La dipendenza nelle e dalle relazioni affettive.
Sui passi degli Alcolisti Anonimi.

Intervista con un partecipante ai gruppi di CoDipendenti Anonimi



D. Credo che dovremmo iniziare cercando di spiegare che cosa sono i gruppi dei "codipendenti anonimi".
R. Preferirei parlare della mia esperienza con questo gruppo, piuttosto che tentare di darne una descrizione, anche perché non ne so abbastanza. Le informazioni che mi sono arrivate su come è organizzata l'associazione non sono assolutamente esaustive.
Per me questa esperienza ha rappresentato un passo davvero fondamentale: fino ad ora non mi ero mai fidato di un qualcosa di cui non conoscevo quasi perfettamente i meccanismi di funzionamento interno. Quando anni fa andai in analisi, ricordo che la prima domanda che rivolsi all'analista fu: "Ma lei di che scuola è? E dunque, che tipo di prassi sarà usata?"

D. Ma come è successo che sei arrivato ai codipendenti anonimi?
R. La mia vita era 'normale', si svolgeva lungo quelli che sono i binari di una vita normale con tutto il suo portato di felicità e infelicità, poi, circa una decina di anni fa, ci furono due eventi che mi cambiarono la vita. Il primo fu che diventai responsabile di un ufficio, lì mi accorsi che tutte le persone con cui avevo a che fare erano molto spaventate dal modo con cui mi rivolgevo a loro. Allora decisi di confrontarmi con una psicologa per cercare veramente di capire se c'era qualcosa nel mio modo di comunicare che non andava. Da lì si è aperto tutto un mondo di cui ignoravo l'esistenza, cioè il mondo dell'interiorità dei sentimenti, e c'è stato l'emergere di sofferenze molto profonde che erano state occultate e avevano condizionato la mia vita. Ne è conseguito un ridefinirsi abbandonando schemi che erano molto rassicuranti che però mi avevano portato a una situazione di infelicità.
L'altra cosa che accadde un po' per caso fu che un mio ex collega di lavoro mi portò all'università a una lezione di Corrado Pensa in cui lui parlò dell'attenzione. Mi suscitò subito un grande interesse, poco dopo lessi un articolo sempre di Corrado Pensa su un numero di Paramita che trovai da una mia amica su "Desiderio e sofferenza" (Paramita n.21, 1987) e a quel punto mi convinsi che dovevo fare qualcosa non solo sul piano psicologico, ma anche su quello spirituale.
Dopo un po' riuscii a entrare in un corso di meditazione dell'Ameco e lì iniziò un percorso legato alla pratica buddhista, con un grandissimo entusiasmo all'inizio, con scoperte che avvenivano quotidianamente. Ricordo una cassetta, sempre di Corrado, dal titolo " La nostra relazione con lo spiacevole" che ascoltai infinite volte e che mi sembrava assolutamente rivoluzionaria rispetto a tutto ciò che avevo imparato fino a quel momento.
A un certo punto ho avuto l'impressione che stessi servendomi della pratica in alcune circostanze come tamponamento, come modo per accettare le cose che era meglio non accettare, tipo relazioni che procuravano grande sofferenza o modi di rapportarsi agli altri che generavano infelicità. Nell'attimo in cui le cose si verificavano, percepivo la grande sofferenza che c'era in me e negli altri, ma non trovavo il modo di superarla. Tanto è vero che a un certo punto tutto l'accumularsi di questa sofferenza mi ha portato a situazioni sentimentali, matrimoniali e personali di grandissimo disagio, quasi a rasentare la depressione.
Fu grazie a un'amica che aveva letto un libro e che mi aveva dato un consiglio - e dire che di solito non accetto mai i consigli degli altri - che nel momento di massimo smarrimento e sofferenza interiore andai a via Napoli, dove c'è a Roma la sede degli alcolisti anonimi.
Partecipai a una serie di incontri del gruppo che si chiamava 'coda', codipendenti anonimi, e per cinque riunioni di seguito non feci altro che piangere. Il mio percorso con loro iniziò con il pianto e solo in seguito ho appreso che questo è uno dei modi più comuni.
Il mio pianto era, a posteriori posso dirlo, di dolore, ma anche di commozione. Le stesse cose si ripresentano in modi diversi e contesti diversi, ma poi convergono verso uno stesso punto. All'ultimo ritiro con Thich Nhat Hanh ricordo che il mantra principale era: "Sei arrivato, sei a casa". Lì, al Co.D.A., ho avuto proprio questa sensazione; ho trovato persone che condividevano esattamente gli stessi disagi che stavo provando io in quel momento, e in qualche modo mi invitavano ad accomodarmi e abitare il presente.

