Il
mio primo ritorno al passato a Terezin
di Carola Cohn
Alcune settimane
fa Marcello Pezzetti, storico del C.E.D.E.C. (Centro di documentazione della
Shoah di Milano), mi chiamò per chiedermi se ero disposta ad andare a
Terezin con lui, ai primi di novembre, per partecipare a un documentario che
il regista Ruggero Gabbai doveva girare sul luogo per Mediaset e che poi sarebbe
stato trasmesso il 27 gennaio 2004.
La mia prima reazione fu di shock, sgomento e paura. Dopo che Marcello mi rassicurò
dicendomi che sarebbe rimasto tutto il tempo con me, iniziai a prendere in considerazione
la proposta. Giunsi alla conclusione che, visto che il mio primo ritorno a Berlino
per partecipare al gruppo di dialogo di One by One, nonostante l'enorme difficoltà,
mi aveva permesso un confronto positivo con il passato - come ho descritto ne
"Il mio viaggio di trasformazione"(1) - avrei dovuto affrontare
il blocco emotivo ed intraprendere anche questo nuovo ritorno al passato come
un altro ostacolo ancora da superare.
Nonostante avessi preso la decisione, i timori si sono manifestati attraverso
un "lapsus": dovendo arrivare all'aeroporto molto presto, misi la
sveglia alle 5. Dopo una notte quasi insonne, quando sentii la sveglia e la
guardai mi accorsi che invece l'aveva messa alle 6, rischiando così di
perdere il volo! Dopo una corsa pazzesca in taxi, nonostante il tentativo inconscio
di sabotaggio, alla fine riuscii a partire.
Una delle paure riguardava i miei "buchi di memoria": temevo che,
se avevo "dimenticato", poteva diventare rischioso disfare la "repressione"
e affrontare ciò che avevo "dimenticato" di Terezin.
Mi sono fatta coraggio pensando a ciò che Shakespeare dice nel Macbeth:
"È più difficile sopportare delle immagini orrende che affrontare
una realtà orribile". E in effetti è stato proprio cosi:
la realtà odierna di Terezin è stata molto più facile delle
mie orrende immagini.
Marcello mi accolse all'aeroporto di Praga e poi mi fece da cicerone durante
un giro turistico di questa magnifica città. Il tempo era bellissimo,
pieno di sole e non troppo freddo, una bella e inattesa sorpresa per novembre.
Stranamente riconobbi il ponte Carlo e il castello Hradcin: quando avevo visitato
Praga con mia famiglia avevo 5 o 6 anni. Questo dimostra che la mia parziale
amnesia è collegata soltanto a situazioni traumatiche.
Molto presto il mattino seguente, con la troupe e l'attrezzatura per le riprese
ci dirigemmo su due macchine verso la stazione.
Ma lungo la strada perdemmo di vista il nostro "pilota" ceco, per
raggiungerlo saltammo un semaforo rosso e venimmo subito fermati dalla polizia.
Dopo una mancia di 4000 corone, ci lasciarono proseguire! Arrivammo che il treno
stava per partire: ci mettemmo a gridare che dovevamo salire e il treno ci aspettò,
senza mance questa volta!
Con Marcello e tre cameraman salimmo mentre gli altri proseguirono con le due
macchine. Con mio sgomento, l'intervista con Marcello e le riprese iniziarono
già durante il viaggio in treno: un viaggio ben diverso da quello da
Berlino in un carro bestiame, sigillato, verso una destinazione sconosciuta,
di tanto tempo fa, nel lontano giugno1942.
Marcello iniziò l'intervista chiedendomi della mia vita a Berlino e di
quale fu la mia percezione dell'ascesa del nazismo. Parlai del nostro background
per poi ricordare vari e ben nitidi episodi su ciò che significò
per me essere una bambina "tedesca" assimilata, che si accorge d'essere
ebrea dopo il 1933: la proibizione di giocare con una compagna di scuola a causa
del mio cognome; la volta che venni dichiarata "ebrea indesiderabile"
(unerwuenscht), proprio come era già scritto davanti a tanti negozi;
l'esclusione dall'esibizione ginnica della mia scuola in occasione dei Giochi
Olimpici; una tremenda parata antisemita nel centro di Berlino che passava tra
gli applausi della folla. Solo per menzionare alcuni esempi del crescendo senza
fine da cui non c'era scampo per chi non era riuscito a emigrare in tempo.
