Il lutto per il mio Maestro
di Jarvis Jay Masters

"Nel braccio della morte, la paura più prossima è quella della propria morte.
Questa può divorarti tanto che tutti gli altri possono apparirti immortali.
Ti sembra garantito che tutti quelli che ami là fuori ti sopravviveranno."


Non molto tempo dopo la notizia della morte di Rinpoche, forse una settimana, sono stato scortato alla cabina delle visite. Mi sono seduto e guardavo attraverso il vetro cercando di indovinare chi potesse essere il mio visitatore. Chi si era sobbarcato per me tutte le complicazioni attraverso cui questa prigione costringe a passare per fare una visita? I miei pensieri vagavano tra le varie persone che non vedevo da un po'. E mi scesero le lacrime dagli occhi quando mi comparì l'immagine di Chagdud. Desideravo che potesse essere lui a farmi visita. Poi, mi resi conto che la sua presenza fisica non avrebbe mai più girato l'angolo e proseguito verso il vetro come aveva fatto tante volte.
Io lo venero come maestro e anche come padre. Pensai a tutti gli ostacoli che aveva superato per riuscire a penetrare in questo posto a farmi visita, le ore che aveva dovuto sottrarre a innumerevoli altri, ore che avrebbe potuto spendere in un auditorium pieno di persone desiderose di prendere rifugio nella sua presenza e nei suoi insegnamenti. Al colmo della mia tristezza, riconobbi quant'ero stato fortunato che lui fosse entrato a San Quentin per sedere con me, all'altro lato di questo stesso vetro di fronte a me. Negli ultimi anni, con tutte le sue malattie, Chagdud, era scivolato sulla sua sedia a rotelle dentro la stanza delle visite. È stato lui a farmi trovare il mio sentiero spirituale.
Quel giorno, aspettavo l'arrivo del mio visitatore, guardando fuori dal vetro della finestra delle visite. Passò mezz'ora e cominciai a chiedermi se il mio visitatore avesse cancellato la visita, ma rimasi, sperando nel suo arrivo. Tutti i visitatori degli altri reclusi erano già lì e potevo sentire le conversazioni che si svolgevano intorno a me.
Quel giorno io e il mio amico Russell eravamo gli unici due a essere stati scortati dall'Adjustment Center alla stanza delle visite. Anche Russell è nel braccio della morte e lo conosco da circa dieci anni. Mi aveva detto che aspettava la più giovane delle sue sorelle, me la voleva far conoscere, ma lei mi era passata davanti senza che la notassi, e ora lei e Russell erano già nella cabina delle visite vicino a me. Potevo sentire la voce forte di Russell parlare nel ricevitore del telefono a muro. Stava dicendo alla sorella di non portare alla visita la madre. Alla sorella dovevano essere venuti i nervi perché la sua voce era alta e seria, quasi arrabbiata. Il suo scatto catturò la mia attenzione.
Uno dei più profondi rammarichi con cui convivo è di non aver mai visto mia madre durante i primi sette anni della mia permanenza qui, quand'era ancora viva. Per di più, avevo appena pensato a Rinpoche e desiderato di poterlo rivedere.
Dunque, ero proprio preso al laccio dalle parole di Russell. Perché lui, di alcuni anni più vecchio di me, forse sui quarant'anni, non voleva che sua madre gli facesse visita? Più lo sentivo dire alla sorella che a nessuna condizione avrebbe mai e poi mai accettato che sua madre gli facesse visita e più sentivo lo struggente desiderio di vedere la faccia di mia madre.
La voce di Russel diventava sempre più alta: "Non portare mai la mamma qui. Se lo fai, abbiamo chiuso! È tutto! Non ti rivolgerò mai più la parola! Preferisco essere messo a morte piuttosto che la mamma mi veda così." Pensai alle persone amate che erano morte mentre io ero qui, senza rivederli perché o io o loro pensavamo che sarebbe arrivato il momento giusto, un momento diverso, senza un vetro tra di noi.
