Pagliacci in Chiapas
di Eve Marko


"Payasos!" urla un ragazzino giù nella valle. Le colline, così fitte di vegetazione da sembrare baldacchini verdi, gli fanno eco: "Payasos! I pagliacci!"
Il camioncino bianco ondeggia e ruzzola perigliosamente giù per lo stretto e fangoso terrapieno fino alla valle sottostante. Il fango è spesso e scivoloso, la strada poco più di una cornice lungo lo scosceso pendio. Moshe Cohen, il capo pagliaccio, guida il più lentamente possibile. Sul sedile di dietro, Bernie il Boobysattva si mette il naso rosso e osserva oltre il margine della strada l'abisso sottostante, poi il gruppo di bambini eccitati dall'altra parte della strada che fa segni e grida che i pagliacci sono arrivati.

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Siamo a Yibelho, la penultima fermata del viaggio dei pagliacci sponsorizzato dall'organizzazione internazionale Payasos sin fronteras, cioé Pagliacci senza frontiere. Siamo arrivati sei giorni fa a San Cristobal de las Casas, due ore a sud di Yibelho. Yibelho è la quinta rappresentazione dei pagliacci, con un'altra in programma per il pomeriggio nella città di Acteal, proprio sopra Yibelho. Tre anni fa un'unità paramilitare di destra entrò ad Acteal, asilo di una comunità espatriata di Abejas, indiani messicani pacifisti che rifiutano di prendere posizione nel conflitto tra il governo messicano e l'EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale). Entrarono nella chiesa e uccisero quarantacinque Abejas che erano lì riuniti per pregare. Il massacro durò ore. L'esercito che si era accampato proprio fuori Acteal, non intervenne.
Ora passiamo dalla base dell'esercito e facciamo un cenno con la mano ai soldati. Loro non sorridono né ci ricambiano il saluto. Al contrario dei ragazzini di Yibelho, che sollevano allegramente le pesanti valigie dei payasos quando infine il camioncino si ferma a metà strada lungo la collina (non riesce più a proseguire!) e le trasportano giù in città, due ragazzini per valigia. Con i pantaloni macchiati di fango e poco altro addosso in questa fredda mattina, non sembrano avere più di sette od otto anni mentre corrono a piedi nudi nel fango.
Anche Yibelho è una comunità espatriata di indiani messicani arrivati in questa valle solo cinque mesi fa, esiliati dalla terra che possedevano da secoli da gruppi paramilitari che li hanno terrorizzati uccidendo anche alcuni di loro. Finora quello che gli indiani sono riusciti a costruire sono capanne di assi incrociate a casaccio sotto tettoie ondulate, con molte fessure da cui esce il fumo della cucina e entra il vento e la pioggia. In altre comunità più prospere le famiglie hanno una capanna per cucinare e una per dormire, ma non qui. In effetti, la maggior parte dei ripari non sono che tende di fogli di plastica sotto tettoie ondulate. A differenza di altre comunità non c'è un campo di basket che faccia da piazza del villaggio, solo un'estensione di fango secco in cima alla collina con una gigantesca pozzanghera.
Bernie guarda in basso e dice agli altri: "Immagino che sia questo il posto dove faremo lo spettacolo, giusto?"
"Giusto!" risponde Moshe.
Non hanno un posto in cui potersi cambiare. Brian Welch, o Smedley-O, un pagliaccio di San Francisco, si mette a vestirsi di fronte ad otto sbalorditi ragazzini. Pantaloni lunghi neri e giacca, un farfallino rosso e una fedora grigia sotto un cilindro nero. Moshe Cohen, o Mister YooWho, è già vestito e scende cauto dal pendio cercando di non scivolare nel fango, ma avverti dall'espressione sventurata della sua faccia che gli succederà. Indossa un cappello di cotone scozzese, dei larghi e flosci calzoni da donna a scacchi che gli scendono solo fino agli stinchi e una giacca a scacchi con due fiori che scendono giù dal risvolto, è la personificazione di uno vestito per far colpo ma con i colori e le misure tutte sbagliate. Ha sulla faccia la miglior espressione schlemiel che abbia mai visto e un risolino ben intonato: heh heh. È anche il coordinatore di tutte le attività dei Clowns Without Borders negli Stati Uniti, e si è esibito in Chiapas almeno una dozzina di volte.

E poi c'è Bernie, Roshi Bernie Glassman, un noto maestro Zen americano. Indossa una camicia hawaiana e jeans tenuti su da bretelle nere con un motivo di cuori rossi, e un cappello a cono bianco che Moshe gli ha portato dal Kosovo.