Dopo un'ultima serata di musica da camera a casa nostra, fummo denunciati. Il
giorno dopo arrivò il temuto bussare alla porta della Gestapo che cercava
mio padre, che però non era in casa. Poco dopo venimmo a sapere che era
stato portato nella prigione della Gestapo ad Alexanderplatz, nel centro di
Berlino, ma senza riuscire a sapere se era ancora in vita. Pochi giorni dopo
venne l'ordine di preparare una piccola valigia a testa e venimmo portati al
centro di raccolta per i trasporti. Lì ho rivisto mio padre. Il sollievo
nel trovarlo ancora in vita fu talmente grande che prese il sopravvento sull'orrore
del viaggio in carro bestiame, verso una destinazione sconosciuta che, dopo
3-4 giorni di viaggio, si rivelò essere Theresienstadt, il "ghetto
per i privilegiati".
In effetti sembrava esserlo, perché non si vedevano né SS con
i cani né il bagliore dei forni crematori; dei prigionieri ebrei con
la stella gialla in evidenza ci accompagnarono al nostro nuovo indirizzo: stalla
n° 4, nella caserma Bodenbacher.
Ritornando in quel luogo adesso, mi era impossibile riconnettere ciò
che ricordo con quello che vedevo intorno a me, tranne che per i bastioni delle
mura attorno al ghetto, dove una volta c'erano gli orti. Lì alcuni ragazzi
dovevano lavorare sotto il controllo delle SS, senza mai poter mangiare nemmeno
un pomodoro o una carota.
Giungemmo in un piccolo villaggio di provincia con la piazzetta centrale alberata
e con un prato, circondata da casette con tendine bianche ed inamidate alle
finestre; ma non potevo riconoscerla. Andammo in cerca di un'altra piazzetta
che pensavo di ricordare: più piccola, pavimentata e senza alberi, circondata
dalle caserme, ma non riuscii a trovarne una che assomigliasse ai miei ricordi.
Passando, vedemmo in una delle baracche, tutta ripulita, il museo, dove poi
andammo più tardi.
Ci fermammo in un piccolo e malandato ristorantino sulla piazza per prendere
un caffè e per andare al bagno. Le toilette sporche e maleodoranti mi
fecero ricordare la terribile puzza delle latrine, adesso non più in
evidenza. Proseguimmo per la caserma Dresdener, quasi totalmente in rovina e
chiusa, ma venne aperta per noi. Dentro c'era il grande cortile, che fu utilizzato
per le riprese della partita di calcio per il film propagandistico: "Hitler
regala una città agli ebrei". Non ricordavo nulla, tranne ciò
che avevo visto in uno spezzone di quel film qualche anno fa. Nel cortile c'era
anche una grande piscina blu e vuota, sono sicura che non esisteva all'epoca.
Probabilmente fa parte del progetto di convertire la Dresdener in un bell'albergo
per turisti!
Parte della mia intervista si svolse in questo cortile, adesso alberato, davanti
alle finestre rotte. Poi andammo al piccolo e malridotto negozietto di libri
dove chiesi informazioni per trovare la Bodenbacher Kaserne. L'impiegato negava
l'esistenza di un posto con quel nome. Cercando in una delle piccole guide,
trovai che effettivamente la Bodenbacher non era indicata sotto questo nome,
ma un'indicazione spiegava come una volta avesse avuto questo nome, ma che poi
era cambiato; non ricordo il nuovo nome. Ci recammo lì, perché
volevo rivedere la stalla n° 4, il nostro primo indirizzo a Terezin.