Quel giorno, non arrivò nessun visitatore per me e così la mia mente fu completamente catturata dal dialogo della cabina vicina. E più Russell diventava insistente, e più profondamente crollavo, precipitando nei ricordi e nei rimpianti. Sapevo che per tutte le lacrime sparse e il profondo dolore che avevo provato per l'occasione perduta di guardare negli occhi di mia madre, avevo bisogno di parlare con Russell il prima possibile. Anche se viviamo in raggi e cortili diversi, calcolai di potergli parlare attraverso la recinzione del cortile.
Fu dura aspettare l'occasione di poter parlare con Russell. Passò quasi una settimana, prima che riuscissi a vederlo nel cortile degli esercizi adiacente a quello in cui ero io. Aveva piovuto tutta la notte ed era una perfetta, limpida mattina d'inverno. Tutte e due ciondolavamo accanto alla recinzione. Avevo esitato per ore, cercando le parole per avvicinarmi al fatto di aver origliato la conversazione con sua sorella. Alla fine, smisi di cercare una scusa, e chiamai Russell da sopra la recinzione. Gli dissi che l'avevo sentito dire alla sorella di non portare mai la madre a fargli visita.
La prima cosa che Russell disse fu: "Sì, Jarvis, so che nemmeno tu lasceresti tua madre venire quassù. Porca miseria, si gelerà all'inferno, prima che io lasci che mia madre venga in questo posto fottuto e mi veda così."
"Accidenti Russell, mia madre è morta!" gli risposi.
Lo sguardo di Russell si fece triste: "Mi dispiace, Jarvis."
"Già, Russ, continuai, è morta anni fa, più o meno nello stesso periodo in cui ci siamo conosciuti. E da quel giorno rimpiango tutte le volte che lei avrebbe potuto farmi visita. Ogni volta che do un'occhiata alla sua fotografia sul muro della mia cella, vorrei aver visto la sua faccia nella stanza delle visite, lo sai?"
"Davvero, Jarvis?, chiese Russell, avresti voluto che tua madre venisse in questo buco di merda? Per vederti nel braccio della morte? Bloccata in fila per le visite, zittita da queste fottute guardie di merda e per vederti al massimo un' ora, accidenti? No, per la miseria, mia madre significa troppo per me perché io anche solo pensi di vederla in questo schifoso fottuto posto in cui mi sono ficcato io. No, e perché poi?"
"Cosa vuoi dire con 'perché'?, risposi, perché? Perché lei lo vuole, Russell! Perché lei ti ha partorito e non viceversa! Ascolta Russell, non c'è niente in questo posto, nel tuo essere finito qui, nei vestiti che sei costretto a metterti, nemmeno nel fatto che il tuo maledetto culo se ne stia seduto nel braccio della morte, che possa mai strapparle il figlio che si tiene nel cuore. Anche lei ha di fronte una sentenza di morte ogni volta che pensa a dove sei. Lei aspetta, spera, prega che tu non venga giustiziato. Lei vive col terrore di perderti."
"Accidenti, Jarvis, ti ho ascoltato, questo sì che è parlare, e lo sento anch'io. Ma ho già ferito mia madre anche troppo col solo essere finito qui. È vecchia ormai, ha ottant'anni passati. E le si spezzerebbe il cuore a vedermi qui. Merda! È dura anche scriverle, sai? Per di più, porca miseria, tu sai meglio di chiunque altro tutto quello attraverso cui questi della prigione fanno passare i visitatori. Non ne vale la pena, Jarvis, non ne vale la pena."
"Russell, porca miseria, ascoltami. Non si tratta di proteggere tua madre. Lei sa già che sei qui, che hai addosso l'uniforme dello stato, Russell. Ma lei sa anche quanto sia importante il suo tempo per tutti e due."
"Cosa vuoi dire col suo tempo? Ho sempre detto a mia sorella di far sapere a mia madre quante possibilità gli avvocati dicono che ho di vincere l'appello e di uscire da qua." Disse Russell.
"Oh, è così?, risposi, allora cosa succederebbe se fosse tua madre e non tu a morire la prossima settimana? Allora? Cosa ne sarebbe di tutte le cose che hai in mente e che sognavi di dirle, dove finirebbero? Lo vedi, Russ, non si tratta di te, tu uscirai un giorno, presto o tardi. Ma si tratta di non sprecare il tempo, al di là di come possiamo immaginare che saremo domani. Perché non ci sono promesse. Ora lo so, ma non l'avevo capito veramente finché un giorno non è venuto nella mia cella il cappellano della prigione e guardandomi negli occhi mi ha detto: "Ho una brutta notizia: tua madre è morta."" Cominciai a piangere di fronte a Russell. "E indovina cosa alla fine mi è stato chiesto di fare? Dove sono andate tutte le cose che sognavo di dire a mia madre?"
