Non
esiste altra benedizione che la pace
di Judith Gass
"Non
esiste altra benedizione
che la pace.
Ein l'cha brachah ella
hashalom."
Reb Zalman inizia la
nostra intervista con
questa citazione dal
Talmud e poi prosegue:
"Nel Pirkei Avot,
l'Etica dei Padri, c'è
scritto: 'Stare tra
gli studenti di Aaron,
il sommo sacerdote.
Cercare la pace. Perseguire
la pace'. Ci sono molti
passi in cui si narra
che quando Aaron veniva
a sapere che due persone
avevano litigato, si
recava subito a parlar
loro. Al primo diceva:
"Sai, anche il
tal dei tali vorrebbe
fare la pace con te.
Che ne diresti di essere
un po' più gentile
con lui la prossima
volta? Quando ti vede
con la faccia scura,
non osa avvicinarsi
nemmeno per farti le
scuse. Quindi, la prossima
volta, quando lo vedi
sorridigli". Ripeteva
poi le stesse parole
anche all'altro contendente
in modo che quando si
incontravano in strada
si sorridevano a vicenda
e finivano per fare
la pace."
Reb Zalman aggiunge
che la più importante
tra le mitzvot - le
613 buone azioni che
ogni ebreo è
invitato caldamente
a praticare - è
fare la pace tra marito
e moglie e tra genitori
e figli. Nell'ebraismo
la famiglia è
considerata la base
del tessuto sociale.
Se lì c'è
pace, allora poi si
spanderà in sfere
sempre più larghe
della vita con le quali
ciascun componente della
famiglia si troverà
a interagire.
Tsultrim Allione ribadisce lo stesso concetto dicendo: "La pace inizia con se stessi e con l'ambiente circostante. Sviluppare la pace dentro se stessi implica una qualche forma di introspezione. Nel buddhismo tibetano, la meditazione è la via che porta all'auto osservazione. Se la togliamo dal suo contesto culturale, troviamo che fornisce la base per la saggezza innata, ci conduce al riconoscimento della nostra vera natura"
Padre
Theofane, ha trascorso la vita come monaco trappista.
Il punto focale della sua esistenza e del suo servizio
è sempre stato l'approfondimento della pace
interiore e del legame diretto con Dio, fornendo un
contesto dove anche altri potessero fare esperienza
della vita contemplativa. Theofane è un esempio
vivente di pratica interreligiosa. Ha studiato la
meditazione buddhista di vipassana per trenta anni
e sostiene che questa formazione gli ha consentito
di approfondire la sua capacità di vivere gli
insegnamenti cristiani come peacemaker.
È un ribelle simpatico e irriverente, subito
pronto a sottolineare le contraddizioni tra il primo
cristianesimo che si fondava sugli insegnamenti sull'amore
e il perdono di Gesù e la natura politica e
parrocchiale del cristianesimo istituzionalizzato.
L'immagine ideale di ciò a cui gli uomini aspirano
è comune a tutti i cammini spirituali. Sia
che questo ideale sia articolato come realizzazione
degli insegnamenti e dell'energia di Gesù,
oppure come sviluppo della consapevolezza, della vacuità
e compassione, o secondo gli insegnamenti della Torah
o del Corano, tutti i cammini forniscono una cornice
di teoria, credenza e pratica che aiutano il cercatore-praticante
lungo il suo viaggio spirituale. Ogni cammino ha inoltre
dei precetti, comandamenti o regole che servono a
sostenere la vita morale, il rispetto e il lasciarsi
andare a una forza spirituale via via sempre più
presente.
Le religioni aiutano a mostrarci quale sia il nostro
posto nell'ordine dell'universo. Siamo alla mercè
delle vaste e incontrollabili forze della vita. Allo
stesso tempo siamo esseri coscienti, capaci di fare
delle scelte che possono essere in linea oppure no
con ciò che appare essere un senso universale
di ciò che nel buddhismo si definisce 'retta
azione'. Tuttavia ci sono interessanti differenze
di orientamento tra i diversi cammmini.
