Più uomo che soldato: la pace dentro la guerra

di Enrico Peyretti

Il signor Josef Schiffer, di Düsseldorf, era militare nell'esercito tedesco occupante l'Italia, durante la seconda guerra mondiale. Per avere protetto e aiutato la popolazione civile è stato nominato commendatore dal Presidente Scalfaro, su proposta di chi conosceva la sua storia. La consegna dell'onorificenza è avvenuta il 2 giugno 1999, nella festa della Repubblica Italiana, a Colonia, per mano del Console dott. Fabrizio Marcelli.


Un soldato tedesco, durante l'occupazione dal '43 al '45, si comportò in modo molto umano con la popolazione locale di Pallerone, frazione della città di Aulla, in Lunigiana, aiutando quanti poté, salvando la vita ad uomini arrestati che fece fuggire, restituendo ai contadini animali sequestrati dai suoi commilitoni. A guerra finita, fu protetto a sua volta dalla gente, dal comandante partigiano tenente Rossi, dal vescovo Sismondo, dalle suore e alunne del collegio Cabrini di Pontremoli, che, testimoniando per lui, lo sottrassero alle vendette dei vincitori sui vinti, che ci furono.
Al momento della ritirata del suo esercito sconfitto, aveva disobbedito all'ordine di far saltare la polveriera di cui, come maresciallo artificiere, era responsabile, per evitare alla popolazione altre gravi sofferenze e distruzioni. Ma questo atto fu solo il coronamento di un comportamento costante nel quale ha rischiato molto. Egli rimase poi nel paese per una decina d'anni, stringendo tante relazioni di amicizia e di affetto. Non so quanti altri soldati tedeschi abbiano potuto far questo in Italia dopo il '45.

Si tratta del signor Josef Schiffer, di Düsseldorf, che è tornato ad Aulla, il 12 marzo 1995, per ricevere una medaglia d'oro della città, memore e grata per la sua umanità, nel 50° della Resistenza e Liberazione. Sono stato invitato anch'io dal Sindaco Lucio Barani, perché mi ero attivato per fare rintracciare in Germania questo "tedesco buono" di cui avevo sentito parlare fin da bambino. Così ho potuto conoscere e conversare a lungo col signor Schiffer, che ora ha più di 80 anni ma ne dimostra molti di meno. Tantissime persone del luogo, coetanei o allora bambini, lo hanno accolto con grande gioia, abbracciandolo come un vecchio amico, rivivendo ricordi comuni, scherzi, soprannomi, cene, partite di pesca. Ha ritrovato le collegiali di allora, che testimoniarono per lui. Ha ricordato chi da allora è morto. Chi è nato dopo aveva sentito parlare di lui.

LA VERA VITTORIA
Egli è stato, pur senza usare questo termine, un obiettore di coscienza dentro la guerra, nei fatti. Sopra il diritto di guerra, ha sentito l'umanità. Sopra il dovere militare ha scelto il dovere umano. E questo, nonostante tutte le deformazioni che la guerra provoca, le persone sanno riconoscerlo. Nel profondo di tutti noi, una umanità ci unisce attraverso le diaboliche divisioni della guerra, ed è l'unica risorsa per uscirne vivi nello spirito. Questa è la vera vittoria. A cena, nel frastuono dell'allegria italiana, è uscita questa frase, rivolta al signor Schiffer: "Eravamo nemici, ora siamo amici. Questa è l'unica vera vittoria". Ecco l'autentica pacificazione, che a volte viene dichiarata senza chiarezza, senza avere superato e rinnegato le ragioni ingiuste ed omicide della guerra, senza avere distinto i diversi motivi delle parti in lotta. L'onorificenza conferita da Scalfaro a Schiffer dovrebbe essere nota, sia in Germania sia in Italia, come riconoscimento di ciò che è vero valore.
Schiffer faceva parte del Reich che aveva voluto e provocato la guerra, militava in un esercito aggressore ed occupante, era oggettivamente un nemico. Giustamente l'Italia aveva tradito il patto criminale con Hitler. Un uomo come Schiffer - non l'unico, ma uno dei pochi dalla sua parte - vide giusto e si comportò, senza immolarsi ma con coraggio, da operatore di pace dentro e nonostante la macchina di guerra. Quelli come lui incarnano la figura del "nemico buono", felice contraddizione di termini, nella quale è detta sia la situazione di violenza oggettiva, che tende a inglobare e usare totalmente le persone le une contro le altre, sia la superiore libertà dalla violenza, nel cuore e nelle azioni, di chi ha chiaro il giudizio sui valori umani.
Tutti quelli che, su ogni lato della guerra, si comportano come Schiffer e pagano anche con la vita il loro senso umano, sono coloro che distruggono la guerra dal di dentro, che tradiscono la violenza omicida per ritrovare l'umanità. Ad essi, più che al combattente, va eretto un monumento nel nostro cuore e nella nostra memoria e poi nelle nostre città, quando saremo in numero sufficiente ad averlo capito.

