Consacrarsi
alla pace in un'epoca di guerra
di Alan Senauke
Vegliando
o dormendo
in una capanna di foglie
la mia preghiera
è portare gli altri
all’altra sponda
prima di me.
IL
VASTO MONDO È UNA SALA
DI MEDITAZIONE.
La prigione di San Quentin è
situata su una nuda lingua di
terra nella baia di San Francisco.
È qui che lo Stato di California
uccide i condannati a morte. C’è
ancora la camera a gas, ma negli
ultimi cinque anni le esecuzioni
sono state compiute con un’iniezione
letale in un ambiente falsamente
clinico, che imita con crudeltà
una stanza di ospedale. Cinquecento
diciassette uomini e dieci donne
aspettano in fila la morte in
California, spesso per quindici
o vent’anni. Il voto pubblico
sostiene questa violenza sancita
dallo Stato. Di fatto, nessun
politico può venir eletto
alla più alta carica in
California se non sostiene la
pena di morte.
Una sera temporalesca di marzo,
alcune centinaia di persone si
sono ritrovate per una veglia
e un raduno di protesta per l’esecuzione
di Jay Siripongs, un buddhista
tailandese, dichiarato colpevole
di omicidio nel 1983 a Los Angeles.
Pioggia torrenziale e vento gelido
infuriavano su quelli che si erano
riuniti alle porte del carcere:
oppositori alla pena di morte,
un gruppetto di sostenitori della
pena di morte, la stampa, le guardie
della prigione e proprio a ridosso
dell’entrata, con lo sguardo fisso
ai muri di pietra del San Quentin,
più di settantacinque studenti
e meditanti Zen per portare testimonianza
dell’esecuzione, seduti in mezzo
alla rabbia, all’angoscia, alle
parole che fanno male e alle azioni
che fanno ancora più male.
La mia tunica era tutta inzuppata
e il mio cuscino di meditazione
stava in una pozzanghera che diventava
via via più profonda. Al
di là di un reticolato
di ferro, a tre metri di distanza,
quindici guardie, munite di elmetto,
stavano in piedi in fila sotto
la pioggia e la pioggia cadeva
su di loro con la stessa forza
con cui cadeva sopra di noi. Provai
un attimo di profonda connessione:
studenti di Zen in tunica nera
seduti a schiena dritta, immersi
nell’attenzione, sotto la pioggia,
esseri che offrono protezione
nel migliore dei modi che conoscono;
poliziotti in giubbotto nero,
esseri che danno protezione nel
modo che loro conoscono. C’è
una differenza nelle attività
e nella mente degli studenti di
Zen e delle guardie del carcere?
Sì, certo. Ma riconoscere
l’unità, anche nel mezzo
della diversità e dell’agitazione,
è l’essenza di un costruttore
di pace. E immagino che ci fossero
guardie che hanno avvertito la
stessa consapevolezza.
La nostra testimonianza al San
Quentin fa parte di un grande
voto che assume chi si dedica
allo Zen. Portare testimonianza
è l’atto radicale di completa
accettazione e di non dualità
del Bodhisattva. La mia personale
comprensione dell’insegnamento
Zen di Dogen mi ha portato alla
resistenza attiva e alla trasformazione
sociale. Faccio voto di portare
testimonianza dove si svolge la
violenza. Faccio voto di riconoscere
la possibilità umana della
violenza dentro la mia mente,
riconoscendo le condizioni che
fanno sorgere l’avidità,
l’odio e la confusione dentro
di me.
Prendo sincero rifugio nel Buddhadharma,
e cerco di risolvere i conflitti.
Faccio voto di non impugnare mai
più un’arma per rabbia
o complicità con lo Stato
o con qualsiasi cosiddetta autorità,
ma di intervenire attivamente
e non-violentemente per la pace,
anche quando questo può
mettere a rischio il mio corpo
e la mia vita.
Chi vuole prendere insieme a me
questo voto? Sono veramente pronto?
Voi lo siete? Nello zendo continuiamo
ad offrire voti sentiti con sincerità.
In quello spazio sacro Dogen e
tutti gli antenati buddha sono
con noi. So che può sembrare
una forzatura descrivere Dogen
o Shakyamuni Buddha come buddhisti
impegnati, ma tutti gli antichi
buddha ci insegnano che il dharma
è la nostra stessa esperienza.
Risvegliamoci a ciò che
c’è di salutare nel mondo.
Ricreiamo il buddhismo per questa
epoca, questo posto, queste circostanze.
In questo spirito possiamo levare
le nostre voci in un voto che
è in armonia con il nostro
tempo. Che noi possiamo realizzare
nell’azione il nostro voto e fare
un passo avanti dalla cima di
un palo alto trenta metri.
