi sconosciuti e segreti tranquillamente dimenticati
dal mondo postmoderno e ufficiale, abitati da segreti gesti e profonde sapienze,
dove l' assenza coincide con la misteriosa presenza, dove la quotidianità
della vita è così forte e irrompente che non lascia spazio al
Dio delle questioni filosofiche.
È bello scoprire come in alcune culture andine, per esempio, ci sono
gesti rituali che si ripetono nei momenti di festa così come nei momenti
più drammatici della vita; il linguaggio sacramentale e simbolico è
uguale, la vita è preziosa, indipendentemente da ciò che questa
vita rivela o dal linguaggio che da essa emerge.
Ci sono luoghi, momenti, gesti, leggere brezze, odori, rumori o suoni, riflessi
e ombre che non si possono descrivere; solo si percepiscono, solo abitano, dimorano
o, semplicemente, passano. Il Dio della vita è più simile a questi
sfuggenti attimi o fedeli e silenziose presenze, che all'arrogante onnipotenza
che le teologie e le filosofie religiose occidentali hanno voluto narrarci,
creando in noi, e nella storia, una indiscutibile dicotomia.
Nella lunga peregrinazione della fede, i giudizi dogmatici ed etici partoriti
nei laboratori della teologia ufficiale ci hanno reso estranei agli innumerevoli
e sfuggevoli passaggi del Dio della vita, rendendoci estranei alla stessa vita.
È molto eloquente al riguardo il libro biblico di Giobbe.
Gli "stucchevoli" amici teologi, i "pesanti consolatori"
(Giobbe 16, 2 "Ne ho sentite già molte di cose simili! Siete tutti
consolatori pesanti") che intervengono nel suo silenzioso dramma, sono
lo specchio di chi ha fatto di Dio un impeccabile giudice e un veridico arbitro,
ma mai una 'presenza'. Nella loro fede canonica e dogmatica, difendono il Dio
onnipotente e 'sopra ogni cosa', ma non parlano mai del divino che 'sta dentro'.
L' affanno religioso di definire Dio, per collocare noi stessi dalla parte della
verità ha silenziato per secoli e, a volte, continua a silenziare, il
misterioso gioco e incontro di Dio con i popoli e con la creazione.
Così la teologia, l'etica, la spiritualità, ci hanno mantenuto
lontano, hanno mantenuto lontane infinite categorie di persone e popoli. Per
avvicinarci a Dio si sono inaugurati i molteplici rituali della purificazione,
per renderci consapevoli che il Dio della vita non sta 'in ogni luogo' o che,
se ci sta, è solo per giudicare e coglierci di sorpresa.
Ma questo, per fortuna, non ha impedito e non impedisce alla nostalgia di Dio
e alla segreta e indescrivibile nostalgia dell'umanità e della creazione,
di incontrarsi in una profonda sete e in un profondo desiderio.
Oggi il nostro desiderio, la nostra sete, ci porta più lontano; e ci
chiede di uscire da questo circolo che chiude la nostra fede nell'angustioso
dilemma della storia divisa in due tra sacro e profano; la storia abitata o
quella disabitata da Dio.
C'é una sola storia, così come c'é un solo Dio che, secondo
la tradizione biblica e le antiche tradizioni dei popoli, non mostra il suo
volto ma solo i misteriosi sentieri dove cammina (Esodo 33, 20-23 Il Signore
soggiunse a Mosé: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché
nessun uomo può vedermi e restare vivo". Poi aggiunse: "Ecco
un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia
gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò
con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e
vedrai le mie spalle, ma il mio volto non può essere visto" ).
Il mistero che molte volte genera scandalo nelle nostre vite abituate a conoscerlo
tutto e a possederlo, è precisamente questa intensa dialettica tra assenza
e presenza: il Dio della vita piú si percepisce assente più è
presente, abita e dimora, ma non per essere trattenuto, visto, interpretato
e posseduto.
Facendo ancora memoria del libro di Giobbe, questo si ritraduce nel cantico
della nostalgia divina del Dio 'non visto' o 'non riconosciuto' solo perché
noi non stiamo presenti nella storia, così che la sua assenza è
la nostra assenza o, a volte, la nostra arrogante presenza che non vede (Giovanni
9, Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste colpa, ma siccome
dite 'noi vediamo', il vostro peccato rimane"), non ode, camminando dietro
modelli e schemi inventati o ripetuti solo per renderci sicuri:
Dove stavi tu quando
io fondavo la terra?(...)
Chi genera le gocce della rugiada?
Che utero ha dato alla luce il cielo?(...)
Sei forse tu chi prepara la preda alla leonessa e
sazia la fame dei suoi piccoli?
Sai come si moltiplicano le camozze e hai contato
i giorni del parto delle cerve? (Giobbe 38;39).
Ma questo è
lo stesso cantico che Gesù di Nazareth raccoglie e trasforma in un grido,
perché gli amici/amiche imparino: "Quando ti abbiamo visto?"
(Matteo 25,31-44 e in particolare: "Signore, quando mai ti abbiamo visto
affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo
assistito?" Ma egli risponderà: "In verità vi dico:
ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più
piccoli, non l'avete fatto a me").
Questa è la domanda mistica che ci accompagna lungo cammini storici personali,
sociali, ecclesiali, e che ci sospinge a guardare la realtà abitata da
infinite presenze, testimoni della nudità del Dio della vita che ogni
volta torna a discutere con le nostre teologie e filosofie onnipotenti e le
nostre esistenze ancora troppo preoccupate di sapere e di guardarsi, senza aver
imparato a guardare.
Questa è l'assenza che rivendica riconoscimento lungo i cammini storici
dell'umanità.