COMMUNITY BUILDING
Iniziamo con
un sogno
TESTIMONIANZA
Come sono entrato
nel cerchio mi è sembrato di andare verso l'ignoto, il vuoto. Eravamo
in tanti, con quella febbrile atmosfera che rincontro ogni qualvolta inizia
un seminario, un ritiro, accompagnata da una paura che aleggiava insistente
e che mi faceva sentire più solo.
Cosa accadrà?
Sembrava di essere in un racconto, in una narrazione che non aveva un inizio
definito e nessuno sapeva dove avrebbe portato né quale sarebbe stato
l'esito finale.
Poi ho iniziato a pensare: cos'è questa comunità?
Un presupposto ideologico, religioso, un'esperienza tra il relazionale e il
mistico?
La comunicazione diventava viva, accesa e veloce. Tutti cercavamo di interpretare,
di sviluppare riflessioni e concetti. Tutti eravamo più attenti alla
situazione collettiva che alle nostre emozioni, alle sensazioni. Sembrava che
ci appoggiassimo reciprocamente ai nostri timori per trovare sicurezza.E poi
i facilitatori che tutto sembravano essere meno che dei facilitatori. Ogni tanto
volgevo lo sguardo ai cartelli che ci dicevano - o cercavano di orientarci -
su come costruire la comunità.
Cosa vuol dire?
Ero anche convinto che i facilitatori sapessero dove stavamo andando, cosa stava
accadendo e soprattutto cosa ci avessero fatto fare, ma non ce lo dicevano.
Li osservavo cercando di scoprire il loro segreto, il ruolo nascosto, cercando
di capire cosa sarebbe accaduto dopo. Attento a percepire ogni loro minimo movimento
più che a tutto il resto.
Poi mi sono detto: iniziamo un sogno, questa notte ho sognato e ora il sogno
riaffiora. Il processo sembrava essere fatto di immagini, di linguaggi, di sensazioni;
dopo, però, scattava una sorta di censura razionale e ferrea. Allora
anche quel posto, la situazione, la sua atmosfera mi è sembrata parte
del sogno, del mio sogno. Qualcosa iniziava a vivere in me, si scioglieva, ma
era trattenuto, era ancora molto mio e non ero affatto sicuro di volerlo condividere
con altri. Circolava una specie di elettrica paura, un'inquietudine vibrante
che sembrava tenere tutto/tutti ancorati a una pseudo comunicazione.
Mi dicevo: "la comunicazione è indubbiamente l'elemento base della
comunità... ma ora qui è intermittente, stenta". Più
di essere in comunità mi sembrava di essere in confusione
e questa benedetta comunicazione non circolava in maniera fluida: andava, veniva,
a volte mi sembrava che irrompesse prepotentemente nella sala, energica e liberatrice,
poi sembrava arrestarsi, rifluiva. Sentivo anche che eravamo tutti noi a darle
qualità. Sensazioni di rabbia e delusione per me che non riuscivo a staccarmi,
per quanti riportavano il discorso su aspetti che io valutavo non interessanti,
non attinenti. E poi i tentativi di tenere tutto sotto controllo, di giudicare.
Ero partecipe di questo processo di lasciar andare/trattenere, accettare/rifiutare,
aprirsi/chiudersi. Mi sentivo interno a questo percorso, comunque condividevo
le paure con gli altri, li ascoltavo e iniziavo ad ascoltare me stesso. Ma avevo
bisogno di più sicurezza, di un luogo protetto.
Chi mi garantisce che ciò che esprimerò ora venga accettato? Poi
il luogo è diventato il luogo protetto, un'isola calma e serena. Mi sentivo
in relazione con gli altri, accettavo con semplicità questa nuova condizione,
era comunque quello che noi stavamo facendo ed era autentico anche se poteva
non piacerci.
L'approccio con l'altro, l'apertura verso l'altro non conosciuto era incontrare
la diversità, la mia, quella degli altri, dell'esperienza che andavamo
facendo. L'accettazione del rischio diventava il terreno su cui poggiava il
nostro corpo, i nostri pensieri, il fondamento di quell'essere lì, presenti.
La paura che prima sembrava essere il baluardo protettivo contro un pericolo
immanente era ora l'impedimento per una trasformazione, per una reale condivisione,
per crescere, per esprimere quello che era dentro, per offrirlo agli altri.
Ora l'esperienza era diventata un viaggio con dei compagni.
Non credo che siamo giunti a vivere in pieno lo spirito del cerchio, di una
comunità reale; forse in alcuni momenti si è presentato tra noi
per poi scomparire tra le nostre difficoltà, i nostri limiti. Il processo
è stato però onesto, sincero, quasi tutti si sono resi conto del
significato dei nostri tentativi e delle potenzialità benefiche insite
in un percorso di questo tipo. Anche se le fasi del processo ora mi sono note,
ho compreso che è impossibile però sapere cosa accadrà.
Alla fine mi sentivo pieno di un'energia nuova che mi ha accompagnato anche
nei giorni seguenti. Ripensavo agli altri e provavo un sentimento di tenera
empatia, di un saldo contatto.
È rimasta nell'aria una frase: ci riproviamo?
Paolo Barone