PORTARE NEL MONDO LA REALIZZAZIONE.
Meditando sulla pace, echi di
Dogen risuonano nelle mie orecchie.
Nel Bodaisatta Shisho-Ho (I
quattro metodi guida del Bodhisattva),
Dogen scrive:
"Dovresti essere equamente
di beneficio all’amico come al
nemico. Dovresti essere di beneficio
a te stesso come agli altri".
Nello stesso fascicolo spiega:
"È difficile cambiare
la mente di un essere senziente.
Dovreste continuare a cambiare
la mente di un essere senziente,
dal suo primo bagliore fino a
quando realizzi la via".
Maneggiando le parole come la
spada della saggezza discriminante
di Manjusri, il linguaggio radicale
di Dogen taglia penetrando fino
al cuore della pace, anche nella
nostra epoca di aspra conflittualità
sociale e di manipolazione politica.
Il nome del tempio in cui visse
Dogen, Eiheiji, significa ‘tempio
della pace eterna’. Il mondo del
tredicesimo secolo di Dogen è
diverso dal nostro, ma i conflitti
e le pieghe del karma degli esseri
che soffrono sono gli stessi.
Meditando sulla pace, ascolto
anche voci che appartengono alla
mia epoca, maestri Zen che cercano
incessantemente di cambiare la
mente degli esseri senzienti.
Tre di queste voci sono qui oggi,
nel corpo o nello spirito.
Alla fine degli anni ’60 gli Stati
Uniti ingaggiarono una guerra
illegale in Vietnam, mentre la
repressione degli afro americani,
dei popoli latini, degli indiani
e dei giovani arrivava in patria
al culmine della violenza. Ritornato
dopo dieci anni passati in Asia,
Gary Snyder pubblicò un
articolo intitolato Il buddhismo
e la prossima rivoluzione
che ancora oggi è radicale
e del tutto pertinente. Propone
delle condizioni per una pratica
di buddhismo impegnato per la
pace a cui tuttora cerchiamo di
tener fede. Scrive Gary:
"...Il buddhismo istituzionale
si è dimostrato ampiamente
disposto ad accettare o ad ignorare
le ingiustizie e le tirannie di
qualsiasi sistema politico sotto
cui si trovi a vivere. Questo
può decretare la morte
del buddhismo, perché è
la morte di ogni significativa
funzione della compassione. La
saggezza senza compassione non
sente il dolore... Il dono dell’Occidente
è stata la rivoluzione
sociale; il dono dell’Oriente
è stata la consapevolezza
intuitiva del fondamentale vuoto
del sé. Abbiamo bisogno
di entrambe. Sono entrambe presenti
nei tre aspetti tradizionali del
sentiero del Dharma: saggezza
(prajna), meditazione (dhyana)
e moralità (sila). La saggezza
è la conoscenza intuitiva
della mente d’amore e della chiarezza
che sta sotto le ansie e le aggressioni
sollecitate dall’ego. La meditazione
è entrare nella mente per
vedere tutto questo in se stessi
ancora e ancora finché
esso non diventi la mente in cui
vivi. La moralità si riflette
all’esterno nel modo in cui vivi,
attraverso l’esempio personale
e l’azione responsabile, e infine
verso la vera comunità
(sangha) di ‘tutti gli esseri’.
Quest’ultimo aspetto significa
per me appoggiare ogni rivoluzione
culturale ed economica che mira
a un mondo libero, internazionale
e senza classi".
Tetsugen Glassman ci invita a
un grande pranzo insieme a tutti
gli esseri affamati. La sua visione
è ampia quanto i sei mondi:
offrire cibo alle persone che
vivono sulla strada, insegnare
zazen a quelli che hanno bisogno
di nutrimento spirituale, nutrire
gli innumerevoli spiriti famelici.
Gli spiriti famelici sono dentro
e intorno a noi. Tetsugen porta
i suoi studenti fuori, nelle aspre
strade della città, perché
possiamo provare a sentire com’è
essere senza casa. Le persone
senza casa non sono altri, diversi
da noi. Egli attrae uomini e donne
di fedi diverse a portare testimonianza
sui campi di sterminio di Auschwitz,
dove gli spiriti famelici delle
vittime e dei carnefici stanno
ancora urlando per essere riconciliati.
È Avalokitesvara che ascolta
le urla del mondo e si prepara
a portare gli altri all’altra
sponda prima di se stesso.
