"Che io possa avere il tempo di ascoltare"
di Susannah Travis
Testimonianza dal pellegrinaggio in Germania


Ho partecipato al pellegrinaggio zen con Claude Anshin Thomas camminando lungo l’intero percorso, da Berlino a Trier, per mille chilometri. Non ho ancora un’immagine chiara di che cosa è stata per me questa esperienza; è al di là di qualsiasi altra cosa abbia mai incontrato prima in vita mia e non ho dunque nessun punto di riferimento per fare paragoni. Il solo atto di provare a farne mi porta fuori dai miei modelli abituali di vita e pensiero aprendomi alla possibilità che il mondo possa essere un posto diverso da quello che ho sempre conosciuto.
Non si è trattato di un campeggio di fine settimana, ma della pratica spirituale incarnata. Tutto ciò in cui dicevo di credere ha preso corpo.
La prima volta che ho ascoltato Anshin parlare mi ricordo che disse che se vogliamo che le cose siano diverse, dobbiamo farle in modo diverso. Ciò che mi colpì di più di questa affermazione fu che mi mostrò come potevo partecipare alle circostanze della mia esistenza. Ho il potere di scegliere, e ogni volta che scelgo diversamente dai modelli abituali in cui sono rinchiusa, le cose accadono in modo diverso. Questa è l’espiazione.
Più importante dei nomi dei campi che abbiamo visitato o dei chilometri che abbiamo percorso a piedi è stato l’aspetto personale che questa pratica ha suscitato in me, portandomi in contatto con la mia sofferenza più profonda. Ho camminato in posti di questa terra dove sono stati compiuti atti di un orrore tale da essere inimmaginabile. Ho imparato che il silenzio su questi atti aiuta a perpetuare la sofferenza, che devo trovare il linguaggio per questo paesaggio, perché sia liberato.
Nel campo di concentramento di Buchenwald abbiamo letto ad alta voce i nomi di coloro che vi morirono. Sediamo in un largo cerchio accanto al crematorio e quattro persone allo stesso tempo, sedute nelle quattro direzioni, leggono per un’ora la lista dei nomi. Mi sento male e ho le vertigini, mi sento bruciata dal sole nudo. Mi chiedo come possa aiutare questa recitazione. Mi sento completamente indifesa davanti a un simile dolore. Mi chiedo se c’è un modo in cui coloro che sono morti possano ritrovarsi nel suono dei loro nomi e portati in cielo.
Che cosa vuol dire portare testimonianza? Sto in piedi davanti ai forni crematori e fisso il posto dove i corpi torturati venivano ridotti in cenere. Se solo guarderò abbastanza, svanirà come un brutto sogno; capirò che cosa ha reso possibile tutto questo?
Siamo nelle baracche che una volta erano delle SS. La prima volta che vado a fare la doccia la sera sono sola nella stanza. Vado sotto l’acqua calda e cerco di lavare le immagini dei corpi che cadono a terra man mano che viene immesso il gas dalla mia mente. Cerco di non vedere ancora una volta la tavola spezzata, fatta di mattonelle color crema, con inciso lo scolo, dove i cadaveri venivano scuoiati per farne paralumi su richiesta della moglie del comandante. Non voglio lasciare l’acqua calda: è come se fossero lacrime che scendono giù lungo il mio corpo.
I prigionieri hanno costruito il campo; furono obbligati a creare le strutture che poi li avrebbero uccisi. Esco e mi stendo sulla terra che è mischiata con le loro ceneri. Mi meraviglio degli alberi che hanno tollerato tutto ciò, del cielo che non ha battuto ciglio, rimasto aperto su di loro. Vedo come la mia vita non sia diversa, scegliendo le abitudini e la comodità invece della vera presenza, sostengo un sistema che sarà la mia distruzione. Quando mi rivolgo con rabbia agli altri partendo dalla mia paura, in che cosa differisco dalla guardia che uccide il prigioniero perché il suo ufficiale superiore lo ha rimproverato quella stessa mattina?
Non avevo mai saputo che questi stessi campi furono impiegati per tenervi i soldati tedeschi dopo la guerra, che la rabbia delle vittime si espresse punendo gli aguzzini, facendo loro ciò che essi avevano subìto. Non avevo nemmeno mai saputo che erano esistiti posti come Hadamar: ospedali usati come prima linea nello sterminio. I militari tedeschi che non riuscivano a compiere le stragi che si pretendeva da loro venivano anch’essi uccisi qui insieme ai malati mentali e ai bambini ritenuti razzialmente impuri. Ciascuno era una vittima di questa malattia; so che se non sarò capace di toccare la sofferenza dentro di me, allora continuerò a perpetuare la sofferenza nel mondo.
In un campo prigione che abbiamo visitato vicino Torgau, abbiamo visto le celle di pietra dove venivano rinchiusi i dissidenti politici. Su di un muro ci sono delle minuscole parole incise da un uomo che è stato costretto a vivere in questo inferno: "Voglio tornare a casa". Capisco questo tipo di disperazione. Mi sono trovata nel corso della mia vita a urlare le stesse parole. In fondo all’atrio c’è un muro alla memoria, delle grandi lettere dicono: "Nessuno ha amato il cielo come noi". La preziosità può sopravvivere alla brutalità? Siamo nel cortile di quell’edificio e guardiamo gli uccelli volare in cerchio e riunirsi sui cornicioni. Vorrei aver potuto dare a quegli uomini delle ali. Vorrei aver potuto fare qualcos’altro per loro che stare muta, in piedi, sullo stesso suolo dove le loro vite vennero strappate da altri esseri umani. Una donna del nostro gruppo si gira e mi dice: "Pensa quanto questo pezzo di cielo avrà significato per loro". Chiudo gli occhi e mi giro verso gli ultimi raggi di sole che ancora indugiano.
Non ho risposte. Questa pratica è un processo costante che cambia solo forma. Continuerò a digerire questa esperienza per il resto della mia vita. Non penso che racconterò mai l’intera storia. La memoria spesso produce una serie di istantanee nella mia testa, brevi momenti che appaiono dal fluire del tempo e catturano la mia attenzione. I due mesi della marcia sono ancora vivi dentro di me, un paesaggio di colore e movimento. Ancora mi parlano e mi raccontano storie. Che io possa avere il tempo per ascoltare.

Claude Anshin Thomas durante il pellegrinaggio