TRE SPECIE DI PACE
Ci sono, infatti, tre specie di pace. C'è una pace invece della guerra, ed è la più felice: è la capacità di gestire i conflitti in modo non distruttivo ma costruttivo, nonviolento. C'è una pace dopo la guerra. Questa, anche se viene festeggiata dai sopravvissuti, che la guerra ha tormentato e terrorizzato, è normalmente soltanto l'ultimo atto, lo scopo e il frutto della guerra, l'imposizione della volontà del vincitore al vinto. È qualcosa che abusa del nome di pace, perché è ancora guerra, culmine della guerra, e gravida di altra guerra. C'è infine una pace dentro la guerra: dentro quell'inferno ci sono persone che lo attraversano pure e indenni, come i tre giovani nella fornace (cap. 3 del libro di Daniele), anche se magari cadono fisicamente uccise dal combattimento o dal potere al quale hanno la forza di disobbedire. Sono persone che fanno azioni di pace dentro la guerra stessa, e ne superano il dominio, disobbedendo al suo preteso potere assoluto su ogni vita e volontà. Sono veri ricostruttori di pace tra le macerie della guerra.
Il signor Schiffer ha condiviso con calore queste considerazioni. È un uomo semplice e schietto, di aperta cordialità. La gente di Pallerone e di Aulla vide in lui la pace dentro la guerra, un seme di vita sotto la cappa della morte, e non l'ha più dimenticato. "Sono convinto che se si fa il bene, questo ritorna sempre", mi ha detto Schiffer. Perché il bene è più forte del male.
Certo, egli fu un poco facilitato dal fatto che, come artificiere, dipendeva da un comando lontano, a Como, e non aveva un superiore militare sul posto. Ma, come egli afferma, sapeva bene, fin dall'inizio, che quella guerra era perduta moralmente prima che militarmente, e voleva evitare sofferenze e danni alla popolazione. Il valore della sua azione non sta in un episodio finale, ma in un comportamento continuo, gravemente rischioso per un militare.
Nel 1997 invitai Schiffer ad un convegno sulla pace organizzato a S.Anna di Stazzema (luogo di una strage nazista di 500 civili) dal Gruppo Franz Jägerstätter, di Pisa, ed egli parlò ai giovani della sua esperienza. Nel maggio 1998, partecipando ad un congresso pacifista ad Osnabrück per i 350 anni della pace di Westfalia, sono passato a Düsseldorf a far visita al signor Schiffer, diventato ormai amico del cuore. Mi ha accolto e ospitato meravigliosamente, insieme alla sua signora. Con loro ho visitato la sua bella città e i dintorni, il villaggio di Kalkum, dove visse bambino e apprese l'umanità. Specialmente ci ha commosso visitare le sale del museo Mahn- und Gedenkstätte für die Opfer der Nationalsozialistischen Gewaltherrschaft (ammonimento e memoria per le vittime del dominio nazista), in Mühlenstrasse 29, a Düsseldorf, che mostra sia la violenza del nazismo nella regione, sia le realtà di resistenza anche dall'interno del popolo tedesco, troppo poco conosciute.
C'è anche chi stenta a superare le divisioni scavate dalla guerra. Qualche mese prima di quel marzo 1995, non lontano da Aulla, un altro tedesco, Ernst Hiller, che salvò un partigiano ferito facendolo fuggire dall'ospedale, è stato trattato male da qualcuno che, dopo 50 anni, vedeva ancora in lui un nemico. Ma bisogna cogliere i segni buoni, perché valgono più dei meno buoni.
Mi ricordo una storiella istruttiva. C'era una volta un soldatino che corse dal suo generale: "Signor generale, c'è un equivoco! Il nemico dice che il nemico siamo noi!". Il generale urlò: "Non si deve parlare col nemico! Potrei farti fucilare per questo!". "Ah, ho capito, allora il nemico è lei" concluse il soldatino intelligente.

da: "il foglio" n°262