Ascolto la voce paziente del mio
maestro radice, Sojun Weitsman,
la cui personale, ostinata costruzione
di pace è insieme calma
e profondamente rischiosa. Dogen
fa appello al principio della
‘pratica di illuminazione’. Quello
che ho imparato della pratica
di illuminazione da Sojun è
che l’illuminazione e lo sviluppo
personale non sono due cose separate,
che la saggezza e la morale si
sostengono a vicenda. È
un concetto radicale, perché
arriva alla radice di come pratichiamo
nel mondo, salvando gli esseri.
Ho osservato Sojun continuare
ostinatamente a lavorare a questa
verità per anni: costruendo
un altro sangha a Berkeley, aiutando
a guarire vecchie ferite al centro
Zen di San Francisco e trainando
una vasta cerchia di persone che
collega il Soto zen in Oriente
e in Occidente.
Parlando con i suoi studenti più
anziani, recentemente Sojun Roshi
ha detto che, dovunque ci sia
sofferenza umana, noi dovremmo
prima di tutto semplicemente prestare
aiuto alle persone, includendo
noi stessi, prima di biasimare
sistemi e organizzazioni, anche
quando tali sistemi vadano davvero
cambiati. I sistemi politici,
sociali, ed economici sono creati
da esseri umani come noi. Nell’affrontare
le strutture che perpetuano gravi
danni cerco di vedere tutte le
persone che collaborano a creare
queste strutture. Perché
il mio cuore di saggezza e di
compassione possa aprirsi più
facilmente, devo riconoscere ed
ammettere la mia propria capacità
di procurare sofferenza.
Queste ed altre voci si intrecciano
nei miei sogni. Ognuna a modo
suo sostiene che la pace, o il
non-conflitto, ha bisogno di indipendenza,
inter-dipendenza e dedizione al
voto. L’espressione politica di
questa posizione dharmica sta
nella non-collaborazione e nella
non-complicità con alcun
sistema, governo, o organizzazione
che causi danno o impedisca l’armonia,
anche quando tale sistema cerchi
di occultarsi o ci inganni o ci
metta a tacere con privilegi e
miraggi.
Il sogno della pace e la pratica
della pace sorgono nella guerra
e nel conflitto. In ogni epoca,
la guerra costringe a seppellire
il cuore e ad agire con inimmaginabile
crudeltà. Nessun altro
animale è capace di simile
crudeltà. Viene bombardato
un ospedale o un’ambasciata. I
responsabili alzano le spalle.
"Un incidente" dicono.
Mine terrestri e ordigni esplosivi
dall’aria innocua vengono disseminati
in molti territori. I morti sono
per lo più civili. Le case
vengono sistematicamente distrutte.
I rifugiati vengono costretti
ad attraversare le frontiere sotto
la minaccia delle armi. Le donne
sono oggetto di stupro. Sto parlando
della situazione attuale, proprio
ora, in una dozzina di posti sparsi
per il mondo. Ho visto con i miei
occhi queste cose. I dettagli
peculiari, il colore e la forma
delle vittime, degli eroi e dei
carnefici, il paesaggio, cambiano,
ma la faccia della guerra è
sempre brutta. Le vittime hanno
bisogno del nostro aiuto. Come
pure i carnefici.
"È perché c’è
una base che esistono piedistalli
di gemme e begli ornamenti".
È il grande insegnamento
sull’originazione dipendente di
Shakyamuni Buddha: perché
c’è questo, esiste quest’altro.
È un fatto incoraggiante
in un’epoca di guerra. Ma se penso
alla pace come a qualcosa che
è possibile descrivere
e tenersi stretto, se creo un
concetto di qualcosa chiamata
pace e mi ci aggrappo, sorgono
le condizioni per la guerra. Dogen
insegna che c’è una pace
al di sotto e al di là
della nostra ordinaria nozione
di pace e che zazen è contemporaneamente
la porta a questa pace e la sua
espressione. Il lavoro dello Zen
e il sogno della pace nel mezzo
del dolore e del conflitto non
sono due cose separate.
Allora, qual è il nostro
compito?
DARE.
Permettetemi di offrirvi tre approcci
alla costruzione di pace buddhista:
dare, assenza di paura, e rinuncia.
La pratica essenziale della pace
è dare, dana paramitta.
Dare la propria attenzione, amicizia,
e aiuto materiale. Dare insegnamenti
spirituali, costruire comunità,
organizzare. Dare è la
prima delle perfezioni e il primo
dei quattro metodi guida del Bodhisattva.
Include tutte le altre perfezioni.
Nel Bodaisatta Shisho-Ho
Dogen raccomanda:
"Dare vuol dire non essere
avidi. Non essere avidi vuol dire
non bramare. Non bramare significa
non cercare di ingraziarsi nessuno.
