Il dolore della
perdita
di Frank Ostaseski
Non
abbiate paura delle vostre ferite, dei vostri limiti,
della vostra impotenza.
Perché è con quel bagaglio che siete al servizio dei malati
e non con le vostre presunte forze, il vostro presunto sapere.
La parola inglese
grief, non ha corrispettivo in italiano. Grief, è il dolore,
la pena associata alla perdita di qualcuno. Ma è meglio intenderlo come
una costellazione di esperienze. Non è solo tristezza, ma è anche
confusione, una grandissima stanchezza, senso di colpa, vergogna. Nel corpo
si prova come un senso di stordimento. Sono tutti aspetti connessi all'esperienza
della perdita. È importante capirlo, perché molto spesso si pensa
che c'è qualcosa che non va perché non piangiamo.
È come se venissimo trascinati dentro un fiume in piena, giù fino
alle oscurità che sono sotto.
Per un certo periodo ci sentiamo impotenti, alla mercè di queste acque,
ma col tempo, con l'attenzione, riemergiamo come persone nuove: non più
gli stessi di prima.
Si dice che il tempo guarisca il dolore, ma non è vero. Il tempo e l'attenzione
guariscono il dolore. Per guarire dobbiamo avere la volontà di osservare,
di essere consapevoli dell'intera esperienza del dolore e della perdita.
A volte il dolore riguarda ciò che avevamo e che abbiamo perso, altre
volte ciò che non abbiamo mai avuto. Ad esempio, per quanto riguarda
mio fratello, sento che mi manca veramente, provo dolore nel corpo per non poter
stare con lui.
Però, adesso, ciò che mi fa più male è la perdita
della possibilità, il fatto che non potremo mai più lavorare su
questo. Potrò avere una relazione interiore con lui, ma non potrò
mai più parlargli.
Possiamo dire che affrontare la realtà della perdita è il primo
punto; il secondo è sentire il dolore. Quando perdiamo qualcuno, non
perdiamo solo la persona, ma anche il ruolo che quella persona aveva nella nostra
vita. Così, quando muore nostra moglie, non è solo lei che se
ne va, ma anche la persona che ci scaldava il letto o che si occupava dei figli
o preparava grandi cene. E così ogni volta che ci avviciniamo a una di
queste esperienze, sperimentiamo una nuova perdita. Non si tratta di un evento
singolo: la perdita si ripete nel tempo. Ma è proprio nel momento in
cui incontriamo queste esperienze, che dobbiamo permetterci di sentire il dolore
e attraversarlo. In questo modo alla fine accadrà una sorta di scioglimento
del dolore della perdita.
Una delle cose che ho dovuto accettare in questo lavoro è che è
sempre all'opera un mistero che non è possibile capire. A volte il mio
lavoro consiste nel partecipare a questo mistero; non sto parlando di superstizione,
ma di mistero. Qualcosa di più grande di noi e che allo stesso tempo
ci comprende. Mistero. Ho smesso di cercare di capirlo. Così, quando
certe cose accadono, certe coincidenze, guardo e cerco di capire che cosa è
che posso imparare. Ma non cerco di capire perché accadono. Mistero.
Conosco un uomo, che è medico: suo padre aveva il morbo di Alzheimer
in forma molto grave, non parlava da dieci anni. Un giorno ebbe un infarto e
cadde a terra. C'era una grande confusione e il dottore disse di chiamare un'ambulanza,
ma in quel momento sentì il padre che diceva: "No, non chiamare
l'ambulanza, chiama tua madre e dille che sto benissimo". E poi morì.
Pochi minuti dopo squilla il telefono. È la madre che dice: "Tuo
padre mi ha appena telefonato". Il medico era uno scienziato e non credeva
a queste cose. Hanno fatto l'autopsia al padre, hanno guardato il cervello:
era completamente devastato dal morbo di Alzheimer. Il mio amico ha detto che
non era assolutamente possibile che potesse parlare. E allora, da dove era venuta
la voce? Mistero.
Domanda: Come possiamo essere d'aiuto se ancora non abbiamo superato
il nostro dolore?