Nella tradizione mistica dell'ebraismo viene insegnato
che quando Dio fece il vaso del mondo, la luce che
vi entrò era così potente che il vaso
andò in frantumi in milioni di pezzi. Ecco
che quindi ogni frammento ha la luce del divino nascosta
dentro di sé. È compito degli uomini
scoprirla in ogni frammento, in ogni aspetto della
vita umana. Siamo chiamati così all'alleanza
con Dio. Sta a noi essere le mani di Dio, dare forma
alla presenza di Dio. Non si tratta di un lavoro che
può essere fatto una volta e poi dimenticato;
è una pratica continuativa, da fare tutti i
giorni e viene chiamata tikun olam: la riparazione
del mondo.
Secondo questo orientamento non costituisce affatto
una sorpresa il grande numero di coloro che da Carlo
Marx a Emma Goldman e Abbie Hoffman si sono impegnati
come attivisti sociali e politici. Questa visione
ci porta a uno dei tre principi della Peacemaker Community:
guarire noi stessi e gli altri.
Nella pratica buddhista si impara a sedersi con l'universo
visto come un flusso in continua espansione e contrazione:
l'uno non è migliore dell'altro, semplicemente
sono. Entrambi sono elementi necessari della vita,
proprio come la nascita e la morte, il decadimento
e la fioritura; così come il flusso delle stagioni
in natura e nei nostri corpi sono parte del continuo
cambiamento e della creazione senza fine dell'universo.
Questo orientamento ha portato a una lunga tradizione
di vita monastica nel buddhismo nella quale i praticanti
si disinteressano alle attività mondane cercando
di coltivare le qualità che conducono alla
realizzazione. Queste capacità ci portano al
principio del portare testimonianza: ossia la capacità
di essere presenti, senza giudicare, a tutti gli aspetti
della vita.
Questi due punti di vista, seppure diversi, sono però
anche complementari. Ci sediamo, portiamo testimonianza;
impariamo a essere in pace con il flusso sempre cangiante
della vita stessa. Però impariamo anche ad
affrontare in modi compassionevoli e nonviolenti ciò
che percepiamo come comportamenti o azioni dannosi.
Non dobbiamo scegliere, non si tratta di essere dei
praticanti spirituali contemplativi o degli attivisti
concentrati sui problemi del mondo. È esattamente
questo il matrimonio di cui parla l'Interfaith Peacemaker
Order.
Quando portiamo la piena presenza della consapevolezza
alla sofferenza nel mondo, quando siamo disposti a
impegnarci con una coscienza compassionevole e spaziosa,
quando nelle nostre azioni e rapporti siamo guidati
da un'etica profondamente interiorizzata, allora la
piena e vibrante capacità di creare pace dentro
di noi la portiamo per aiutare ad alleviare la sofferenza
umana. Così facendo difendiamo la giustizia
e guariamo il nostro rapporto con il mondo naturale.
In che cosa consiste il processo di fare pace dentro
se stessi e con il mondo? Come si fa? Un anno fa,
il maestro Elias Amidou e sua moglie Rabbia vendettero
la casa e tutto ciò che avevano e iniziarono
a viaggiare senza meta per un lungo periodo di tempo
che lui descrive: "Come in se stessa una venerabile
pratica sufi, simile alle immersioni della Peacemaker
Community". Scrivendo da un internet caffé
nel sud del Marocco, Elias ci manda questo racconto
in cui si parla del lavoro interiore che porta a diventare
un peacemaker.
"Ieri mattina ha bussato alla nostra porta un'amica.
Avevo dimenticato che avevo espresso interesse a vedere
il luogo dove viveva un oscuro sufi di nome Sidi Say.
La nostra amica era venuta per accompagnarci da lui.
A me non andava: ero immerso nel libro che stavo leggendo
e andare significava un lungo pezzo in macchina solo
per vedere un altro piccolo edificio bianco a forma
di cubo con sopra una cupola. Ma ecco che lei era
arrivata e stava aspettando con suo padre e la cugina;
con riluttanza mi sono unito a loro e abbiamo iniziato
il viaggio nell'auto che era già calda. Il
mio umore non cambiò durante tutto il viaggio.