Ma una volta arrivati, vidi che, a destra e sinistra dell'entrata, dove avrebbero
dovuto trovarsi le stalle, c'erano degli ampi locali in costruzione: ancora
un altro albergo?
Poi visitammo il Museo, in una caserma completamente rinnovata e pulita, molto
diversa delle altre baracche. All'interno, lo stanzone ricostruito di una baracca
aveva poco a che fare con ciò che ricordo della nostra sistemazione nel
Kinderheim L.414. Si, c'erano i soliti letti doppi a castello di legno a 3 piani,
però ognuno con 2 o persino 3 scale a pioli; ai lati dei letti c'erano
addirittura dei ripiani, altri erano incassati nei muri con sopra delle stoviglie;
c'era un tavolo con sedie e panchine, lavabi, un secchio per l'acqua più
un catino: tutte cose che noi non avevamo mai avuto. Guardando più da
vicino le valigie sugli scaffali, mi sono accorta che avevano nomi ed indirizzi
cechi; da ciò immaginai che si trattava di una baracca per i Cechi, evidentemente
in grado di organizzarsi con gli attrezzi necessari molto meglio di noi, che
non avevamo mai potuto avere niente del genere. Perciò questa ricostruzione
non è per nulla rappresentativa delle condizioni generali di vita nel
ghetto, ma mostra solo una situazione atipica di privilegio!
Da lì andammo a vedere il "teatro" che si trovava in uno stanzone
con 3 pupazzi a misura d'uomo in costume. Dei manifesti sui muri spiegavano
che il "teatro" e il "cabaret" esistevano sin da 1941! Da
quello che ricordo e so, queste attività iniziarono soltanto nel 1943,
in occasione dei preparativi per l'ispezione della Croce Rossa e dell'imbellimento
del ghetto (Stadtverschoenerung) prima girarvi il film di propaganda. Ma mi
chiedo adesso se i prigionieri cechi in qualche modo avessero avuto un trattamento
più "privilegiato" rispetto a noi.
Comunque mi sembra che persino il Museo stia perpetuando il mito di un'esistenza
"privilegiata" nel ghetto, privo com'è di adeguate spiegazioni
sulla differenziazione di trattamento a Terezin. Da nessuna parte ho visto notizie
o statistiche sulle epidemie che decimavano il ghetto o notizie dei trasporti
e di tutto ciò che terrorizzava la nostra esistenza. Tanto meno informazioni
sul fatto che Terezin era un campo di transito, verso la "soluzione finale"
nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau.
Purtroppo non abbiamo avuto tempo per andare a vedere i disegni e le poesie
dei bambini di Terezin, che hanno descritto la realtà del terrore del
tifo, della fame, dei trasporti e della morte che minacciavano tutti noi.
Gabbai e i suoi collaboratori hanno anche intervistato e filmato la pittrice
ceca Weissova nella sua casa a Praga, dove ha potuto far ritorno subito dopo
la liberazione. Devo confessare che ho avvertito un senso di invidia quando
sentii parlare della restituzione immediata - evidentemente possibile soltanto
nella Repubblica cecoslovacca d'allora.
L'unico posto che mi è apparso un degno memoriale di Terezin, è
stato il cimitero situato fuori dalle mura del ghetto, di fronte alla Piccola
fortezza, usata dalla Gestapo per gli interrogatori e le fucilazioni. Il cimitero
è diviso in due sezioni: una per i cristiani, contraddistinta da una
grande croce, e l'altra per gli ebrei con un'enorme Stella di Davide. Tutte
le tombe identiche e ben curate hanno targhette con i nomi e sono circondate
da piantine di rose.
Siamo arrivati lì durante un tramonto meraviglioso; il sole si tingeva
di rosso e la grande Stella di Davide era riflessa contro il muro della Piccola
fortezza Per me questo ha rappresentato un degno memoriale del passato storico,
dimenticato e spesso negato, di Terezin.
(1) vedi
Buone Notizie 2/2001, p. 27
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