Passi
di pace attraverso la Germania
di Wiebke KenShin Andersen
Testimonianza dal pellegrinaggio
in Germania
"Non
evitare il contatto con la sofferenza
e non chiudere gli occhi davanti
a essa, non perdere la consapevolezza
che nel mondo esiste la sofferenza.
Trova la via per convivere con
la sofferenza. Risveglia te stesso
e gli altri alla realtà
della sofferenza che esiste nel
mondo".
Il ritiro di due mesi è
iniziato con il mio arrivo giovedì
12 agosto 1999 alla stazione Zoo
di Berlino. In questa città
ho vissuto quattro anni, dal 1994
al 1998. Berlino porta ancora
evidenti i segni della Seconda
guerra mondiale, su questo specifico
argomento dalla mia famiglia non
ho mai saputo molto. Nell’impresa
che sto per affrontare, ripercorrerò
la sofferenza della Seconda guerra
mondiale attraverso la visita
ai campi di concentramento tedeschi,
ai campi di prigionia, alle carceri
e ad altri luoghi di sofferenza.
Sì: andare. "Passi
di guarigione", come nei
fondamenti della pratica del pellegrinaggio.
Cammineremo senza portare denaro
con noi, con tutti i nostri bagagli
sulle spalle, percorrendo ogni
giorno una distanza di 25-30 chilometri,
senza sapere dove alloggeremo
la notte. Ovunque andremo chiederemo
asilo, come nel takahatsu della
tradizione buddhista, facendo
la questua. Vogliamo sperimentare
più intimamente il cuore
della pratica dello Zen Peacemaker
Order e vogliamo imparare ad assimilarlo,
a farlo diventare nostro: entrare
nel non conosciuto, portare testimonianza
e rendere possibile la guarigione.
Siamo equipaggiati con uno zaino
volutamente leggero e con stivali
LOWA, già collaudati in
passato da Claude Anshin
Thomas. Venerdì ci incontriamo
con gli altri pellegrini presso
il lago Wannsee, vicino Berlino,
dove in una villa fu discussa
e approvata la "soluzione
finale" per gli ebrei. La
decisione di annientare gli ebrei
era stata presa fin dall’ascesa
al potere di Hitler ed egli del
resto non ne aveva mai fatto mistero,
come si può leggere nero
su bianco nel suo libro Mein
Kampf. In generale la gente
pensò che quella di Hitler
fosse solo una breve apparizione
sulla scena politica. In seguito
a questa valutazione errata, le
conseguenze dei 13 anni di dittatura
nazista sono state disastrose.
Due sono le osservazioni che mi
colpiscono durante la "Giornata
di consapevolezza" che passiamo
in quel luogo: da una parte la
grande e diffusa insensibilità
e il non sentirsi responsabili
di coloro che parteciparono alla
dittatura e alla distruzione di
massa e dall’altra la pubblicità
con cui avvenivano le deportazioni.
Non erano solo i sostenitori del
nazismo a sapere che cosa stava
accadendo, ma anche molti altri
cittadini, a tutti i livelli della
società, come per esempio
le segretarie, i postini, gli
impiegati dell’azienda elettrica
e del gas, i ferrovieri... Tutti
avevano la prova certa che sui
documenti delle deportazioni non
c’erano date di ritorno.
E io potevo toccare la mia insensibilità
e connivenza così come
si presentano nella vita di tutti
i giorni. Mi sono forse mai chiesta
come vivano gli immigrati nelle
"case di accoglienza"?
O quale ruolo sto svolgendo anch’io
nella distruzione del pianeta
Terra?
I due giorni seguenti, sabato
e domenica, li trascorriamo nelle
stazioni da cui partivano i treni
per la deportazione e lo sterminio.
Binario 17 a Grunewald: da qui
sono stati deportati gli ebrei
tedeschi. Ci spostiamo dal deposito
ai binari, in silenzio, formando
una catena umana. Procedo a testa
alta o inclinata, guardo i giardini
in fiore, i volti delle persone
che incontriamo. Come sarà
stato quel giorno per gli ebrei?
Avevano idea di dove stavano andando?