Anche se sei al governo dei quattro
continenti, dovresti sempre trasmettere
il corretto insegnamento con non
avidità. Vuol dire dare
quello che hai di superfluo a
chi non conosci, offrire fiori
che sbocciano su una remota montagna
al Tathagata, o, ancora, offrire
tesori che hai avuto in una vita
precedente agli esseri senzienti.
Ogni regalo, che sia un insegnamento
o un bene materiale, ha il suo
valore ed è degno di essere
dato".
Dare inizia da se stessi. Do me
stesso alla pratica e la pratica
offre se stessa a me. Nella mia
ricerca della pace e della liberazione,
scopro che c’è sempre l’odore
della guerra. Il sapore delle
lacrime, il dubbio che corrode,
il decadimento sono inclusi nell’orbita
del mio corpo e della mia mente.
La guerra è qui, proprio
dove mi nascondo dietro una maschera
di attaccamento al sé,
una difesa fatta di privilegi,
separandomi dagli altri. L’autentico
dare è ricevere il dono
della mente di zazen e trasmetterla
agli altri con le parole e le
azioni. Significa non nascondersi.
Offriamo doni e guida in varie
forme. I quattro metodi guida
di Dogen nel Bodaisatta Shisho-Ho,
dare, parola gentile, azione benefica,
e azione-identità, si sviluppano
sull’insegnamento della pace del
Buddha stesso, chiamato in pali
sangha vatthu o i fondamenti per
l’unità sociale: dana,
generosità; piyavaca, parola
gentile; atthacariya, azione giovevole;
e samanattata, imparzialità
o partecipazione equanime. Al
centro di questi insegnamenti
c’è la comprensione che
la pace crea connessione. Al livello
più semplice, vengono offerti
beni materiali. A un livello più
elevato, viene condiviso l’insegnamento.
E al livello massimo, c’è
solo la connessione, l’eterna
società dell’essere, la
vasta assemblea dei Bodhisattva.
Nel meraviglioso libro di Lewis
Hyde, The gift, egli descrive
una cena in un modesto ristorante
nel sud della Francia:
"Gli avventori siedono a
un lungo tavolo comune e ognuno
ha davanti al suo piatto una bottiglia
di vino a buon mercato. Prima
di iniziare a mangiare, un uomo
versa il suo vino non nel suo
bicchiere, ma in quello del suo
vicino. E il suo vicino restituirà
il gesto, riempiendo il bicchiere
vuoto del primo uomo. In senso
economico, non è successo
niente. Nessuno ha più
vino di quanto ne avesse all’inizio.
Ma è comparsa una società
dove prima non c’era niente".
Lo stesso regalo è un regalo
solo finché circola. Un
monaco o una monaca portano di
casa in casa una ciotola vuota,
o siedono nello zendo con le ciotole
oriyochi disposte in ordine sulla
corteccia di quercia. La ciotola
è il vuoto, tuttavia in
questo mondo materiale viene offerto
il cibo perché si possa
vivere. Il vuoto e la forma interagiscono
e danzano. Dopo aver mangiato,
il monaco o la monaca trasformano
il cibo in azione e in pratica,
facendolo tornare al vuoto dell’interdipendenza
e della connessione, che di nuovo
viene offerta per nutrire tutti
gli esseri. La danza della pace
continua.
Quando incarniamo realmente il
voto del Bodhisattva di salvare
tutti gli esseri senzienti, allora
zazen è un dono silenzioso
che trasforma. Lo riceviamo con
gratitudine dagli antenati buddha
e da tutti i nostri insegnanti
umani, e lo trasmettiamo. Ancora
Lewis Hyde:
"Vorrei parlare della gratitudine
come di un lavoro intrapreso dall’anima
per realizzare la trasformazione,
dopo aver ricevuto un dono. Nell’intervallo
di tempo che passa tra il ricevimento
del regalo e la sua trasmissione,
proviamo gratitudine. Inoltre,
con i doni che sono portatori
di cambiamento, è solo
quando il regalo ha lavorato in
noi, solo quando ci eleviamo al
suo livello, per così dire,
che possiamo darlo via di nuovo.
Passare il dono ad altri è
l’atto di gratitudine che conclude
il lavoro. La trasformazione non
è compiuta finché
abbiamo il potere di dare il dono
alle nostre condizioni".
Durante il recente bombardamento
NATO in Serbia, un mio amico propose
che gli Stati Uniti offrissero
quattro anni di educazione universitaria
in America, eventualmente anche
qui a Stanford, a ogni giovane
serbo e albanese in età
di leva militare. Questa possibilità
li provvederebbe di strumenti
intellettuali e tecnici per la
pace. Sarebbe molto più
economico dei bilioni di dollari
che spendiamo in armamenti e in
morte.
