Prevenire
il suicidio
di Arnaldo Pangrazzi
"Qualche
mese fa ho tentato il
suicidio. La causa del
mio gesto è che
non mi sentivo pił felice.
So che il dolore e la
sofferenza fanno parte
della vita, così
come la gioia e il sorriso.
Ma io non sentivo quel
grado di sufficiente
felicità che
ci dovrebbe essere in
ogni vita. Inoltre,
avevo la sensazione
che per quanto mi impegnassi
ad essere bravo, gentile
e premuroso non fosse
mai abbastanza.
Il meglio di me non
bastava alla gente!
Questo mi faceva sentire
in colpa e una persona
insoddisfatta diventa
un peso per gli altri.
Non volevo trascorrere
il resto della mia vita
in queste condizioni,
per cui avevo deciso
di farla finita.
Si, lo so che è
sbagliato e che la società
lo condanna. Ma io volevo
morire. La vita, così
com'era, mi sembrava
peggiore della morte.
Ma, ora, sono contento
di essere vivo. Spero
che non mi chiediate
di vergognarmi per ciò
che ho fatto.
Sogno un giorno di avere
dei bambini e che non
abbiano a pensare male
di me. Ho imparato ad
essere più forte,
anche pensando di più
a me per non smarrirmi
nelle aspettative degli
altri. Ho imparato a
individuare meglio i
miei bisogni. Uno di
questi è che
continuiate a volermi
bene.
Con affetto".
(Lettera apparsa sul
Boston Globe, luglio
1981)
Le motivazioni del
suicidio
Il suicidio ha significati
diversi: per alcuni
è una protesta
o una resa dinanzi a
un dolore inaccettabile
rappresentato dalla
perdita di un congiunto,
da una malattia incurabile
o da un fallimento personale,
professionale o finanziario;
per altri è un
modo per sfuggire al
senso di vuoto e inutilità
provocato dalla solitudine,
dalla vecchiaia o dalla
mancanza di appartenenza;
per altri ancora è
un grido di aiuto per
attirare su di sé
l'attenzione di persone
significative; in qualche
occasione, è
un gesto di accusa e
di vendetta contro qualcuno
che si vuol ferire e,
talvolta, è un
atto di autocastigo
per errori commessi
o aspettative tradite.
Frequentemente le ragioni
che hanno spinto al
folle gesto sono trasmesse
attraverso messaggi
scritti o verbali. Le
cause ricorrenti che
hanno indotto i protagonisti
a questa scelta sono:
La
prevenzione del suicidio
Il suicidio è
un fenomeno complesso,
con molte ramificazioni,
che richiedono un processo
di sensibilizzazione
a vari livelli.
Il primo obiettivo,
a livello di prevenzione,
consiste nel cercare
di eliminare, per quanto
possibile, le circostanze
che lo possono favorire.
Si tratta di operare
interventi a livello
educativo-sociale e
psicologico per abilitare
le persone a gestire
in maniera costruttiva
le crisi della vita,
senza lasciarsi prendere
dallo sconforto e dalla
disperazione.
In termini pratici significa,
ad esempio, aiutare
i giovani - nella scuola
e nella famiglia - ad
apprendere a gestire
meglio i sentimenti
quali lo scoraggiamento
e la collera, educandoli
a vedere opzioni e a
crescere attraverso
la sofferenza.
Il secondo obiettivo
è di intervenire
nei gruppi più
a rischio, quali gli
anziani, i malati mentali,
i carcerati, le vittime
di violenze fisiche,
i depressi, i tossicodipendenti.
Questa forma di prevenzione
è svolta da quanti
sono più a contatto
con queste persone,
hanno ricevuto una preparazione
nell'arte della relazione
di aiuto, sono in grado
di diagnosticare la
depressione e sanno
promuovere l'autostima,
che è l'antidoto
migliore al suicidio.
Si è andata consolidando
una rete di centri di
ascolto e di emergenza
telefonica che permette
di filtrare l'urgenza
dei bisogni e consigliare
risorse e strutture
di supporto.