Domenica ci troviamo al campo
di concentramento di Sachsenhausen,
vicino Berlino. È una giornata
burrascosa, è l’inizio
del pellegrinaggio.
Come assistente di Claude Anshin
sono io a prendere i contatti
e la persona a cui fare riferimento.
Tra l’altro ho il compito di leggere
le carte stradali con precisione
assoluta, cosa che però
non ci impedisce a volte, purtroppo,
di perderci e di tornare indietro.
Sono stata presente e ho avviato
molti incontri, vivendoli in prima
fila. "Pellegrinaggio come
pratica spirituale", parole
altisonanti che per noi significano
vivere ogni giorno in maniera
semplice e disciplinata per i
due mesi che seguiranno.
Ogni mattina iniziamo la giornata
con la meditazione e una cerimonia.
Poi facciamo colazione e riordiniamo
il bagaglio e via, di nuovo con
il naso al vento! Lasciamo i rifugi
abituali e fidati che mostrano
il nostro rifiuto a risvegliarci
alla realtà della sofferenza:
niente alcool, niente sigarette
o altre droghe, niente televisione,
cinema o telefono, nessun lavoro
abituale, niente spesa o qualsiasi
altra attività che ci possa
distrarre.
Siamo un gruppo di persone che
vivono insieme ogni giorno, 24
ore su 24. E certamente ognuno
trova uno o più riflessi
di se stesso negli altri. Sei
persone si sono impegnate a percorrere
l’intera distanza tra Sachsenhausen
a Treviri, passando per Berlino:
tre uomini e tre donne di nazionalità
tedesca, vietnamita e americana.
Ognuno spinto da motivi suoi,
unici e individuali. Lungo il
percorso in tutto ci accompagnano
altre 35 persone.
Mi domando: "Chi sarà
colpito da un così esiguo
gruppo di persone in cammino?".
L’effetto, invece, è enorme.
Nessuno dovrebbe mai sottovalutare
la possibilità di quanto
una singola persona sia in grado
di scatenare. Come esempi, voglio
qui ricordare solo Gesù,
Buddha e Hitler.
Gli abitanti dei luoghi che attraversiamo,
i mezzi di informazione locali
si dimostrano molto aperti e interessati
mentre io lo sono soprattutto
ai processi che avvengono dentro
di me. Claude Anshin ci
ricorda sempre di riconoscere
come siano vivi i semi e le tracce
della sofferenza passata. Quanto
tutto ciò sia doloroso,
lo vedo in me.
A Osthofen sul Reno si trova il
principale centro informazioni
della regione Rheinland-Pfalz.
Qui nel 1933 sorse il primo campo
di concentramento che in seguito
divenne il modello per tutti gli
altri. Mi trovo davanti a un tabellone
ben illuminato e leggo le parole
di una giovane ragazza che durante
il regime nazista era diventata
capogruppo nella "Federazione
delle ragazze tedesche":
descrive come si sia sentita orgogliosa
della nomina e di aver provato
un forte sentimento di appartenenza
e unità. Condivideva il
fatto che le ragazze dopo tre
assenze agli incontri venissero
portate davanti alla polizia.
Anch’io amo la disciplina della
pratica Zen, i rituali, il senso
di appartenenza e di sicurezza.
Su altri tabelloni esposti leggiamo
di atti di tirannia e vessazione.
Claude Anshin mi racconta
che tutto questo gli ricorda l’addestramento
ricevuto a 17 anni prima di partire
per la guerra in Vietnam. Nella
pratica Zen, così come
nell’addestramento militare e
nei campi di concentramento tedeschi,
l’attenzione non è forse
rivolta a "rompere"
la persona?
Mi è diventato chiaro come
la differenza si trovi nella motivazione,
nell’intenzione e nelle conseguenze.
Ciò mi ha indebolito, ma
anche incoraggiato a rimanere
sempre critica, così come
è detto nell’insegnamento
Zen. Tutti i sistemi di pensiero
sono solo mezzi di orientamento,
non sono la verità assoluta,
neppure quello buddhista.