Gli Stati Uniti (e su loro mandato
le Nazioni Unite) hanno imposto
aspre sanzioni all’Iraq per circa
un decennio. L’Iraq è stato
bombardato tanto assiduamente
nell’ultimo anno che i bombardamenti
non fanno più notizia.
Sette milioni di bambini e di
vecchi sono morti per mancanza
di medicine e cibo. I negozi sono
deserti, le farmacie vuote. E
se offrissimo alla gente in Iraq
tutto il cibo e le medicine di
cui hanno bisogno? Cosa ci perderemmo
se seguissimo una politica di
generosità, o dana, anziché
una politica di minaccia e di
violenza verso gli innocenti?
Quali sarebbero gli effetti politici?
Quali risultati karmici ne risulterebbero?
Ancora una volta, sarebbe molto
più economico che bombardare.
Sicuramente, queste sembreranno
proposte ingenue. Falliscono,
tenendo conto del potere dei mercanti
di armi, dell’avidità delle
società per azioni, e delle
paure dei politici che vengono
vendute come verità alla
gente comune.
Ma non dovremmo avere il coraggio
di essere ingenui? Cosa ci si
perde a dire verità ovvie?
Possiamo spiegare ragionevolmente
la verità di dana a quelli
che sono al potere? Possiamo aiutarli
ad aprire gli occhi sull’inutilità
della guerra? C’è sempre
un sentiero di pace.
L'ASSENZA DI PAURA.
La pratica della pace è
senza paura. Questo ci riporta
di nuovo a dana, dare e cedere.
Per dare qualcosa a un nemico
o a un avversario, bisogna essere
senza paura. C’è una storia
nel "La Caverna della Tigre"
che mi ha accompagnato per anni.
Quando un esercito ribelle arrivò
per setacciare una città
della Corea, tutti i monaci del
tempio Zen, tranne l’abate, fuggirono.
Il generale entrò nel tempio,
seccato che l’abate non lo ricevesse
con rispetto, urlò: "Non
sai, che hai davanti un uomo che
può trafiggerti senza battere
ciglio?".
"E tu", replicò
saldamente l’abate "hai davanti
un uomo che può lasciarsi
trafiggere senza battere ciglio".
Il generale lo fissò, fece
un inchino, e se ne andò.
Gli antichi racconti del Jataka,
che derivano a loro volto dal
folklore indiano ancora più
antico, raccontano le precedenti
vite da bodhisattva di Shakyamuni
Buddha. In essi, assenza di paura
e generosità sono strettamente
intrecciate. Un principe offre
il suo stesso corpo per nutrire
una tigre femmina. Un pappagallo
spegne un incendio nella foresta,
scuotendo l’acqua del fiume dalle
ali, finché gli dèi
sono mossi a pietà. Una
lepre si sacrifica per fare da
pasto a Shakra, re degli dèi,
che si era travestito da mendicante.
Sempre di nuovo, il futuro Buddha
dona il suo sforzo estremo e la
sua stessa vita per amore degli
altri esseri bisognosi. Scrive
Dogen: "...nel mondo umano
il Tathagata assunse la forma
di un essere umano. Da questo
deduciamo che fece lo stesso in
altri reami".
La pace non è fatta solo
di parole serene e di un comportamento
gentile. In essa c’è l’acciaio
e la forza e il vigore. Penso
spesso a Maha Ghosananda in Cambogia,
che semplicemente decide di attraversare
camminando il suo paese immerso
in una violenta guerra civile.
La sua tunica color zafferano
è sia un rifugio che un
bersaglio. Penso anche a Thich
Nhat Hanh, che Richard Baker descrisse
come "un incrocio tra una
nuvola e un pezzo di armamento
pesante". Incontrando questi
ispiranti maestri, si può
avvertire nel cuore delle loro
azioni l’acciaio dell’intenzione.
In zazen entriamo in intimità
con tutti i tipi di paura. Una
paura molto personale. Arriviamo
a capire che temere la morte o
una grave perdita non è
molto diverso da temere più
umili eventi, come incontrare
il proprio insegnante faccia a
faccia, celebrare una nuova cerimonia,
o semplicemente sedere in silenzio.
È la paura stessa a offrirci
un’apertura al non conosciuto.
Se continuiamo a costruire la
pace nella consapevolezza della
nostra paura, c’è spazio
perché svanisca la paura
di chiunque. Nasce un reciproco
rispetto.
LA RINUNCIA.
Un terzo elemento per costruire
la pace è la rinuncia o
l’abbandono. Naturalmente, anche
questo è inseparabile dal
dare. Scrive Dogen: "Se studi
profondamente il dare, scopri
che accettare un corpo e rinunciare
al corpo sono entrambi dare".