Bernie ha inizito il suo apprendistato di pagliaccio sotto la guida di Moshe alcuni anni fa, dopo un periodo propedeutico col suo amico Wavy Gravy, ma non si è veramente dedicato alla pratica del clown fino al 1999, quando ha scoperto il suo personaggio, Bernie il Boobysattva. Ha partecipato ad alcuni training con Moshe e hanno iniziato a guidare insieme dei seminari in America e in Europa intitolati Clowning your Zen. (Pagliacci dello zen).
Il Chiapas è un diverso tipo di apprendistato per il Boobysattva. Qui lui è il buono a nulla, che porta le valige e sistema le cose per il suo maestro e per Bryan, i due pagliacci professionisti, in cambio di coprire delle parti nei loro spettacoli e ricevendo le loro critiche. Al momento è impegnato a fare bolle di sapone che i ragazzini colpiscono per aria con lunghi bastoni.

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"¿Como esta'?" mi sento chiedere. Guardo giù e vedo un ragazzino di circa sette anni, a piedi scalzi. Mi dice di chiamarsi Jose Luis. I suoi pantaloncini gialli cascanti, schizzati di macchie di fango, gli scendono oltre le ginocchia, sotto una maglietta rossa e bianca tutta sporca decorata con le iniziali NBA, grande come una tunica. Porta un rebozo a strisce colorate con dentro la sua sorellina più piccola che gli vedrò portare per tutto il tempo che passo a Yibelho. Questo non gli impedisce di trasportare allegramente le assi su per il pendio per costruire con gli altri ragazzini dei sedili di fortuna. Come sempre, le ragazzine che indossano bluse bianche a righe rosa e verdi, siedono separate dai maschi. Le donne più vecchie indossano scialli a disegni bianchi e rossi. Un uomo dal colorito marrone scuro con un largo sombrero sta appollaiato su una seggiolina di legno proprio nel bel mezzo di dove si svolgerà lo spettacolo dei pagliacci e si muove solo con grande riluttanza.
Si presentano i pagliacci, prima Bryan portando delicatamente una piccola scatola laccata di rosso, seguito da Moshe che lotta con due grandi vecchie valige e il grammofono, andando subito a sbattere contro un albero. Tutti ridono. Moshe incespica in giro per una decina di minuti, mostrandosi sempre più perso, finché non si imbatte finalmente in Smedley-O e i due a turno si spingono giù dalla valigia in verticale su cui entrambi stanno cercando di sedersi. Gli indiani approvano con la testa ridendo a questa scena che gli è familiare. C'è il capo e c'è il lavoratore. Il capo porta una piccola scatola rossa e si chiede perché il lavoratore, che è alle prese con tutto il resto, non arrivi più in fretta. Il capo ha un giornale da leggere, il lavoratore no e cerca di leggere al di sopra della spalla del capo. A un certo punto, Smedley-O mette un fazzoletto sulla testa di YooWho's e su di esso si versa con comodo un bicchiere di champagne.
Alla fine, YooWho's si ribella e i due si mettono a spintonarsi a vicenda. Smedley-O cade, i piedi si dimenano per aria, e Moshe copre la biforcazione delle gambe con il giornale ripiegato. Tutti ridono. Ma è Brian che suscita la risata più forte quando fa volar via il cappello di Moshe, mettendo a nudo la sua zucca pelata. C'è un'esplosione di risate. Gli indiani, con i loro lunghi capelli neri, trovano esilarante la calvizie. I bambini schiamazzano, le bambine e le dnne ridacchiano dietro le mani.
I due continuano a giocarsi tiri l'un l'altro, rubandosi il cappello, picchiandosi col giornale arrotolato, cadendo tutti a terra al suono di un vecchio jazz del 1920 e '30, per lo più Duke Ellington. Il loro repertorio riguarda i tipi di persone e le emozioni: il potere, l'autorità, l'inganno, la rabbia e la vendetta. Il pezzo forte è un inseguimento. È una scena che il pubblico ama.
Bernie inizia la sua pantomima ed è il segnale d'entrata di Bernie. Seduto in incognito nella folla, si alza, tira fuori un pallone rosso, lo gonfia, e poi lascia che l'aria esca in occasionali suoni di scoregge. Il pubblico ride, dimenticandosi dei due pagliacci al centro della scena, si guarda in giro torvo, Bryan mostra il pugno, i due si avvicinano a passi pesanti pieni di rabbia a Bernie e Moshe arraffa il suo pallone. Bernie si siede, in castigo, ma non per molto. Non appena loro ricominciano il loro spettacolo, si alza di nuovo, questa volta creando anche più disturbo con l'aiuto di oggetti che fanno rumore e di palloni. Ancora una volta i due pagliacci gli portano via il suo pallone e ancora una volta Bernie promette di fare il bravo e si siede, per risaltare su non appena loro non lo guardano.