A un certo punto ci fermammo e lei ci indicò
una collina molto arida e ripida. A metà della
salita c'era una piccola grotta con dentro una piccola
lapide. "Tutto qui?" pensai. Ci chiese se
volevamo entrare e a me vennero in mente innumerevoli
buoni motivi per non farlo. Ma proprio in quel momento
vidi me stesso come una nebbiolina di sentimenti e
preconcetti che avevo portato con me e che mi ostacolavano
dall'essere presente. Allora semplicemente li ho lasciati
andare. Ero lì, in piedi, nel sole nella tarda
mattinata con nessun altro pensiero se non la certezza
che non sapevo che cosa sarebbe successo. È
questo il punto della storia. Per me questo passo,
questo svuotarmi, è il cuore del processo di
fare pace, non importa quanto sia importante e cruciale
il momento, sia che ci si trovi in mezzo a fazioni
in lotta o in circostanze normali come questa. Se
ha un significato vero, la pace sarà investita
con la vita e la morte, con la luminosità e
l'oscurità, con l'inaspettato e il bello e
con il non conosciuto. Che cosa ne sapevo io di che
cosa c'era lì, tra la strada e la salita rocciosa
della collina? Il mio umore e i pensieri mi avevano
tenuto separato, e in un modo banale in guerra con
il mio mondo.
Così risposi: "Sì, mi piacerebbe
salire fino alla grotta di Sidi Say". La prospettiva
cambiò immediatamente: il sentiero si apriva
su un vasto e verdeggiante giardino che era nascosto
dalla strada. Un contadino lì vicino ci salutò
e noi gli gridammo: "Che la pace sia con te"
e lui ci rispose: " La misericordia e la benedizione
di Allah siano con voi". "Guarda che succede
adesso", ho pensato! Il sentiero scendeva verso
un vecchio pozzo molto grande a fianco del letto del
fiume. Due ragazzi seduti sul muro cercavano di catturare
una rana facendo penzolare un pezzo di pane su un
gancio che pendeva da una canna. Ci sorridevano con
gioia. Ci mettemmo tutti a ridere quando la rana mangiò
il pane senza mordere il gancio. Il padre della nostra
amica, un uomo piccolo e anziano, faticava per riuscire
a sedersi sul muro accanto ai ragazzi. Si misero a
ridere un'altra volta e il vecchietto che tutti i
giorni non faceva nulla se non sedere sulla porta
del cortile, in quel momento sembrava brillare nella
luce dell'eternità.
C'era pace; il giardino, l'anziano, i ragazzi, la
rana, Sidi Say, il mio cuore, ognuno contribuiva con
la sua reciproca presenza a rivelare il Reale: tutte
piccole cose, ma fragranti con la vita.
Proprio in quell'istante si udì dai minareti
del paese l'invito alla preghiera. Veniva recitata
la shahada, la 'testimonianza': "ashhadu al la
ilaha illa llah. Porto testimonianza che non c'è
altro dio all'infuori di Dio". I sufi amano ripetere
questo dhikr, questa invocazione, e allargandone il
significato fino a riconoscere che il sé assume
il ruolo di una deità illusoria, e che dunque
bisogna continuamente disilluderlo. Ecco perché
l'invocazione inizia con una negazione: "Non
c'è altro dio
", "Io non esisto
".
La pratica del portare testimonianza per i peacemaker
inizia anch'essa con una negazione: il non conosciuto.
Non posso conoscere Dio se penso di conoscerlo, non
posso conoscere mio fratello se penso di sapere ciò
che va bene per lui; non posso conoscere la pace se
non sono disponibile a restare sorpreso.
Quando Elias descrive in modo così bello il
processo del lasciare andare e dell'aprirsi a ciò
che c'è, ci ricordiamo delle nostre resistenze
a provare la vita così com'è e le tante
contraddizioni della mente e del cuore che ci impediscono,
secondo le parole del maestro buddhista Thich Nhat
Hanh, di 'essere pace'. La disponibilità ad
affrontare la vita da un luogo di non conoscenza costituisce
il primo principio fondamentale della Peacemaker Community.
Quando siamo capaci di lasciare andare le nostre idee
preconcette su come le cose dovrebbero essere, a lasciare
andare i tentativi spesso inutili che facciamo per
controllare gli altri e gli eventi della vita, allora
arriviamo con pienezza nel momento presente, senza
resistenza. Bello in teoria, ma come sa chiunque sia
sulla Via, difficile da mettere in atto.