Nel Shobogenzo Shoji, egli
ci esorta: "Accantona il
corpo e la mente, dimenticali,
e buttati mente e corpo nella
casa del buddha". Ma oggi
la rinuncia è un principio
difficile per chi pratica lo Zen.
Tristemente, il sentiero dello
Zen dell’attuale mondo materialista
dà un’adesione meramente
formale alla rinuncia. Dopo aver
lasciato cadere corpo e mente,
il duro lavoro di lasciar andare
le cose non è che all’inizio.
Il secondo precetto del Bodhisattva
è non rubare o non prendere
ciò che non è dato.
Per gente come noi, del cosiddetto
mondo a sviluppo avanzato, America,
Europa, Giappone, è quasi
impossibile. Molti di noi, anche
preti, conducono vite privilegiate
in paesi ricchi, le cui economie
si fondano sul ladrocinio delle
risorse limitate del nostro pianeta
e sul duro lavoro dei popoli poveri
di tutto il mondo. L’ingiustizia
della povertà e della ricchezza
è già di per sé
una forma di violenza. Ogni volta
che viaggiamo in macchina o in
aereo, ogni pasto che consumiamo
al ristorante, ogni articolo di
alta tecnologia che compriamo,
ci rende complici della violenza.
Stiamo rubando. Proprio non possiamo
stare in disparte o uscire da
questo sistema. Ma se ognuno di
noi coltivasse la consapevolezza
dei legami tra consumo e violenza,
potremmo cominciare a fare delle
scelte riguardo a quanto ha veramente
valore nella nostra vita e quanto
valutiamo le vite degli altri.
Solo a quel punto l’abbandono,
la rinuncia è possibile.
Ma è necessario che i nostri
sforzi vadano oltre.
In un recente articolo sul New
York Times Magazine, il filosofo
e moralista Peter Singer costruisce
un’argomentazione accorata e convincente
a favore della rinuncia radicale
per il suo pubblico di lettori
della classe media, come molti
di noi. Scrive: "Nel mondo
quale è oggi non vedo alternativa
alla conclusione che ognuno di
noi con un sovrappiù di
ricchezza, rispetto ai suoi bisogni
essenziali, dovrebbe darne la
maggior parte per aiutare le persone
che vivono in una povertà
così atroce da averne minacciata
la vita. È così:
sto proprio dicendo che non dovreste
comprare la macchina nuova, fare
quella crociera, ridipingere la
casa, o prendere quel costoso
abito nuovo. Dopo tutto un abito
da 1000 $ (o un assortimento
di vestiti costosi) potrebbe salvare
la vita di cinque bambini".
Un’antica massima quacchera dice:
"Dì la verità
al potere". La verità
è che le organizzazioni
mondiali e le nazioni armate promuovono
il furto e l’oppressione nel mondo.
Nascondendosi dietro l’anonimato
delle sigle e delle insegne, le
società distorcono il principio
del dharma dell’interdipendenza
in uno strumento di manipolazione
e di avidità, e la religione
organizzata raramente lo mette
in questione. O se solleva la
questione, quasi mai ingaggia
una sfida decisiva. In effetti,
le religioni organizzate approfittano
spesso degli investimenti e del
sostegno diretto e indiretto del
governo. Quindi, la nostra responsabilità
come rinuncianti va ben al di
là della personale rinuncia.
Dovremmo unirci gli uni agli altri,
nello stesso modo in cui siamo
gli uni con gli altri e ci sosteniamo
nello zendo, per demolire le istituzione
fondate sull’avidità, l’odio,
e la confusione, e costruire nuove
strutture volte alla liberazione
e ispirate a valori spirituali
che appartengano a tutti, non
solo a presidenti, generali, milionari
e padroni.
Questi nuovi legami e nuove strutture
assumeranno diverse forme. L’ambito
del sangha può fare da
modello per i nostri posti di
lavoro e per le fabbriche. La
nostra società civile deve
essere costruita sul mutuo rispetto,
sulla pazienza e la partecipazione,
anziché sull’oro e l’argento.
Onestamente, non so come sarà,
ma sento che è responsabilità
della comunità Zen e di
tutte le comunità di fede,
essere presenti proprio al cuore
delle cose.
Finché non iniziamo a lasciar
andare la nostra egocentricità
e i nostri desideri, non possiamo
veramente ascoltare o parlare
agli altri di pace. Non riusciremo
a capire che, di fatto, non esistono
gli "altri". Le persone
che rischiano la vita o vivono
in povertà hanno il naso
fino per distinguere l’ipocrisia
dall’onestà. Non possiamo
chiedere ai poveri e agli oppressi
di fare sacrifici, quando ci vedono
proteggere le nostre vite costruite
sulla comodità e il privilegio,
quando sosteniamo sconsideratamente
intere nazioni fondate sul privilegio.