D. La qualità nuova era il trovarti lì seduto in cerchio con persone con le quali condividevi lo stesso tipo di sofferenza e di ostacoli?
R. Sì, però prima devo dire due cose su come si svolgono le riunioni, altrimenti temo di non essere chiaro.
Nei gruppi non c'è un maestro né un conduttore, il setting è molto elementare nel senso che chi vuole e chi sente di avere il problema può partecipare. Ma c'è una cosa ancora più curiosa e cioè che non c'è un orario definito, l'orario suggerito è quello, poi però se uno arriva in ritardo di un'ora o di mezz'ora, se vuole arrivare all'ultimo minuto è comunque libero di farlo. Questa è una cosa che colpisce molto.
C'è un segretario, che non è un professionista ma uno del gruppo e che comunque dura per un tempo limitato; non ci si iscrive al gruppo ma semplicemente si va e si partecipa. È tutto molto informale, non c'è un regolamento, ma qualcosa che lo sostituisce e che secondo me funziona molto bene ossia "le dodici tradizioni" e "i dodici passi". Si tratta dei due pilastri su cui si poggia tutto il programma sulle dipendenze. Non si parla di regole o comandamenti.
I dodici passi si riferiscono al singolo, alla persona: i dodici passi sono per me. Le dodici tradizioni si riferiscono al funzionamento dell'associazione; a volte possono sembrare molto burocratiche per come sono espresse, mentre a una decifrazione un po' più approfondita si manifestano proprio come una benedizione.
Dunque non ci sono né regolamenti né guardiani, qualsiasi cosa tu faccia non sarai mai espulso o censurato.
Ma torniamo alla mia storia; mi sono presentato lì con un carico di sofferenza; la tradizione buddhista mi ha insegnato a vedere come in primo luogo sia stato io a causarla tramite l'ignoranza, attaccamento e avversione. Quando però ci sei immerso dentro ed è molto forte è difficile capirlo. Come dicevo, arrivando al gruppo con questo fardello ho subito sentito che ero arrivato a casa.

D. Fino ad allora, tu non ne sapevi nulla, non avevi mai letto i dodici passi e le dodici tradizioni?
R. Avevo solo saputo da questa amica che c'era un luogo dove era possibile ricevere un aiuto.

D. Il nodo era la dipendenza?
R. Sì, in particolare il gruppo al quale sono arrivato è rivolto alle persone che soffrono per dipendenza nelle e dalle relazioni. Ho scoperto poi che ci sono altri gruppi per dipendenze diversissime.
Da quel poco di storia che ho saputo, il primo gruppo nacque parecchio tempo fa negli Stati Uniti ed era legato alla dipendenza dall'alcol e su questo gruppo - grazie allo sforzo di alcune persone - si sono configurati i passi e le tradizioni. Poi, per la volontà e l'attività di non so chi ci sono state varie filiazioni: dagli alcolisti anonimi è nata l'associazione dei parenti degli alcolisti giudicando che il loro atteggiamento nei confronti dell'alcolista fosse non meno importante. Da qui si è passati poi a gruppi per la dipendenza da altre sostanze che non fossero semplicemente l'alcol, via via fino alla dipendenza dal cibo, trovando e pensando che il meccanismo della dipendenza sia un po' sempre lo stesso: il contenuto può cambiare ma il meccanismo rimane sostanzialmente lo stesso per cui gli strumenti di intervento possono essere simili.
I dodici passi e le dodici tradizioni dunque cambiano pochissimo, una volta si fa riferimento all'alcol, un'altra alle sostanze intossicanti, al cibo, alle relazioni… Un'altra 'fratellanza' - è questo il termine usato - si riferisce alla dipendenza dal sesso e dall'amore. So che ne esistono altre ancora, come per la dipendenza dal gioco d'azzardo.
Io ho scoperto lì di essere una persona che tendeva nella vita quotidiana a praticare la dipendenza, nonostante che nel mio percorso nella tradizione buddhista questo aspetto fosse stato sollecitato più volte. Ricordo ancora un altro articolo di Corrado Pensa in cui si trattava del modo in cui proprio nelle relazioni non si è liberi. Parlava dei silenzi aggressivi e delle aggressioni verbali proprio come abitudini dalle quali è molto difficile uscire. Abitudini che generano dipendenza. Che cos'è la dipendenza se non un cadere nell'abitudine senza consapevolezza e senza la forza di uscire da questo meccanismo?
Ho scoperto su me stesso che a volte la consapevolezza non basta. Di fronte a delle manifestazioni di ira, ad esempio, mi rendevo perfettamente conto che mi stavo alterando ed ero sul punto di mettermi a urlare. Sembrava che ci fosse un destino segnato che mi portava verso quei comportamenti, con tutte le conseguenze poi nella vita reale sia sulle altre persone sia su me stesso, con sensi di colpa, ecc.