Theophane ride quando gli chiedo come fa lui a mettere
la teoria in pratica. "Le campane e gli occhi
dei fratelli" mi risponde, spiegando che la struttura
e la regolarità della vita monastica sostengono
la disciplina che spesso è difficile da seguire
da soli. Tutti gli insegnanti concordano nel sostenere
che è la pratica quotidiana a permettere alla
pace interiore di svilupparsi.
Il buddhismo ha una comprensione molto sofisticata
degli stati dell'essere che sono gli ostacoli con
i quali ogni essere umano deve lottare.
Tsultrim spiega il concetto dei cinque veleni; ognuno
di essi è un'energia fondamentale della condizione
umana ed è considerata distruttiva sia per
la pace interiore sia esterna. Essi sono l'ignoranza,
la rabbia, l'orgoglio, la passione e la gelosia. Ma
ogni veleno è bilanciato da una saggezza che
è l'aspetto di non attaccamento di quella stessa
energia. In altre parole, la stessa energia meno la
lotta. Lavorando sulla nostra coscienza, siamo capaci
di trasformare questa energia nociva e i nostri metodi
abituali di agire in saggezza benefica. Ne riceviamo
il dono.
L'ignoranza diviene la saggezza della vastità
spaziosa. La rabbia si trasforma nella saggezza della
chiarezza, come uno specchio che riflette accuratamente.
L'orgoglio diventa la saggezza dell'equanimità,
se lasciamo andare l'avversione e l'attrazione che
sorgono da ciò che non ci piace o ci piace.
La passione diviene la saggezza di una consapevolezza
che ha discernimento, che ha la capacità di
discriminare senza identificarsi. Infine la gelosia
evolve nella saggezza che Tsultrim definisce come
"saggezza del già compiuto", ossia
la capacità di sperimentare la perfezione di
ogni cosa così com'è.
Vediamo che la stessa energia è contemporaneamente
la mancanza di agio, l'ostacolo, ma anche l'obiettivo
e la porta verso la liberazione. Le stesse dinamiche
agiscono anche nel mondo esterno quando noi peacemaker
lavoriamo per trasformare i limiti di una rigidità
partigiana in una comprensione globale; l'asprezza
del conflitto sociale in perdono e compassione; la
rigidità dei vecchi sistemi sociali e politici
e delle credenze in nuove soluzioni creative.
Imparando a essere compassionevoli con noi stessi
e a mano a mano che lentamente progrediamo nel lavoro
interiore, allo stesso modo dobbiamo portare le qualità
di rispetto, compassione e pietà alla lentezza
del cambiamento nel mondo esterno.
Fare la pace è un lavoro duro. "È
importante non perdersi nel pensare che questo mondo
dovrebbe essere amore e luce. Ci sono delle differenze
reali, minacce e paure reali". Reb Zalman prosegue:
"Una pace che non è la piena espressione
delle diverse espressioni è considerata falsa.
È ciò a cui Scott Peck si riferisce
quando parla di 'una falsa comunità'. Si può
iniziare a parlare di vera pace in una situazione
solo dopo che le problematiche cominciano a manifestarsi
e che si lavora includendo anche le parti ombra".
Tra le sfide più grosse ci sono i tanti conflitti
che durano da tempo e che hanno diviso le diverse
fedi. Sebbene tutte le tradizioni spirituali cerchino
di aiutare a indebolire il dominio dell'ego personale
dei propri seguaci, ogni tradizione tuttavia ha la
propria identità - o ego collettivo - che ritiene
essere 'migliore di', 'più vera' o 'scelta
da Dio'.
Innumerevoli sono stati i morti in guerre dottrinarie
su quale versione della verità fosse quella
giusta. Proprio come i nostri ego impauriti che cercano
di proteggere la nostra identità individuale,
le religioni si combattono per preservare ed espandere
la loro influenza culturale e il loro dominio.