I due payasos alla fine ci rinunciano e tirano il Boobysattva per le bretelle fino al centro del cerchio dove tutti e tre tirano fuori i loro palloni. Bernie comincia a gonfiare il suo pallone rosso e gli altri due i loro. Ma più si sforzano e meno aria entra nei loro palloni che restano sgonfi e piccoli, mentre il pallone rosso di Bernie diventa più grande e più grande man mano che lui soffia sempre più forte. I due payasos guardano torvi il Boobysattva, che è enormemente compiaciuto di se stesso. Soffia sempre più forte, tutti ridono in anticipo, e il pallone gli scoppia con un forte botto in faccia. Lui urla terrorizzato e alza le braccia al cielo, e i due pagliacci si mettono a inseguirlo su e giù per il pendio fangoso. I bambini si piegano in due dalle risate, indicandosi lieti l'un l'altro quando i clown battono sulle loro piccole teste i loro oggetti sonori mentre gli corrono accanto.
Alla fine acchiappano il Boobysattva e lo tirano di nuovo al centro del cerchio per le sue bretelle nere a cuori rossi. Lui è riluttante, tira dall'altra parte, la bocca a O, e Moshe lo intrappola nelle bretelle. Infine, con gran mostra di cortesia, lo invitano a risedersi su una sedia speciale. Lui si siede e la sedia va a pezzi, facendolo cadere con le chiappe all'aria. Scrosciano le risate. Il Boobysattva se ne va tutto mesto e, almeno per il momento, lo spettacolo continua senza di lui.

La prima volta che Bernie è caduto con la sedia a pezzi, è caduto giù con impeto, facendosi male. Doveva ancora imparare come cadere, sull'altra natica, come suol dirsi, non solo per evitare di pestarsi malamente, ma anche per alzare in aria le chiappe, ottenendo ancora più risate.
Per i sei giorni della tourneé dei pagliacci, ha fatto pratica di cadute. Il camioncino bianco ha portato i pagliacci da una comunità all'altra, talvolta alla fine di stradette remote, senza selciato, accidentate, spesso in compagnia di una dozzina di indiani in cerca di un passaggio per il villaggio. Sedevano sull'orlo del retro del camioncino, ridendo e scherzando nella loro lingua natale Tzotzil tenendosi forte per non rischiare la vita. Le facce marroni erano stanche e solcate di profonde rughe, ma ero colpita dal loro buon umore, dal senso dell'umorismo e dalla dignità. "Chi siete?" ci chiedeva qualcuno in spagnolo. "Payasos sin fronteras", spiegava Moshe. "Cosa significa sin fronteras?" chiede uno. "Todo el mundo" risponde un indiano.
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Nei nostri primi viaggi si univano a noi i coordinatores zapatisti che avevano fissato lo spettacolo dei payasos come parte del loro programma, dove visitavano e istruivano le comunità indie sugli effetti dell'immesa zona di libero scambio Puebla-Panama che è già stata ratificata e approvata e che si estende dal Messico fino a Panama.
"Gli indigeneos vivono in comunità" mi spiega una dei coordinatores, una donna di circa venticinque anni, durante il lungo, accidentato viaggio verso un remoto villaggio chiamato Huixtan. "Tutta la terra è di proprietà della comunità, è stato così per anni, poi è stata ripartita tra le famiglie e data da coltivare a ogni famiglia. La costituzione messicana ha sempre protetto i diritti delle collettività, ma ora sta cambiando perché dicono che non si attiene al NAFTA".
Il NAFTA, l'accordo di libero scambio del nord America, è entrato in vigore in Messico nel 1994. Ha causato lo scatenarsi della rivoluzione zapatista, benché la ribellione fosse stata programmata e organizzata già da dieci anni prima. Il coordinatore racconta dello spostamento di intere comunità che sono state convinte col terrore da gruppi paramilitari a lasciare la terra che da secoli possedevano collettivamente.