Frank Ostaseski: Solo perché sentiamo dolore, non vuol dire che
non possiamo aiutare gli altri. Se aspettiamo di essere perfetti, non potremo
mai aiutare nessuno. È proprio perché proviamo dolore che possiamo
aiutare gli altri. Conoscete l'espressione "guaritore ferito"? Indica
una persona che è stata ferita e che, lavorando con quella ferita, comincia
a considerarla un dono. Chi ha esplorato la propria ferita può provare
empatia per le ferite degli altri. Quando ho iniziato questo lavoro, l'ho fatto
con onestà, ma l'ho fatto per cercare di evitare il mio dolore personale.
Ho pensato che se potevo stare con il dolore degli altri, che era peggiore del
mio, allora forse il mio non mi avrebbe fatto più tanto male. Ma non
funziona.
A un certo punto bisogna fermarsi e volgersi verso il nostro dolore. E questo
è un atto di compassione. Ed è questo che ci permette di essere
compassionevoli anche verso gli altri. La compassione sorge dalla sofferenza.
Se non c'è sofferenza non c'è nemmeno molta compassione.
Domanda: Per me il senso di impotenza è il blocco maggiore che sento.
Frank Ostaseski: Penso che a volte sottovalutiamo il potere della semplice
presenza umana. L'impotenza è una storia che ci raccontiamo. Mi sento
impotente perché questo non funziona, non è efficace. Altre volte,
è vero, siamo proprio impotenti di fronte alla sofferenza. E allora che
si fa? Quando un nostro amico, i nostri amici stanno soffrendo e non possiamo
fare niente per aiutarli? È difficile essere testimoni del dolore.
C'era un uomo nel nostro hospice, che era buddhista e stava morendo di AIDS,
e i suoi due migliori amici erano medici. Erano molto frustrati perché
il loro amico era arrivato agli ultimi giorni di vita e non c'era più
nulla che essi potessero fare. Allora vennero da me e mi dissero: "Senti,
come medici non possiamo fare più niente, ma forse tu ci puoi insegnare
qualcosa, una pratica buddhista
". Ho risposto: "Non so, non
so queste cose. Ma ditemi un po', che cosa facevate quando i vostri figli stavano
male?
"Gli massaggiavo i piedi" rispose uno.
"E che cosa gli dicevi?"
"Lo rassicuravo".
"E cosa ti auguravi per lui?"
"Che stesse tranquillo"
Allora ho proposto: "Perché non andate di sopra e fate lo stesso
con John? Potete dirlo ad alta voce, in silenzio, non importa".
Sono andati su, vicino al suo letto e gli hanno detto: "John, che tu possa
sentirti sicuro, che tu possa sentirti calmo e in pace, che tu possa sapere
di essere amato. Che tu possa essere libero da ogni sofferenza". E l'hanno
fatto per mezz'ora. Più tardi li ho visti in cucina e ho chiesto loro:
"Beh, come è andata?" Hanno risposto: "Non sappiamo se
lui si sente meglio, però noi di sicuro ci sentiamo molto meglio".
Vorrei proprio evidenziare l'importanza della presenza delle persone, anche
se non si dice una parola, persino se pensate di essere di impiccio.
Il processo della perdita
Abbiamo
visto come il dolore della perdita abbia molte facce: rabbia, auto giudizio,
rimpianto, senso di colpa, solitudine, tristezza, vergogna, sollievo
Quando questi sentimenti arrivano sono così forti che ci avviluppano.
Arrivano come una grande onda. Una mia amica che medita da molti anni, quando
suo padre morì, si sentì sopraffatta da questa onda. Mi ha raccontato
che una volta, al supermercato, si è semplicemente inginocchiata sul
pavimento scoppiando in lacrime tra le marmellate e i cornflakes.
Quando accade abbiamo la sensazione di non aver più nessun controllo.
E la paura di questo ci spinge a cercare in qualche modo di gestire questo dolore.
Le persone mi chiedono: "Quando supererò il mio dolore?" Come
mai non mi chiedono: "Quando supererò la mia gioia?"