Il terzo obiettivo
consiste nell'educare
volontari e membri di
associazioni sociali
ed ecclesiali a conoscere
meglio le circostanze
che possono provocare
crisi suicide, per effettuare
interventi opportuni.
Il suicidio è
una morte che si può
prevenire: talvolta
basta un ascolto attento,
una parola opportuna,
un gesto di affetto
per aiutare qualcuno
a scegliere la vita
e non la morte.
Modalità d'intervento
Alcune linee-guida possono
servire di orientamento
a quanti desiderano
aiutare chi sta contemplando
l'idea di togliersi
la vita:
La
rinuncia alla speranza
Purtroppo, accade che
talvolta chi contempla
il suicidio non lasci
trapelare le proprie
intenzioni o non voglia
lasciarsi aiutare. Nella
propria mente ha già
fatto una scelta definitiva.
C'è chi è
persuaso che il dolore
sia per sempre e questa
convinzione lo porta
a scegliere la morte,
togliendo alla vita
l'opportunità
di sanare il dolore.
Così il suicidio
porta con sé
il sapore di un gesto
che ha tarpato le ali
alla speranza, un dire
addio senza consultarsi
con chi condivide la
propria vita. E purtroppo
non si muore mai soli.
Si porta con sé
un po' della vita dei
propri cari e si lascia
con i superstiti un
po' della propria morte.
Il suicidio ha tanti
significati e in ogni
vita che sceglie la
morte possono contribuire
fattori personali, familiari,
lavorativi, sociali
e culturali.
Ogni storia è
tessuta di circostanze,
pensieri, sentimenti
e atteggiamenti che
narrano il mistero di
ogni essere umano; mistero
che la tragicità
della morte intensifica
più che chiarire.
Talvolta, il gesto suicida
contrasta con tutti
i valori professati
dalla persona: è
un tassello che non
quadra con il mosaico
e lascia allibiti e
interdetti i superstiti.
In altre occasioni,
la tragedia è
una conclusione annunciata,
una fine che racchiude
in sé l'inventario
di amarezze e disfatte
che hanno caratterizzato
una vita.
In qualche circostanza,
il suicidio sopraggiunge
proprio quando sembrava
che le cose stessero
prendendo una piega
giusta e si aveva la
sensazione che il peggio
fosse passato.
Non si sa mai quello
che passa nella mente
e nel cuore di chi sta
per togliersi la vita.
Molti portano con sé,
nella tomba, il peso
dei propri silenzi e
le ragioni per rinunciare
a sperare, lasciando
ai superstiti il tormento
di tanti 'perché',
'ma' e 'se'
rimasti irrisolti. Altri
lasciano un messaggio
che aiuta a capire il
tormento, è l'ultima
comunicazione del mittente
prima di intraprendere
il suo viaggio senza
ritorno.
Talvolta i messaggi
permettono di addentrarsi
nella mente del suicida,
ma le domande restano:
"Perché
l'ha fatto?", "Perché
ci ha lasciato, così?",
"Perché
non ha pensato anche
a noi?".
Il superstite e
l'impatto con la tragedia
Il suicidio lascia sempre
ferite e interrogativi
profondi nei superstiti
Se ogni distacco produce
sconvolgimento e confusione,
tanto più quello
prodotto dal suicidio.
Istintivamente i familiari
rifiutano il modo scelto
dal proprio caro per
dar termine alla sua
vita.
Nei giorni o settimane
successivi alla morte,
i superstiti rivivono
il filmato della scena
del suicidio e si sentono
derubati dei ricordi
più belli ed
oppressi dal ricordo
dei dettagli finali.
"La
morte raramente consente
partenze eleganti o
addii puliti. Arriva
tra la gente inaspettatamente.
Qualcuno viene lasciato
con l'angoscia di essere
stato abbandonato slealmente.
L'abbandono non è
così terribile
quando c'è tempo
e spazio per un vero
arrivederci. È
quando non c'è
stato nessun arrivederci
o, peggio, un cattivo
arrivederci, che la
morte diviene odiosa
e lascia un sentimento
di incompletezza e irresolutezza."