Rinunciare al privilegio, al privilegio
maschile, al privilegio bianco,
al privilegio di classe, al privilegio
nazionale, è la pratica
di rinuncia di un buddhismo socialmente
impegnato. È spesso più
facile che siano gli altri a vedere
i nostri privilegi, mentre noi
ci gironzoliamo dentro da ciechi.
Aprire il nostro occhio dharmico
implica la rinuncia ai privilegi,
nessun divario tra sé e
l’altro. Dal punto di vista del
privilegio sembra un sacrificio,
ma da quello della pratica è
semplicemente lasciar cadere il
privilegio per compassione degli
altri e di se stessi. Shunryu
Suzuki scrisse: "Rinuncia
non è dar via le cose del
mondo, ma accettare che se ne
vadano".
UN ESERCITO DI PACE.
Shakyamuni Buddha cercò
di prevenire una guerra imminente
tra gli antichi stati di Magadha
e Kapilavattu, patria del suo
stesso clan Shakya. Usò
la logica e la persuasione, e
alla fine sedette in zazen sotto
un albero morto, al margine del
campo di battaglia:
"...Siccome faceva molto
caldo, [il re di Magadha] non
riusciva a capire perché
il Buddha sedesse sotto un albero
morto; di solito la gente si siede
sotto rigogliosi alberi verdi.
Perciò, il re chiese: ‘Perché
siedi sotto un albero morto?’.
Il Buddha rispose con serenità
al re: ‘Sento fresco anche sotto
questo albero morto, perché
cresce vicino al mio paese d’origine’.
Queste parole straziarono il cuore
del re, che rimase così
colpito dal messaggio del gesto
del Buddha da non poter più
procedere. Anziché attaccare,
fece ritorno al suo paese. Ma
l’attendente del re non smise
di incoraggiarlo ad attaccare
ed egli finì per ascoltarlo.
Questa volta, sfortunatamente,
Shakyamuni Buddha non ebbe il
tempo di fare alcunché.
Senza dire una parola, rimase
fermo ad osservare la distruzione
del suo paese e della sua gente".
Il tentativo del Buddha di fermare
la battaglia fallì, perché,
come scrisse Dogen: "La mente
di un essere senziente è
difficile da cambiare". Questo
fallimento deve avergli causato
un terribile dolore, pari alla
nostra sofferenza per i campi
di sterminio del mondo moderno.
Ma il suo sforzo di costruire
la pace partendo dal terreno della
sua stessa mente è una
grande lezione. Il punto non è
il successo o il fallimento. Il
nostro cuore e le nostre azioni
compassionevoli hanno un effetto
al di là del successo e
del fallimento, anche se non sempre
possiamo vedere questo effetto.
I buddhisti impegnati e le persone
di tutte le tradizioni di fede
vogliono creare un esercito nonviolento
di pace, quello che Gandhi chiamava
un santi sena. È un aspetto
su cui si è seriamente
discusso la scorsa primavera al
fondamentale raduno dell’Aia,
Appeal for Peace. Quante vite
si sarebbero potute risparmiare
in Serbia e in Kosovo se avessimo
messo a disposizione diecimila
testimoni anziché bilioni
di dollari di bombe? Quante persone
ne trarrebbero beneficio, se ci
opponessimo alla corruzione, alla
violenza, al traffico di droga
nel territorio in cui viviamo?
La pratica gandhiana di "nonviolenza
attiva" include il portare
testimonianza e l’intervento pacifico.
Nelle guerre e nei conflitti locali,
regionali, religiosi e nazionali,
un esercito di pace potrebbe sostituire
i soldati armati, le mine di terra,
i carri armati, i caccia a reazione.
Gli strumenti di un esercito della
pace sarebbero orecchie per ascoltare,
parole per condividere, braccia
per abbracciare, e corpi in postazione
per opporsi all’ingiustizia. Quest’esercito
avrebbe una formazione in meditazione,
riconciliazione, e generosità.
La sua disciplina includerebbe
la pazienza, l’equanimità,
l’altruismo, e una profonda comprensione
dell’impermanenza. Il suo "centro
di addestramento reclute"
sarebbe molto diverso da quello
del nostro esercito o dall’addestramento
della marina, ma altrettanto rigoroso
in tutto e per tutto. La sua organizzazione
sociale includerebbe lo stanziamento
di cibo, medicine, vestiti, da
condividersi con gli altri da
ogni lato del conflitto.