Il dolore fa parte di ciò che siamo, è una corrente che attraversa
tutta la nostra vita. È importante capire dall'inizio che il dolore non
va via: rimarrà per tutta la vita. Tuttavia, la nostra relazione con
esso cambia, non avrà la stessa intensità che aveva all'inizio.
E l'espressione del dolore ci aiuta in realtà ad attraversarlo, a muoverci
attraverso di esso; resistere al dolore non fa altro che aumentarlo.
Sono sempre un po' sospettoso di modelli che sembrano troppo lineari, ma uno
dei modi che ho per capire il processo del dolore della perdita è di
descriverlo in tre fasi: loss (perdita, subire la perdita), losing
(perdere, confrontarsi con la perdita), e loosening, che vuol dire sciogliere,
allentare.
Loss, losing, loosening non vanno visti in successione
perché nella realtà usciamo ed entriamo in ognuna di queste esperienze.
Nel primo periodo è come se avessimo ricevuto un pugno nello stomaco
che ci toglie il respiro: il corpo, la mente, non riescono a capire questo dolore.
All'inizio non è possibile capire, accettiamo la realtà e basta;
ed è proprio questo il compito di questo periodo. Una volta nel nostro
hospice morì una donna e la sorella era giù nell'atrio; quando
è salita nella stanza ha visto la sorella morta ma non poteva crederci.
Le ho chiesto: " Vuoi aiutarci a lavare il suo corpo?" Ha risposto:
"No, ancora non è morta, non è possibile che sia morta!"
Le ho chiesto allora quando fosse stata più viva, in quali momenti. "Quando
era giovane, combinava un sacco di guai. Da adolescente è scappata di
casa
". Così, ha iniziato a raccontarmi la storia della vita
della sorella e di come alla fine avesse avuto un cancro; mi raccontò
del giorno in cui era caduta e si era rotta un braccio, di quando aveva smesso
di mangiare e poi anche di bere. Poi ha detto: "Beh, ora possiamo lavarla".
L'esperienza della perdita è caratterizzata da uno stato di shock e di
incredulità: è perfettamente normale. Di solito da ciò
derivano sentimenti di colpa e di rimpianto, ci giudichiamo: avrei dovuto portare
mia madre prima in ospedale, avrei dovuto stare più tempo con lei, avrei
dovuto starle vicino nel momento in cui è morta
Non smette mai di sorprendermi quanto possiamo essere crudeli con noi stessi.
Magari ci siamo presi cura di nostra madre con grandissimo amore per dodici
anni, ma siccome non siamo lì nel momento in cui muore, ecco che ci giudichiamo
da soli. Se non notiamo questi sentimenti di colpa e di rimpianto, rischiamo
di farci travolgere e magari rimaniamo intrappolati nel senso di colpa.
Un'altra emozione che sorge nell'esperienza della perdita è la rabbia.
Potete essere arrabbiati con chiunque, la rabbia è semplicemente alla
ricerca di qualcuno da attaccare: il dottore, l'ospedale, la malattia, Dio.
È particolarmente difficile quando ci scopriamo arrabbiati proprio con
la persona che sta morendo. Ma la verità è che è possibile
che siamo arrabbiati proprio con questa persona, per il fatto di essere lasciati
indietro, soli. Non c'è modo di aiutare questi stati dolorosi del cuore
e della mente. Se state vicino a qualcuno che si trova in questa fase, la cosa
migliore è aiutarlo a riconoscere i suoi sentimenti. Alcuni piangono
oceani di lacrime, altri si sentono invece insensibili. Gli uomini sperimentano
il dolore del lutto in maniera diversa dalle donne. Perciò, se state
confortando qualcuno, osservate se avete una mente che sta giudicando il modo
in cui sta vivendo il suo lutto. Non siate il poliziotto del dolore!
Questo primo periodo è molto difficile: può succedere di dimenticare
le chiavi della macchina, di arrivare in un posto senza riuscire a ricordare
perché ci siamo andati
Tutto ciò è naturale in questo
primo periodo di perdita.