"Cosa? Non lo so." Disse Russell.
"Indovina, Russ, prova a indovinare."
"Mannaggia, Jarvis!, disse tristemente Russell, Non so, miseria, non riesco neanche a immaginare che mia madre muoia, figurati tutto il resto."
"Beh, mi è stato chiesto di scrivere qualcosa da leggere al suo funerale. E ti dirò, in ogni parola che il cuore mi dettava, in ogni frase, in ogni periodo che mettevo giù, c'erano un bilione di cose in più nel mio cuore che desideravo aver espresso a mia madre in quella stanza delle visite. E se avessi saputo allora quel che so adesso, non mi sarebbe importato niente se l'unica occasione di stare con mia madre fosse stata quella di sedermi su un pezzo di ghiaccio galleggiante sul Mar Artico."
Io e Russell restammo lì, appoggiandoci alla recinzione, nessuno dei due per un po' disse niente. Non ne avevamo bisogno. Compresi che fino a quel momento, Russell non si era mai permesso di pensare al fatto di poter perdere sua madre mentre era in prigione. Nel braccio della morte, la paura più prossima è quella della propria morte. Questa può divorarti tanto che tutti gli altri sembrano immortali. Ti sembra garantito che tutti quelli che ami là fuori ti sopravviveranno. Non posso contare le volte che mi sono immaginato fuori dalla prigione, seduto con Rinpoche durante uno dei suoi ritiri.
Per un momento Russell mi fissò come se fosse andato in un posto che solo lui poteva raggiungere.
Poi, mi disse: "Jarvis, miseria, non so in che inferno mi stavo intrippando. Tutti questi anni in cui mia madre mi ha implorato di potermi far visita e io ho avuto il coraggio di dirle di no. Diavolo, io voglio bene a quella donna!" Gli si riempirono di lacrime gli occhi. "Miseria, sono stato un vero imbecille!"
"No, Russ, dissi, ci sono un sacco di persone, e non solo in prigione, che vivono la loro vita quotidiana con la madre che sta nella città vicina o raggiungibile con un colpo di telefono e vanno avanti nella loro vita senza chiamarla, senza creare i ricordi che li sosterrebbero nelle loro vite dopo la morte delle loro madri."
"Sì, hai ragione, Jarvis, disse, appena tornato in cella, mi siedo e scrivo a mia madre una lunga lettera e forse, forse per Natale, potrà venire a trovarmi."
"Bene, scherzai, sei troppo brutto per essere un dono per gli occhi di tua madre, Russ. Ma di sicuro, lei sarà il regalo di Natale più bello che tu abbia avuto negli ultimi dieci anni, eh?"
Scoppiammo a ridere tutti e due. E per mia fortuna, sia io sia Russell avemmo delle visite il giorno di Natale. Riuscii anche a vedere la madre di Russell. La notai alla fine di tutte le visite, una signora molto piccola, sorridente, che non smetteva di mandare baci a Russell mentre lasciava la stanza delle visite. Ne mandava tanti, che me ne presi anch'io uno o due. Ma più di tutto, sentii il suo amore per Russell. E in quell'istante, compresi l'amore che il mio maestro Chagdul Rinpoche aveva avuto per me. Vidi la sua amorevole presenza passare in mezzo a tutti noi.

Traduzione di Chandra Candiani
Da: Turning Wheel Fall 2003


Jarvis Jay Masters contribuisce spesso con i suoi scritti alla rivista Turning Wheel. È un africano americano nel braccio della morte in California, nella prigione di stato di San Quentin, dove scrive e pratica yoga e buddhismo tibetano. Il suo libro Finding Freedom: Writings from Death Row (Padma Publishing) può essere ordinato da BPF office per 15 $ in contrassegno. Jarvis può essere contattato all'indirizzo: P.O. Box C-35169, San Quentin, CA 94974.