L'orologio
fermatempo
Ricordo di Gianfranco Baieri
Gianfranco
Baieri è morto il 7 giugno
di quest'anno, nell'ospedale S.
Filippo Neri dalle cui finestre
poteva vedere il 'suo' Santa Maria
della Pietà, pochi giorni
prima della definitiva chiusura
dell'ex manicomio di Roma.
Sentendosi nuovamente abbandonato
e con la prospettiva di andare
a vivere in una casa famiglia
lontana dal 'comprensorio' nel
quale identificava la propria
vita, forse Gianfranco ha preferito
non farcela.
Solo poche settimane prima, alcuni
suoi quadri erano stati esposti
a Roma, al Posto delle fragole,
uno spazio lontano dai circuiti
psichiatrici. La mostra, dal titolo
"Classificati scarti",
voleva festeggiare la sua pittura,
insieme a quella di Nicola Fanizzi,
anch'egli ex internato, nel momento
della fine della sua reclusione
manicomiale.
Lo ricordiamo riprendendo dal
lavoro di Sensibili alle foglie
alcune pagine che si interrogano
sul senso della sua vicenda e
pubblicando, sia pure parzialmente,
un testo inedito raccolto da un
suo e nostro amico.
La reclusione di Gianfranco Baieri
comincia nel primo anno di vita
quando viene affidato dalla madre
al collegio del Bambin Gesù
di Roma. Dopo alcuni anni di collegio,
il 16 gennaio 1946, all'età
di soli 7 anni, Baieri viene portato
al reparto per bambini dell'ospedale
Psichiatrico S. Maria della Pietà
di Roma, da allora non è
più uscito.
All'origine della vita reclusa
di Gianfranco Baieri c'è
una storia di vergogna e di pregiudizio
sociale. Una madre partorisce
un bambino al di fuori del matrimonio.
Un "figlio della colpa".
Non può tenerlo con sé,
né vuole abbandonarlo:
sceglie di nasconderlo e di vincolarlo
al segreto. Gianfranco è
stato fedele al segreto alla lettera,
come può esserlo un bambino
intrigato dalla complicità
con la madre. Per 50 anni infatti
egli si è "autosegregato"
- complice la struttura manicomiale
- perché nessuno lo vedesse.
Mai come in questo caso il manicomio
ha svolto la funzione storica
che gli è propria, di ricettacolo
delle persone da nascondere. La
diagnosi psichiatrica è
infatti totalmente priva di fondamento
scientifico, tant'è che
è Baieri stesso a suggerirla
al medico per poter passare dal
reparto bambini ad uno dei settori
più chiusi del manicomio
dei grandi, il Padiglione 22°.
L'esperienza reclusiva di Baieri
è intricata come le scatole
cinesi: prigioniero del pregiudizio,
dell'istituzione, del segreto.
(...) Baieri si esprime principalmente
attraverso le "puntigliate
di colore". Ogni quadro è
una storia, anzi, frequentemente
un quadro gli dà l'occasione
di inventare più racconti
fantastici con cui intrattenere
amici e visitatori. Oltre alle
"puntigliate" Gianfranco
dipinge anche il "quadrettato",
in questo caso ogni tela propone
tanti piccoli riquadri, ognuno
di questi "quadrucci"
è un'opera a se stante.
L'artista illustra i suoi quadri
come i cantastorie utilizzavano
i loro teloni illustrativi, e
le figure simboliche ricorrenti
nelle sue opere sono: la madre
- madonna, i bambini, l'orologio
"fermatempo", la nave,
simbolo di viaggio e infine le
ceste, sempre colme di ogni ben
di Dio. Lo scenario preferito
è la natura; l'aria ricorrente,
quella della gioia.
(...) Quando parliamo del S. Maria
della Pietà io uso la parola
manicomio, mentre Gianfranco preferisce
il termine comprensorio. Effettivamente
la denominazione ufficiale del
S. Maria della Pietà è
"comprensorio", non
manicomio. Ma io penso che Gianfranco
lo chiami così non tanto
per attenersi alla definizione
letterale, bensì perché
lì c'è ormai tutta
la sua vita: gli amici, la casa,
la chiesa in cui ha fatto il chierichetto
per quattordici anni, la pittura;
comprensorio quindi, perché
contiene tutto quanto. Alcuni
dei quadri raffigurano appunto
il comprensorio come un grande
quartiere con la chiesa, la casa,
il viale.
(Nicola Valentino in Cartabelli
n.14, ed. Sensibili alle foglie)
L'orologio
fermatempo
Gianfranco Baieri il 16 gennaio
1996 ha festeggiato, al Santa
Maria della Pietà, nella
città di Roma, cinquant'anni
di manicomio. (...) Molto presto
Baieri comincia a dipingere. In
uno dei suoi quadri, il quadrante
di un grande "orologio fermatempo"
ospita l'immagine, ora rossa,
ora scura, di un bambino. Fuori
dall'orologio, in primo piano,
una donna e poi altre donne sullo
sfondo, altri umani. Il bambino
è recluso in un tempo bloccato.