Un tempo, quando qualcuno aveva un lutto, ci si vestiva di nero o si portava
una striscia nera sulla manica, così che la gente poteva sapere che queste
persone erano in uno stato diverso di coscienza. La gente non si aspetta che
vi comportiate normalmente. Così, nei primi giorni dopo il lutto, aiutateli
con cose pratiche: cucinate, fate da mangiare, fate il bucato. In questo momento
le persone non sono in grado di prendersi cura della loro vita quotidiana. Se
siete voi a subire un lutto, potreste sperimentare la perdita del sonno, dell'appetito,
oppure potreste voler dormire tutto il giorno o mangiare piatti enormi di pasta.
Se muore qualcuno che amate, prendete una camicia, un suo capo di vestiario
e tenetevelo vicino, così da poterne sentire l'odore. La miglior cosa
che possiamo fare all'inizio è di arrenderci a questa esperienza. La
distrazione ha come risultato solo di posporre l'esperienza, non la manda via.
Il secondo periodo:
losing, perdere. Questo periodo doloroso può andare avanti per
mesi, forse per anni. Abbiamo già detto che quando qualcuno muore non
è mai un evento singolo, ma continuiamo a perdere la persona cara: durante
le vacanze o in momenti difficili, oppure in piccoli momenti personali che avremmo
voluto condividere insieme. Ogni volta che questo succede siamo messi di fronte
all'assenza della persona che amiamo. Ed è proprio allora che scopriamo
il ruolo che questa persona aveva nella nostra vita. Ricordate, ho detto che
forse non perdiamo solo nostra moglie, ma anche la persona che si occupava dei
figli o quella che badava ai soldi o che toccava il nostro corpo. Quando sentiamo
l'assenza di questi ruoli, di nuovo perdiamo la persona. Ad esempio, quando
perdiamo i genitori, uno dei ruoli che hanno è quello di stare come ammortizzatori
fra noi e la morte. Quando muoiono, cominciamo a sentire la nostra mortalità,
ci sentiamo fragili, mortali.
Questo è il periodo in cui le persone si sentono più sole, perché
gli amici si ritirano, non riescono a stare con il dolore della perdita per
molto tempo. Quello che gli amici danno, spesso, sono consigli non desiderati.
Ci dicono di mantenerci occupati, e questa è semplicemente la loro paura
che parla, oppure la nostra predisposizione culturale a cercare di evitare qualunque
cosa che sia spiacevole. I consigli non aiutano.
Quando è morto il marito della mia amica Carolyn, le ho chiesto: "Cosa
ti ha aiutato?" Mi ha raccontato che c'era un'amica che la chiamava ogni
lunedì, per un anno intero; questa amica la invitava ad andare a cena
fuori, poi le diceva: "Si, lo so, molto probabilmente tu non vorrai venire,
però voglio che tu sappia che sono qui, e quando sarai pronta e ne avrai
voglia, ci andremo". Carolyn mi ha detto che queste telefonate sono state
il sostegno migliore che abbia avuto durante tutto l'anno.
Anche i gruppi di elaborazione del lutto possono essere molto utili e aiutare
in questo periodo. Magari qui a Firenze non ci sono: cominciate, non aspettate
i professionisti. Mettete insieme persone che hanno subito un lutto e fate in
modo che si raccontino le loro storie. Se aspettate i professionisti, magari
ci vorranno anni. In questo momento le persone hanno bisogno di dire cosa c'è
nel loro cuore, senza paura di essere rifiutate. Ho chiesto a un'amica che aveva
perso il marito: "Qual è la cosa che avresti voluto dire e che non
hai detto?" Ha risposto: "Volevo dire alla gente quanto desideravo
morire. Ma potevo vedere la paura nei loro occhi e non sono riuscita a dirlo".
E dunque aveva dovuto chiudere dentro di sé questa sentimento.
In questo periodo anche i rituali possono essere molto utili. Nel nostro centro
Zen abbiamo un rituale che è guidato da uno dei nostri insegnanti. Vi
partecipano donne che hanno abortito o che hanno perso i figli appena nati.