A Huixtan veniamo invitati dopo lo spettacolo a una cena di tortillas appena sfornate, fagioli, cactus e avocado, accompagnati da sciroppo di mais zuccherato e acqua. A Chaolin passiamo la notte in letti a castello nel dormitorio di una scuola, dove i bambini dormono due per letto per far spazio a noi. Alle quattro e trenta del mattino esco e vedo la porta aperta della casa dove si cucina, con il fuoco che arde forte e le donne che cominciano a fare le tortillas. Torno a letto e mi risveglio con una dozzina di bambini intorno al letto, che aspettano pazientemente che mi risvegli. Li affascina tutto: come pieghiamo i sacchi a pelo, come ci pettiniamo, come prendo appunti, i nostri vestiti, il mio notes. A un certo punto, una ragazzina fissa intenta il mio braccio, poi allunga il suo, dalla carnagione rossomarrone, e lo appoggia vicino al mio braccio bianco. Gli altri commentano vociando.
Il Chiapas è sotto lo sguardo del mondo intero, per vedere se verranno protetti i diritti degli indigeni nel mezzo della nuova zona di libero scambio Puebla-Panama. Gli indiani Maya abbandoneranno le loro coltivazioni locali di auto-sostentamento in favore di raccolti da esportazioni a prezzi determinati dagli alti e bassi del mercato mondiale? Sceglieranno di lavorare per trenta pesos al giorno in fabbriche che prenderanno il posto delle fattorie sulle colline e delle remote collettività? Il maestro clown e il maestro di Dharma parlano di questo nel camioncino bianco mentre si dirigono verso un'altra comunità.
"Il 70% della popolazione delle montagne del Chiapas sono indiani che vivono tuttora in comunità regolate secondo costumi e relazioni tradizionali, un misto di festività cattoliche e indie e particolari tradizioni di guarigione", dice Moshe. "Possono sembrare poveri per i nostri standard, molti non hanno elettricità e nemmeno acqua corrente, ma per lo più sono autosufficienti da generazioni. La sfida consiste nel come possano attenersi a questi valori e stile di vita di fronte a tutte le pressioni della globalizzazione".
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"Per me si torna sempre al corpo unico", dice Bernie. "Noi pensiamo al corpo unico come a un corpo solo, ma è fatto anche di milioni di cose diverse, ognuna delle quali è il corpo unico. È importante realizzare l'unità. È anche importante onorare ogni parte individuale del corpo unico come unico corpo. Quando diciamo di essere globali, quando affermiamo di essere tutti uno, riconosciamo anche le differenze? Lasciamo esistere i bisogni di culture, tradizioni, paesi diversi? Alcuni non vedono il corpo unico e onorano solo una parte, la parte con cui si sentono a loro agio. Altri vogliono onorare il corpo unico alle spese delle sue parti. La sfida è onorare ogni parte come fosse il corpo unico e non escludere nulla".
Moshe YooWho Cohen sbircia la strada davanti. È da molto che viene in Chiapas e ha amici ovunque: tra gli abitanti dei villaggi, gli attivisti dei diritti umani, gli zapatisti. Per lui fare il clown non è solo una professione, è una pratica. Ti spiega che scoprire il mondo del proprio clown causa un cambiamento di prospettiva. Puoi essere un uomo d'affari, una casalinga, un insegnante, un contadino, ma quando penetri nel mondo del tuo clown, vedi le cose in modo diverso. E quando fai il pagliaccio insieme ad altri, li aiuti a vedere le cose in modo diverso. È il maestro capo clown al Wavy Gravy's Camp Winnarainbow a nord di San Francisco e ha recitato davanti ai profughi non solo in Chiapas, ma anche in Kosovo e in Nepal. È sempre in viaggio, e si dispiace che così tanti di noi in occidente non sappiano da dove venga il nostro cibo, i vestiti, le auto o i computer, come vengano costruiti e a quale prezzo.
Viene in Chiapas per far ridere i bambini, perché le donne ridacchino dietro le mani, e per far apparire un sorriso sulle facce senza età segnate dalle intemperie e dalle rughe. In breve, per svegliare chiunque intorno a lui. E sta portando con sé sempre più pagliacci che lo affianchino nel suo lavoro, come Smedley-O e il Boobysattva.
Ybelho è di gran lunga la più povera delle comunità che visitiamo, le persone sono qui da solo cinque mesi e la disperazione del trasferimento è ancora profondamente incisa sulle loro facce. Per peggiorare le cose, piove, riempiendo tutto di fango e inzaccherando i vestiti. Nella maggior parte delle altre comunità che i payasos hanno visitato, il terreno veniva spazzato, i vestiti erano puliti, i capelli pettinati, e gli indiani non erano a piedi nudi, ma indossavano sandali colorati. Yibelho è più sfortunata, ma questo sembra spingere i payasos a lavorare ancora più intensamente, a far scoppiare ancora più risate in Jose Luis e i suoi piccoli amici. Fanno giochi di destrezza con palle di gommapiuma rossa che scompaiono e ricompaiono, si trasformano in palle più piccole o crescono di misura dentro il palmo della mano ben chiusa di un nervoso volontario. Moshe afferra il suo ukulele e canticchia una canzone di Linda Ronstadt a un'anziana donna india lì vicino, la cui faccia scompare nelle rughe del sorriso.