(Alla Bozarth Campbell)
È
necessario, però,
affrontare le immagini
negative prima di riprendere
contatto con i ricordi
positivi.
L'impatto iniziale del
gesto compiuto sconvolge
i familiari e produce
un senso di imbarazzo
e stigma sociale. C'è
chi per evitare il disagio
sceglie di nascondere
le varie cause della
morte attribuendola
ad altri fattori socialmente
più accettabili:
"Aveva un tumore
al cervello", "È
stato un incidente,
stava pulendo il fucile",
"Un infarto se
l'è portato via".
La scelta del diniego
o del silenzio limita
le opportunità
di catarsi perché
l'energia psichica viene
convogliata nel proteggere
il segreto.
Talvolta, un vedovo
o una vedova cercano
di nascondere ai figli
più giovani le
cause di morte del genitore
per proteggerli dal
dolore con il rischio
che la verità
venga scoperta più
tardi a scuola, purtroppo
anche attraverso commenti
sarcastici dei compagni.
È particolarmente
urgente il sostegno
dei figli di suicidi
per prevenire rimorsi
inappropriati, contribuire
a rafforzare la loro
autostima e aiutarli
ad affrontare positivamente
le difficoltà
Per alcune persone l'evento
del suicidio scatena
il bisogno di abbandonare
l'ambiente sociale di
appartenenza per andare
a vivere in luoghi in
cui non si è
conosciuti. È
anche un modo per evitare
commenti che feriscono:
"Quella è
la madre del ragazzo
che si è suicidato",
"Quello è
il padre della ragazza
che si è impiccata".
È come se, dietro
queste frasi sussurrate,
venisse emesso un giudizio
di colpevolezza nei
confronti dei familiari.
La fuga non risolve
il dolore. Bisogna affrontare
il proprio calvario
e il caos del mondo
interiore in subbuglio,
consapevoli che queste
tragedie possono succedere
nelle migliori famiglie
e a persone di comportamento
esemplare.
L'elaborazione del cordoglio
Il gesto del suicidio
scatena nei familiari
un groviglio di sentimenti
che si alternano e contrastano
fra loro.
Due stati d'animo frequentemente
presenti in questa esperienza
luttuosa sono la colpa
e la collera.
La colpa presenta sfaccettature
diverse quali la vergogna,
l'imbarazzo, l'autoaccusa
e il rammarico; la collera
altre espressioni quali
il risentimento, l'amarezza,
l'aggressività,
la chiusura.
Il suicidio non è
solo una perdita ma,
razionalmente o irrazionalmente,
è percepito come
un'accusa. Il superstite
può avere la
sensazione di aver fallito
nei suoi ruoli, di non
aver amato abbastanza
e di aver contribuito
a un rapporto conflittuale,
e si interroga sulle
proprie responsabilità
in quanto accaduto.
Questo sentimento si
manifesta nel rimpianto
per aver assunto un
atteggiamento inopportuno,
non aver capito un gesto,
non aver detto una parola
sanante, aver perso
il significato di un
messaggio trasmesso,
non aver fatto di più,
non poter tornare indietro.
Talvolta, invece del
rammarico, prende il
sopravvento un comprensibile
risentimento verso il
defunto e per il modo
in cui ha interrotto
il rapporto.
I superstiti si sentono
traditi nell'amore,
delusi per un impegno
non mantenuto, sconvolti
per un gesto che in
qualche modo condanna
anche loro, risentiti
verso chi ha disertato
pensando solo a sé,
senza considerare i
figli o i congiunti.
La collera nasce dal
coinvolgimento: non
ci si arrabbia con qualcuno
se non lo si ama. La
collera non è
l'opposto dell'amore,
ma una sua dimensione
ed è espressione
di un affetto profondamente
ferito. Ha bisogno di
essere incanalata bene
per non diventare distruttiva.