Reb Zelman parla di questo come della "Nozione
trionfalistica che quasi tutte le religioni hanno
avuto fino a oggi e cioè che alla fin fine,
quando tutti i nodi verranno al pettine, si vedrà
che la nostra religione era quella giusta e le altre
quelle sbagliate, e quindi alla fine saremo noi a
trionfare". "A volte" prosegue Reb
Zelman "quando discuto con degli ebrei ortodossi
che ritengono che il cristianesimo e tutte le altre
religioni siano sbagliate, io chiedo loro: "Ma
credi che Dio dormiva quando nacquero Gesù
o Buddha?" Dobbiamo arrivare al punto in cui
crederemo che l'altra persona - o l'altra religione
- abbia diritto al suo spazio nel mondo.
Ho chiesto a ciascuno di questi insegnanti: "Com'è
l'azione di pace interreligiosa e quando l'hai vista
realmente in azione?" Quando finalmente ho parlato
con padre Theophane, egli ha candidamente ammesso
di aver dimenticato il nostro precedente appuntamento
perché: "Francamente il concetto di dialogo
interreligioso non mi interessa molto". Ci trovammo
d'accordo nel ritenere che sfortunatamente la maggior
parte del dialogo interreligioso di solito significa
solo persone che parlano da un punto di vista solidamente
dentro la loro tradizione particolare. Fin dall'inizio
essi sanno che: 1) faranno del loro meglio per conservare
e riaffermare i principi della loro fede particolare
e 2) nessuno sarà molto influenzato da nessun
altro.
Reb Zalman condivide questa immagine e racconta di
quando una volta si trovò seduto in aereo accanto
a un prete russo-ortodosso che gli disse di non credere
nel dialogo. Reb Zelman ricorda: "Ci mettemmo
a parlare e io gli feci delle domande sui problemi
dei russi della prossima generazione e suggerii che
forse sarebbe bene stringere dei legami e qualche
tipo di unione con gli episcopali, ecc. Al termine
del volo a Cleveland mi disse: 'Grazie, è stata
una bellissima conversazione, però io non credo
nel dialogo'".
Davanti a simili sfide, i peacemaker hanno sviluppato
metodi di dialogo efficaci per arrivare a un ascolto
profondo anche in situazioni emotivamente molto tese
e con punti di vista molto divergenti.
Nella Peacemaker Community si insegna il council,
una modalità di stare insieme che si basa sulle
tradizioni degli Hopi e di altri popoli indigeni.
La premessa è che ogni persona nel cerchio
ha un pezzo di verità e che l'intera verità
non potrà rivelarsi fino a quando ogni persona
non avrà offerto la sua prospettiva. Questo
approccio è la porta di accesso alla potenzialità
e alla forza di un vero processo di pace interreligiosa.
Per essere capaci di ascoltare con mente realmente
aperta, dobbiamo lasciare cadere le nostre idee su
chi ha 'ragione' o su che cosa 'dovrebbe succedere'.
Da questo stato di mente e cuore non rigidi, possiamo
ascoltare la verità che emerge.
Anche se è facile guardare alla sofferenza
resa ancora più acuta dalle differenze ideologiche
e religiose, è importante per noi ricordare
i successi conseguiti dai peacemaker che hanno agito
in una prospettiva interreligiosa. Ricordiamo gli
sforzi di pionieri come Mahatma Ghandi, Martin Luther
King e Nelson Mandela che hanno cambiato la storia.
Onoriamo l'attivista per la pace dei giorni nostri,
la birmana Aung San Suu Kyi, le madri dei soldati
russi che sono riuscite a togliere i loro figli dal
Kosovo e le donne irlandesi che sono scese in piazza
per chiedere la pace. Ricordiamo anche le tante migliaia
di altre persone che si sono impegnate, al di là
di ogni divisione religiosa, etnica o politica, a
praticare metodi nonviolenti per realizzare un mondo
di pace.
Elias scrive: "Penso alle fotografie in cui si
vede Martin Luther King camminare sottobraccio con
rabbini, preti e ministri di culto di ogni tradizione;
queste immagini di solidarietà spirituale hanno
aiutato a risvegliare la coscienza morale di molti
di noi. Credo che molti dei più terribili problemi
del mondo - e dei nostri vicini - diminuirebbero alla
luce di una testimonianza interreligiosa".
Reb Zalman è considerato il padre del Jewish Renewal Movement.
Padre Theophane vive nel monastero di San Benedetto in Colorado.
Elias
Amidon è un
mushid nella tradizione
sufi della tariqa di
Inayat Khan.