Non un'assenza di tempo, ma il
tempo segnato da un orologio che
non scandisce il ritmo della vita
bensì i rintocchi della
sua agonia.
Decidendo di vivere recluso egli
decide anche di svalorizzare il
tempo sociale. Questo tempo, per
lui, non è forse soltanto
un tic-tac fittizio proprio come
il suo spazio un "buco nello
spazio"?
Ma in questo tempo fermato ciò
che si muove instancabilmente
è la mano che dà
forma e colore al suo mondo vitale,
un mondo rigoglioso di immagini
che egli offre, come dono, solo
alle persone con cui entra in
simpatia.
(Renato Curcio, Reclusione volontaria,
ed. Sensibili alle foglie, p.95
)
Iconografia
e Incoerenza
Lo stralcio di una conversazione
tra me e Baieri che qui riportiamo
potrà forse aiutarci a
conoscere meglio quest'uomo che
ci ha regalato una grande eredità
di ottimismo, ironia e conoscenza.
Si tratta di una registrazione
fatta durante l'estate del 1996
all'8° padiglione del Santa
Maria della Pietà dove
Baieri, insieme ad altri 'ospiti',
aveva dato vita a un laboratorio
di pittura usato anche come punto
di incontro per amici, studiosi
o chiunque altro volesse avvicinarsi
alla loro esperienza.
(Filippo P. Carter)
Baieri chi sei?
- Che cosa hai mangiato a pranzo?
- Risotto alla pescatora e basta.
- È importante per te il
frigorifero?
- Sì, è molto importante,
infatti ne ho due. Sono sempre
pieni di ogni ben di Dio: uova,
frutta, verdure mi danno le energie
necessarie per dipingere. Pensa,
anni fa, non avevo né frigo
né tele sulle quali dipingere.
Era un periodo di grande povertà
perché la suora, di cui
non voglio fare il nome, si arricchiva
alle spalle mie e dei miei amici.
Ma questa è una storia
morta e sepolta, parliamo di altro.
- Come definiresti lo spazio in
cui vivi? C'è chi lo chiama
studio di pittura, chi galleria
d'arte, chi semplicemente stanza.
- Per me è una barca. Una
barca con su tutti gli altri artisti.
- Parliamo, se vuoi, della tua
vita, una storia che è
racchiusa e rinchiusa tra le pieghe
di una tela scritta e disegnata
con pennarelli rosa e nero.
- Sì, è vero. È
proprio così. Il lavoro
è stato fatto pochi giorni
fa ed è ancora fresco o
forse troppo vecchio.
- Anni fa scegliesti di rifugiarti
in questa bella villa che però
era il manicomio di Roma.
- È inutile parlarne, mi
sono voluto isolare per un lungo
periodo di tempo. Volevo nascondermi
da chi sai. Volevo nascondermi
e dipingere. Questo era un luogo
sicuro, un ottimo nascondiglio,
il migliore. Nessuno riuscì
a trovarmi.
I
materiali
- I tuoi lavori più intensi
sono quelli che hai realizzato
su materiali 'poveri': strofinacci
da cucina e vecchie tovaglie sono
il supporto per le tue prime iconografie
incoerenti.
- Sì, anni fa, non avendo
la possibilità di comprare
delle tele dipingevo su tutto
quello che trovavo all'interno
del padiglione e nelle sorveglianze
esterne. Ho dipinto così
i primi "fermatempo"
e "le barche" che erano
fatte sugli stracci o le lenzuola
del padiglione 22. Un numero tremendo
come tremende erano le urla che
riecheggiavano da quei quadri
e da quelle mura. Ma la mia pittura,
sia pur incoerente ha restituito
alle tende, agli stracci e alle
tavole una grande dignità.
E non solo a loro.
Gli amici del cuore
- Durante tutti questi anni so
che hai avuto tantissimi amici:
pittori, scrittori e attori. Chi
è stato il tuo amico del
cuore?
- Giampaolo T. Giampaolo era un
tipo molto legato che però
io riuscivo a sciogliere e sciogliendosi
mostrava tutta la forza della
poesia. E che poesia! Sì,
era un poeta. Un poeta forte,
violento come un toro che solo
io riuscivo a comprendere perché
le altre persone avevano paura.
Ti confesso però che oltre
a me un giornalista del Corriere
della Sera capì la personalità
di Giampaolo: accadde una sera
mentre mi vide imboccare di pittura
il mio caro amico.
- Spesso il tuo studio si trasforma
in un teatro nel quale chi vuole
può recitare le proprie
commedie. Riesci sempre ad aiutare
gli altri artisti con una tazza
di caffè e una sigaretta.
Ma l'altra sera quel tuo amico
aveva smarrito la strada dell'arte:
era disperato, stava impazzendo
o forse già lo era? - Ho
capito di chi parli, ma basta
così, basta quello che
hai detto.
La tela-mente
- Vorrei che questa conversazione
non finisse mai, abbiamo sofferto
tutta la calda estate per trovare
i vari punti d'appoggio: dai lavori
passati al moderno! Con queste
storie ho voluto svelarti un segreto:
da tempo ho liberato la tela-mente.