L’11 settembre siamo a arrivati
al campo di concentramento di
Buchenwald. Nel 1999 Weimar è
stata dichiarata città
della cultura e alla stazione
hanno costruito un centro informazioni
che ricorda le angherie perpetuate
durante il periodo nazista. Si
vedono fotografie della stazione
ricoperta di innumerevoli bandiere
con la croce uncinata, ci sono
poi anche fotografie e registrazioni
del generale americano Patton
che nel 1945 liberò il
campo di concentramento di Buchenwald
con la sua armata. Dopo la liberazione
lo stesso Patton portò
nel campo più di mille
abitanti di Weimar affinché
vedessero con i loro occhi la
realtà del campo appena
liberato.
Nella stazione, proprio davanti
al monumento commemorativo, meditiamo
e facciamo una cerimonia. È
facile sedere in silenzio in questo
spazio di meditazione calmo, caldo
e profumato. Ma è veramente
una provocazione in mezzo a migliaia
di persone conservare la concentrazione.
Parte del ritiro di due giorni
nel campo lo passiamo a leggere
l’appello dei nomi di coloro che
morirono qui. Buchenwald non era
un campo di sterminio come Auschwitz;
come mezzo di distruzione e sfruttamento
veniva usato il lavoro. Si moriva
per malattia, fame, freddo, per
tortura e sevizie.
Davanti al crematorio ci siamo
seduti per terra formando un quadrato
e le quattro persone sedute nei
punti cardinali leggevano la lista
dei morti.
Le voci e i nomi tuonavano nel
silenzio della meditazione e nella
consapevolezza del luogo.
Leggo e piango quando un cognome
viene ripetuto più volte,
mi rendo conto che è stata
sterminata un’intera famiglia.
Il giorno seguente ci sediamo
sui resti di quella che una volta
era la stalla del campo. Qui furono
uccisi con un colpo d’arma da
fuoco alla nuca circa 8.000 prigionieri
sovietici. Si fecero passare le
ferite trovate sui cadaveri come
ricerche mediche. Oggi l’amministrazione
dell’ex-lager trascura questo
luogo per prendere le distanze
dalla propaganda comunista. Ancora
una volta si fanno cadere nel
dimenticatoio luoghi storici significativi
per la generazione al potere e
per la politica, invece di promuovere
una cultura che chiarisca il passato.
Sono rimasta colpita dal fatto
che lungo il nostro cammino al
confine tra Germania dell’Est
e del- l’Ovest non vi fosse alcuna
indicazione di dove una volta
sorgeva il muro, che per ben 28
anni è stato lo sfondo
storico della Germania!
L’altra tappa del pellegrinaggio
è, il 24 settembre, Wiesbaden.
Qui leggiamo la lista dei nomi
dei giovani ebrei della città
che furono deportati, mentre camminiamo
in meditazione, lungo la strada
che percorsero anch’essi: dal
posto di polizia in Friedrichstrasse
fino alla stazione, al macello.
Tutti questi nomi mi ricordano
che sono morti per dirmi che il
potere, la morte e la guerra non
sono mai la soluzione. È
questo il motivo fondamentale
per il quale Claude Anshin
ha intrapreso la difficile e provocatoria
pratica del pellegrinaggio.
Durante l’ultimo giorno che trascorriamo
in Germania ci viene l’ispirazione
di fare delle barchette di carta
con dei fogli con su scritto l’elenco
delle vittime, proprio come si
faceva da bambini. Le abbiamo
poi ricoperte con dei piccoli
sassi, con dei fiori e dei fili
d’erba. Abbiamo meditato e fatto
una cerimonia e poi le abbiamo
fatte portare dal Reno verso la
città di Coblenza. La corrente
le ha portate via tutte mentre
noi correvamo dietro. La piccola
flotta bianca è andata
avanti finché siamo stati
in grado di vederla all’orizzonte.
Essa porta con sé il nostro
desiderio, il nostro sforzo di
guarigione affinché tutti
coloro che hanno perso la vita
possano trovare l’ultima libertà
e l’ultima pace.
Traduzione dal tedesco di Alba
Bertagnolli.
Wiebke KenShin Andersen
attualmente è l’assistente
di Claude Anshin Thomas.