Ma il meglio viene col finale. Yoo-Who e Smedley-O fanno giochi di destrezza con dei birilli, lanciandoli avanti e indietro nello stesso tempo, quando Bernie il Boobysattva spunta fuori da non si sa dove, con un grosso sigaro Churchill in bocca, e comincia a camminare in mezzo a loro con noncuranza. I birilli bianchi vengono tirati tutt'intorno a lui. Ricordo le parole di Moshe a Bernie questa mattina: "Non hai solo bisogno di più espressioni sulla faccia, ma anche di più gradazioni nell'espressione. Quindi, quando cammini in mezzo a noi che facciamo i nostri giochi, comincia con l'essere arrogante e completamente sicuro di te e poi nel bel mezzo voglio che tu ti spaventi. Ma non immediatamente; giocaci. Prima comincia a innervosirti, poi a diventare proprio nervoso, e infine veramente spaventato. È il contrasto tra come inizi tutto sicuro di te e il panico finale quando ti ritrovi nel mezzo che fa divertire!"
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Così ora Boobysattva gironzola tra i birilli, come fosse una giornata di sole a Santa Barbara, in California. Nessuna preoccupazione al mondo, il grosso sigaro con compiacimento in bocca. Attraversa più volte lo spazio tra i due pagliacci e poi, all'improvviso, si trova nei guai. I suoi occhi girano di qua e di là, poi fissa davanti a sé. Ha paura di muoversi. Il sigaro gli trema in bocca, lui diventa bianco e poi comincia a tremare di paura. Bambini e adulti ridono forte, alcuni si battono i fianchi. Lui trema ancora di più, il sigaro va su e giù convulsamente, e ora è davvero terrorizzato. I payasos lanciano i birilli per aria tutt'intorno a lui, afferrandoli e gettandoli, cercando di mirare sempre più vicino al suo sigaro. Cercano di fargli cadere il sigaro dalla bocca, ma non riescono ad avvicinarsi abbastanza, ma non importa perché il pubblico ride sempre più forte. E solo quando il Boobysattva è così sconvolto dalla paura e dal panico che si è ormai sicuri che si metterà a correre e verrà colpito dai birilli bianchi, un birillo prende in pieno il sigaro che gli scappa di bocca. C'è un'esplosione di risate. Nessun applauso, solo risate che rotolano una sull'altra per l'arroganza finalmente umiliata. Jose Luis salta su e giù con la sorellina nel rebozo, mentre i suoi amici corrono giù dal pendio per avvicinarsi di più ai pagliacci.
"Payasos sin fronteras!" mugghia Moshe dal palco di fango nella grigia pioggerella: "Smedley-O!" Bryan nel suo abito da impresario di pompe funebri fa un inchino, "Boobysattva!" Bernie ha rimesso al suo posto il sigaro Churchill e fa il mimo di uno che scuote via la cenere mentre se ne va ondeggiando in lungo e in largo. E "Yoooo-Whoooo!"
Risaliamo la collina fino al camioncino. Ci aspetta ancora Acteal oggi pomeriggio, l'ultimo spettacolo del viaggio. Ma sentiamo che sarà dura superare lo spettacolo di Yibelho. I ragazzini caricano di nuovo i pesanti bagagli dei pagliacci. Ci allontaniamo sul camioncino bianco, qualcuno ci corre dietro, a piedi nudi nello spesso fango melmoso, urlando: "Payasos! Payasos!". All'inizio il camioncino sale piano e riescono a tenere il passo. Ma poi raggiunge il piano e comincia a prendere velocità, i ragazzini si fermano con un ultimo cenno, eccetto uno che continua a correre e correre. Ha dodici o tredici anni, i suoi capelli neri volano nel vento, mentre gli occhi sono fermi, concentrati sull'asse del camioncino, cercando di mantenerci lo sguardo fisso. Siamo così esterefatti di quanto veloce corra che ci dimentichiamo di salutarlo con la mano o di gridargli addio. Moshe spinge sull'accelleratore e dopo pochi minuti ce lo lasciamo dietro, ma il piccolo corridore non vuole arrendersi. Anche quando raggiungiamo la strada principale e giriamo a destra per Acteal, un ultimo bagliore ci fa intravedere che sta ancora correndo.

da Shambhala Sun, gennaio 2002
Traduzione di Chandra Candiani
Foto di Peter Cunningham