In realtà, la
colpa e la collera sono
due volti della stessa
medaglia e scaturiscono
dal terribile vuoto
che il suicidio ha lasciato.
Il vuoto di una presenza
che ossessiona e, allo
stesso tempo, invoca
pietà. Il vuoto
che produce un'immensa
solitudine e la solitudine
è il prezzo dell'amore.
Il processo per guarire
un cuore spezzato comporta
la graduale elaborazione
dei sentimenti: questo
richiede tempo e pazienza,
capacità di tolleranza
e disponibilità
ad aprirsi agli altri.
Non si vive continuando
a biasimare se stessi
o il defunto per la
propria infelicità.
Non si può tornare
indietro né cambiare
il passato. È
necessario imparare
ad abbracciare il proprio
dolore e ad assumere
responsabilità
per il proprio presente
e futuro.
Tornare a vivere
I superstiti di un suicidio
non sono condannati
a vivere infelici per
sempre. Né il
dolore dura per sempre.
Non ci si può
arrendere perché
un proprio caro si è
arreso. La vita continua,
anche se rimane la tristezza
di non aver vicino colui
o colei che avrebbe
potuto condividere i
cambiamenti, i dolori
e le sorprese della
famiglia, se solo avesse
saputo aspettare.
Il suicidio è
un terribile colpo alla
propria immagine, da
cui ci si recupera valutando
con equilibrio e saggezza
quanto accaduto.
La via della guarigione
passa attraverso la
consapevolezza che non
si può giudicare
il passato con la conoscenza
di oggi, che l'amore
da solo non basta a
salvare un proprio caro,
che esistono dei limiti
al proprio potere e
responsabilità,
che non si può
pretendere di essere
l'unica persona che
influisce sull'esistenza
di un altro.
In una parola, occorre
riconciliarsi con i
propri limiti e la propria
impotenza. Nessuno è
in grado di vegliare
ventiquattro ore su
ventiquattro per salvare
la vita di un altro.
Il senso di inadeguatezza
e imperfezione personale
è un invito ad
aprirsi al perdono nei
confronti di Dio, del
proprio caro e di se
stessi.
Benché il gesto
del suicidio continui
ad essere oggettivamente
sbagliato, i teologi
contemporanei sottolineano
che le circostanze possono
renderlo soggettivamente
privo di colpa. Coloro
che si tolgono la vita
possono essere talmente
turbati mentalmente
da agire sotto un impulso;
la loro percezione della
realtà è
così distorta
che la loro responsabilità
nel compiere il folle
gesto ne risulta enormemente
distorta.
Gesù stesso,
sulla croce, ha avuto
parole di misericordia
verso i suoi persecutori:
"Padre, perdona
loro perché non
sanno quello che fanno".
Il perdono aiuta a trasformare
il dolore in amore.
Coloro che, maturati
da questa tragedia,
hanno messo la propria
sensibilità e
compassione a servizio
degli altri hanno scoperto
la chiave per sanare
il dolore.
Padre Arnaldo Pangrazzi
è docente di
pastorale presso l'Istituto
Internazionale Camillanum
di Roma, presidente
dell'Associazione Italiana
di pastorale sanitaria
(AIPA) e presidente
del Comitato Europeo
di pastoral care and
counselling. Autore
di vari libri tra cui
il recente "Sii
un girasole accanto
ai salici piangenti",
ed. Camilliane.
Sul
tema del suicidio
vogliamo segnalare
il testo uscito
recentemente di
Adriano Segatori,
psichiatra e psicoterapeuta
presso il Dipartimento
di Salute Mentale
di Gorizia.
" Tutto ciò che non si comprende, o che si ha la presunzione di ritenere estraneo a noi, crea un'atmosfera di angoscia placabile solo, forse, con risposte pronte e rassicuranti, non importa se veritiere o meno. Questo lavoro non dà risposte seduttive, né ritiene che giudizi univoci, generalizzati e consolanti possano corrispondere ad un approccio approfondito ad un problema tanto complesso quanto misterioso " Adriano
Segatori - Il
suicidio |