Si riuniscono per tre giorni e cuciono, e mentre cuciono parlano. Raccontano
la storia dei figli, e se i bimbi non hanno avuto nome, glielo danno. Cuciono
bavaglini; poi li mettono su una statua, protettrice dei bambini piccoli, in
giardino. Ciò di cui hanno bisogno in questo periodo è avere qualcuno
che ascolti senza giudicare. Il compito di questo periodo è proprio quello
di sentire il dolore della perdita, invitare davvero questa pena nel nostro
cuore, invitare le sensazioni fisiche, il lutto emotivo, i sentimenti che abbiamo
rigettato per tanto tempo e che avevano poco spazio nel nostro cuore.
Ogni anno faccio un ritiro per persone con l'AIDS. La seconda notte del ritiro,
ci riuniamo e ci presentiamo, raccontandoci l'un l'altro la storia delle nostre
perdite. Alcuni hanno perso venti o trenta amici. Accendiamo un fuoco al centro
e a volte ci vuole tutta la notte per raccontare tutte le storie. Può
succedere di arrivare alle tre o alle quattro del mattino prima di potersi fermare.
Ma tutti sanno che ci sarà tempo perché ciascuno possa parlare
delle proprie perdite.
Questo periodo può andare avanti per molto tempo; ma ricordate: il tempo
da solo non guarisce. Occorrono tempo e attenzione, attenzione al dolore.
Il terzo periodo:
loosening. È il periodo in cui il nodo del dolore viene sciolto,
è un tempo di rinnovamento. Non possiamo tornare a come era la nostra
vita prima della perdita, è impossibile. Non siete più la stessa
persona che eravate prima della perdita. Qualcuno dirà: "Vedrai,
tornerai come eri prima". Non è vero. Siete stati cambiati da questo
viaggio attraverso il dolore, però ora è possibile abbracciare
di nuovo la vita, sentirsi di nuovo vivi. E allora, a mano a mano che l'intensità
dell'emozione diminuisce, noi possiamo ricordare la perdita senza sentirci stretti
nella morsa del dolore. A volte, in questo periodo, viene fuori di nuovo la
colpa, la sensazione che stiamo abbandonando la persona che amiamo. Ma non la
stiamo abbandonando: sappiamo che, anche quando muore una persona, la relazione
continua, solo che quella persona non sta più fuori, ma dentro di noi.
Quando sviluppiamo questa relazione interiore, possiamo di nuovo fare investimenti
nella nostra vita. Ecco un esempio: conosco una donna che è stata sposata
con suo marito per 30 o 40 anni. Era sempre il marito a prendere le decisioni
importanti, così che quando è morto, con lui ha perso anche la
persona che decideva; ogni volta che doveva prendere una decisione sentiva di
nuovo la sua mancanza. In verità, sentiva una dimensione diversa della
perdita. Nei primi sei mesi dopo la sua morte, ogni sera apparecchiava la tavola
anche per lui: piatti, bicchieri, posate, per lei e per lui. Sedeva al tavolo
da pranzo e gli parlava ad alta voce, chiedendogli consiglio sulle decisioni
da prendere. Poteva sentire anche le risposte, e aveva l'impressione che fossero
con la sua voce. Gradualmente smise di apparecchiare la tavola anche per lui,
però ugualmente continuava a chiedergli consiglio, e continuava a sentire
le risposte. Dopo un anno cominciò a prendere le decisioni da sé;
mi ha detto che lui andava con lei dappertutto, ma ora era lei a decidere dove
andare in vacanza!
Ecco, il lavoro da fare in questa fase è trovare il modo di assumere
quel ruolo noi stessi, trovarlo dentro di noi.
A volte il nostro dolore è per ciò che avevamo e che abbiamo perso,
a volte è per ciò che non abbiamo mai avuto; come per esempio
l'amore che volevamo o la madre che abbiamo sempre desiderato.
L'esperienza del dolore per la perdita è forse l'esperienza guaritiva
più grande di tutta la vita. È sicuramente uno dei fuochi più
caldi, penetra attraverso gli strati più duri delle nostre protezioni
e ci butta nella tristezza. In questo dolore iniziamo ad avere accesso a parti
di noi che prima erano chiuse.
Una delle cose che ci proviene dal dolore è la comprensione che siamo
uniti ad altri nelle nostre perdite. E allora questo ci apre alla verità
più profonda, che è la verità dell'impermanenza, delle
cause della sofferenza e dell'illusione della separazione.