D. Torniamo un attimo al tuo primo incontro con il gruppo. Entri e hai una reazione che è - dicevi - comune a molti, il pianto. Un pianto di gratitudine, ma anche di sofferenza. Ma che cosa è successo lì che non era mai successo prima, in altre esperienze anche profonde da te vissute?
R. Lì il sentimento dell'essere accolto è molto forte; l'ambiente dal punto di vista architettonico non è particolarmente attraente, però le persone ancora prima della riunione mi hanno trasmesso un senso di benvenuto. Il primo giorno devo dire che ero abbastanza perplesso, mi chiedevo se non sarebbe stata l'ennesima fatica che chissà dove mi avrebbe portato. Poi, ho fatto quello che mi suggerivano di fare: sono andato alla riunione, ci siamo seduti e qualcuno ha letto uno dei passi. Di solito succede così: viene letto uno dei dodici passi, un testo abbastanza breve dunque e poi segue la lettura di un commento 'ufficiale', che cambia di volta in volta secondo i tipi di fratellanza, ma sempre ispirato a quello degli alcolisti anonimi.
Già da questa seconda lettura io ho sentito dentro risuonarmi qualcosa di molto forte. L'anonimo che aveva scritto, chissà quando, quel commento parlava di sé, ma parlava anche di me. Mi sono sentito commosso, e anche ora a riparlarne provo la stessa emozione. Poi la riunione è proseguita con le condivisioni dei partecipanti del gruppo. Ci sono sempre persone che tendono a essere intellettuali, ma in tanti ho sentito la voglia di prendere coscienza di questi loro attaccamenti e la voglia di lasciarli andare abbandonandosi ai dodici passi.
Il training buddhista credo sia stato fondamentale per me per restare aperto a questa esperienza con la quale si è combinato perfettamente. Ho sentito che con parole diverse si trattava sempre della stessa cosa, cioè di abbandonarsi, di lasciare andare e di entrare nella propria vita con fiducia con la promessa che la vita tua e quella di chi ti sta vicino possa essere più piena, più serena. Questa consapevolezza mi è arrivata dalle parole di quello sconosciuto benefattore che erano state lette e che i miei compagni nella stanza stavano usando. Il mio pianto era sì di tristezza, ma anche di commozione e di gratitudine.
Come aver ritrovato dopo tanto tempo un amico che non sapevi nemmeno di aver perso, perché non lo conoscevi.

D. Stai descrivendo un momento centrale di verità, in un ambiente che si presenta molto semplice, forse per certi versi, anche umile.
R. Indubbiamente è stata un'esperienza molto forte, e molto forte è stata anche la sofferenza. Venivo da una situazione sia familiare sia sentimentale abbastanza tormentata, uscivo da numerosi rapporti di convivenza naufragati. C'è stato un momento in cui questa confusione aveva causato una incapacità proprio a leggere dentro me stesso, a decifrare se dei sentimenti erano proprio dei sentimenti… a essere pieno di autoinganno e paura. La dimensione della paura, dell'attaccamento e della vergogna anche, nel senso di inadeguatezza, erano diventate sensazioni abbastanza frequenti.
Per carità, intendiamoci, cercavo di lavorarci sopra quando me ne ricordavo, con il riconoscerle, accettarle e lasciarle andare. Solo che queste sensazioni poi si ripresentavano il giorno successivo; scattavano inoltre delle compulsioni come l'incapacità di stare con la paura del vuoto o del futuro, o meglio, con la paura del vuoto che mi aspettava nel futuro, e mi facevano agire in modo non sempre onesto o funzionale.
Quando questo livello di confusione che portava poi sofferenza ha raggiunto situazioni quasi parossistiche è stato un po' come un'ultima spiaggia: andare lì o… a Lourdes!
Proprio poco prima avevo letto alcune cose di Krishnamurti, mi sembra che una volta abbia scritto: "La verità è un terreno senza sentieri". Questo per me significa qualcosa di molto significativo; significa che io posso essere consapevole che il sentiero che sto percorrendo va bene per me ora, ma non posso avere la presunzione che vada bene per tutti e che vada bene per me per sempre. In altre parole, non penso di raggiungere la verità: sono solo in cammino; ma questo basta a cambiarti la vita.
Per quanto riguarda l'ambiente semplice e umile, è vero. Non ci sono reception o contratti o una scansione rigida del tempo; non c'è quella 'sacralità' che a volte accompagna l'attività di operatori professionisti, e forse proprio per questo senti che la potenza e il valore di questo cammino nascono dalle sue radici.