Un esercito di pace può
mettersi a sedere sul campo di
battaglia, proprio in prima linea
per salvare gli altri affrontando
lo stesso pericolo dei soldati
e dei civili. È necessario
assumersi dei rischi nella pratica
Zen. E anche nel costruire la
pace è necessario assumersi
dei rischi. Penso a questo aspetto
come a un’autentica espressione
dell’azione di identità:
immedesimarsi con i soldati, i
guerriglieri, con i profughi,
identificarsi con la terra stessa
bombardata e mandata a pezzi.
È un suicidio? Forse. È
come il gesto di Thich Quang Duc,
che si immolò pubblicamente
in Vietnam nel 1963, quando i
suoi compagni monaci e monache
vennero designati come bersaglio
della repressione, e il suo paese
era in fiamme. Ma il suo scopo
era la pace, non il suicidio.
Il gesto di Quang Duc sconvolse
il mondo risvegliandolo alla consapevolezza
della sofferenza del Vietnam.
Samanattata o azione-identità,
come la traduce Dogen, è
il principio informatore dell’addestramento
dell’esercito della pace. Il nazionalismo,
lo sciovinismo e i metodi politici
tradizionali sono radicati nella
separazione e nell’identità
egoica, ma l’azione di identità
significa rendere personale la
non separazione e l’interdipendenza.
Tutti gli esseri desiderano la
felicità, l’agio e la liberazione.
Qualsiasi odio possa vedere nel
mio nemico o nel mio oppositore
esiste simultaneamente in me,
talvolta come un contenuto potenziale
e talaltra come una presenza ripugnante.
Lo stesso vale per il bene. Questa
comprensione non è limitata
al buddhismo. Risplende negli
insegnamenti di Gesù, di
Gandhi e di Martin Luther King,
che hanno tutti predicato l’amore
nelle peggiori circostanze.
I BODHISATTVA SONO IN MEZZO A
NOI.
I bodhisattva sono in mezzo a
noi. In ogni singolo respiro ognuno
di noi può diventare un
essere illuminato. Nel prossimo
respiro possiamo cadere nelle
nostre vecchie abitudini di sconsideratezza
e di violenza. Zazen rivela che
la scelta è sempre con
noi. Le nostre azioni confuse
e potenzialmente nocive contengono
semi che possono sbocciare nella
meraviglia della pace o in un
terribile danno. La nostra visione
può dare sostegno al mondo
se solo osiamo guardare in profondità.
Il nostro grande antenato, Layman
Vimalakirti, così descrisse
il sentiero del Bodhisattva:
Durante i brevi eoni delle
armi
Meditano sull’amore
Iniziando alla nonviolenza
Centinaia di milioni di esseri
viventi.
Nel fuoco di grandi battaglie
Rimangono imparziali verso entrambi
gli schieramenti;
Per bodhisattva di grande valore
Delizia è la riconciliazione
del conflitto.
Per poter aiutare gli esseri viventi,
Discendono volontariamente
Negli inferni che affiancano
Tutti gli straordinari campi-di-buddha.
Duemila anni dopo, teniamo ancora
fede a questa sfida, venendone
meno e facendone di nuovo voto.
Prendiamo seriamente i nostri
voti e diveniamo bodhisattva.
Rispettiamo la tradizione Zen
e i buddha antenati, ma rendiamoci
sinceramente responsabili verso
tutti gli esseri ora e nel futuro.
Portiamo pace e mente di zazen
proprio al centro del nostro mondo
confuso, sofferente, meraviglioso.
Per favore, state attenti a quel
che fate e non sprecate il vostro
tempo.
Molte persone, consapevolmente
e inconsapevolmente, mi sono state
d’aiuto nella stesura di questo
saggio: Robert Aitken, il Bhikku
Santikaro, Laurie Senauke, Helen
Schley, Greg Mello, Ken Kraft,
Ken Jones, e Diana Winston. Nove
inchini a loro e a innumerevoli
altri.
Testo dell’intervento al simposio
su Dogen che si è svolto
presso la Stanford University,
ottobre ’99.
Traduzione di Chandravimala Candiani
Hozan
Alan Senauke è direttore
del Buddhist Peace Fellowship
dal 1991. Offre il suo servizio
anche nell’Executive Committee
of the International Network
of Engaged Buddhists, dove
lavora a fianco di attivisti
buddhisti laici e monaci
provenienti da Asia, Europa
e Stati Uniti. Alan è
un prete Soto Zen della
famiglia di Shunryu Suzuki
Roshi, ha ricevuto la trasmissione
del Dharma da Sojun Mel
Weitsman Roshi nel settembre
del 1998. Vive con sua moglie
Laurie e i loro due bambini
al Centro Zen di Berkeley,
in California. In un altro
campo, Alan è molto
noto come studioso e performer
di musica tradizionale americana
da più di trentacinque
anni. |