 
Che cos'è il Co.D.A.? Co.D.A. è un'associazione di uomini e donne il cui comune problema è l'incapacità a mantenere delle relazioni funzionali con gli altri e con se stessi.
Ci sosteniamo reciprocamente nella speranza di risolvere i nostri comuni problemi e di aiutare gli altri nel recupero.
L'unico requisito per essere membri di Co.D.A. è il desiderio di avere relazioni sane con gli altri e con se stessi.
Co.D.A. è un programma di recupero della co-dipendenza dove ciascuno di noi può condividere la propria esperienza, forza e speranza, nello sforzo di ritrovare la libertà dove c'è stata la schiavitù e pace dove c'è stata agitazione, nelle relazioni con gli altri e con se stessi, attraverso l'applicazione dei Dodici Passi e delle Dodici Tradizioni, applicabili alla nostra vita.
(…) Ciò che noi offriamo della nostra esperienza personale sono le attitudini e i comportamenti che descrivono come sono nate le nostre storie di co-dipendenza. Crediamo che la guarigione cominci con un'onesta autodiagnosi. Arriveremo ad accettare la nostra impossibilità a conservare e sviluppare sane relazioni con gli altri e con noi stessi. Iniziamo riconoscendo che la causa si trova nei vecchi modi di vivere autodistruttivi. Abbiamo scoperto che questi modi di vivere rientrano in due categorie generali: sottomissione - rendersi graditi agli altri - e controllo - manipolare gli altri.

Per informazioni sui gruppi nelle diverse città italiane rivolgersi a:
Servizi Generali Co-D.A. Italiana
c/o Oratorio Santa Giulia P.zza Giulia, 7/L
10100 TORINO
Telefono: 0347/5596113


I Dodici Passi

  • Noi abbiamo ammesso la nostra impotenza di fronte alle relazioni e che le nostre vite erano divenute incontrollabili.
  • Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi avrebbe potuto riportarci alla ragione.
  • Abbiamo deciso di affidare la nostra volontà e le nostre vite alla cura di Dio, "quale noi potremmo concepirLo".
  • Abbiamo proceduto a un inventario morale profondo e coraggioso di noi stessi.
  • Abbiamo ammesso davanti a Dio, di fronte a noi stessi e di fronte a un altro essere umano, la natura esatta dei nostri torti.
  • Ci siamo trovati interamente pronti ad accettare che Dio eliminasse tutti i nostri difetti di carattere.
  • Gli abbiamo umilmente chiesto di porre rimedio alle nostre deficienze.
  • Abbiamo fatto una lista di tutte le persone che abbiamo leso e abbiamo deciso di fare ammenda nei loro confronti.
  • Abbiamo fatto direttamente ammenda verso tali persone, quando ciò è stato possibile, eccettuati quei casi in cui, così facendo, avremmo potuto recar loro danno oppure nuocere ad altri.
  • Abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale e, quando ci siamo trovati in torto, lo abbiamo subito ammesso.
  • Abbiamo cercato, attraverso la preghiera e la meditazione, di rendere più intenso il nostro contatto cosciente con Dio, "quale noi potremmo concepirLo", pregandolo solo di farci conoscere la Sua volontà e di darci la forza di seguirla.
  • Avendo ottenuto attraverso questi Dodici Passi un risveglio spirituale, noi abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio ad altri co-dipendenti e di mettere in pratica questi principi in tutti i campi della nostra vita.