Udine: Yoga a scuola


Chi bazzica nel mondo della scuola è preparato a dover affrontare, per qualunque iniziativa, proposta, richiesta che venga avanzata, tempi di attesa e di realizzazione notoriamente lunghissimi...
È stato quindi con grande stupore che Barbara ed io abbiamo accolto la richiesta della Scuola Media Valussi di Udine che, già in Settembre, ci proponeva ben quattro classi del tempo prolungato per l'insegnamento dello yoga, secondo il Protocollo di intesa con il Ministero.
Un po' colte alla sprovvista, rispetto alle modalità ed alle normative di questo progetto- ai tempi appena abbozzate - ci siamo presentate alla riunione con il Preside, gli insegnanti ed i genitori, per concordare insieme un programma che potesse corrispondere alle esigenze dei bambini di prima e seconda media.
Si trattava di spiegare quali potessero essere gli obbiettivi e le finalità dell'insegnamento dello yoga a scuola, a persone che a malapena ne avevano sentito parlare e che perlopiù conoscevano l'argomento attraverso i vari stereotipi proposti dai media.
Prevedendo qualcosa di simile avevamo preparato un programma che, in quella sede, abbiamo avuto l'occasione di presentare, illustrare, discutere.
Tra i genitori e gli insegnanti c'era molta curiosità ed una buona disponibilità a far sperimentare ai loro ragazzi questa proposta così nuova e diversa da tante altre!
L'argomento che sembrava riscuotere più interesse sembrava essere quello della concentrazione e della possibilità di riconoscere e gestire, in qualche modo, gli stati di agitazione, di confusione emotiva.
Dopo aver gentilmente spiegato che, pur comprendendo le loro motivazioni, gli argomenti suggeriti dovevano essere inseriti in un percorso molto più vasto e progressivo, ci siamo messe al lavoro per cercare di tarare il programma sulle caratteristiche di quelle classi e di quel contesto.
Considerando che effettivamente il periodo delle medie corrisponde alla fase della pubertà fortemente caratterizzata da instabilità emotiva, bisogno di contrapposizione, improvviso - ed apparentemente immotivato - bisogno di dinamismo, insicurezza dovuta alle importanti trasformazioni fisiche che stravolgono gli schemi motori e posturali precedentemente acquisiti, abbiamo deciso di iniziare il lavoro proprio a partire dall'ascolto di sé, del proprio modo di essere fisico, emozionale, nervoso.
Il primo problema che ci siamo poste (e che pensiamo possa essere fonte di perplessità e preoccupazione per tutti coloro che iniziano ad affrontare l'insegnamento dello yoga a livello scolastico) è stato di ordine didattico/gestionale:
come fare ad incoraggiare - in una sede notoriamente stimolante come può essere la palestra, in mezzo alle ore del rientro pomeridiano - e quindi con parecchie ore di immobilità alle spalle - un atteggiamento di tranquillità e di attitudine all'ascolto?
Come fare a far capire a dei ragazzini, per loro natura scherzosi e portati alla battuta ad oltranza, che è possibile divertirsi pur facendo una cosa seria?

Questo nostro racconto potrebbe essere un avvio ad uno scambio di esperienze per chi si cimenta in questa impresa, tanto entusiasmante quanto delicata...visto e considerato il prezioso e fragile materiale umano con cui si ha a che fare!
Innanzitutto un consiglio: se non amate davvero i bambini...se non vi sentite un po' come loro...se non siete disponibili a mettere continuamente in discussione i vostri schemi e le vostre certezze in ogni momento....beh!...preparatevi ad avere un'esperienza difficile! I bambini sono meravigliosi e temibili: colgono immediatamente le rigidità o le insicurezze di chi si rivolge a loro...ed a ben poco servono le compensazioni didattiche che insegnanti di altre materie possono permettersi, in questi casi; mi riferisco in particolare alle diffusissime strategie di tipo autoritario "ad alto volume" che per noi sono, per una banale questione di coerenza, del tutto impraticabili.
Educare i ragazzini di dodici/tredici anni all'ascolto...quelli dei videogiochi, quelli per cui star fermi per più di due secondi è una sorta di tortura, quelli che trasformano in battute a sfondo erotico qualunque cosa venga detta, quelli per cui, per ogni tipo di richiesta, la risposta comunque è: non ci penso nemmeno!...
Come fare? Da dove incominciare? Cosa inventare per suscitare il loro interesse e creare un clima di rispetto e di attenzione?
Come riuscire a far loro intendere che divertirsi non è solo e sempre sbaccanare o essere intrattenuti...che divertirsi è anche: star bene con se stessi insieme agli altri?!

La prima cosa, di ordine strategico/logistico che ci è venuta in mente, è stata quella di aiutarli a creare, trovare, definire uno spazio personale e personalizzato (da una stoffa colorata, un telo, un asciugamano): un punto equidistante da un centro che facesse parte, come gli altri, della circonferenza di un cerchio (precedentemente costruito con un corrispondente numero di tappetini).
Abbiamo potuto così iniziare a lavorare sulla percezione dello spazio, quello personale e quello collettivo, del rispetto e della consapevolezza che è necessario avere soprattutto quando si lavora in gruppo.
Il fatto di sensibilizzare i ragazzi su queste tematiche - anche tramite giochi ed esercizi tratti dalla psicomotricità - ci ha dato in seguito la possibilità di passare ad un'osservazione più profonda: quella dello spazio interno e cioè di quel luogo dove, quando si chiudono gli occhi, è possibile raccogliere i pensieri, le immagini scaturite dalla fantasia, concentrare l'attenzione, per provare ad ascoltare che cosa avviene dentro e fuori di noi.
Esplorandolo i ragazzi hanno scoperto un punto di riferimento sempre a portata di mano: un luogo dove è possibile stare tranquilli e ritrovarsi: a scanso di equivoci, abbiamo spiegato loro che non si tratta di magia o di qualcosa di simile ai superpoteri dei loro eroi, ma di uno spazio calmo e forte sul quale poter contare e dal quale attivare le proprie migliori ed autentiche risorse.
Insieme abbiamo sperimentato diversi modi per raggiungerlo e, soprattutto, capito che per poterlo riconoscere è necessario imparare ad ascoltare davvero.
Non é stato facile, ma ci é venuta in aiuto quell'alleata preziosa che , quando si ha a che fare con i bambini , non manca mai : la curiosità.
L'idea di poter trovare questo spazio, che abbiamo presentato con il suono un po' misterioso di Akasha, è stata uno stimolo efficace, mantenuto vivo ed interessante attraverso la vasta disponibilità dei mezzi dello yoga: sequenze e posture per loro insolite (in particolare quelle di equilibrio) per veicolare l'attenzione attraverso la coscienza del corpo, l'uso di suoni intensi e coinvolgenti (cembali di diverse tonalità, campana tibetana) e dell'emissione delle vocali per favorire l'ascolto del respiro, il gioco della concentrazione sulla luce, su semplici mandala, su forme geometriche, sequenze e movimenti del corpo nello spazio ad occhi chiusi.
Progressivamente i ragazzini hanno imparato ad apprezzare la possibilità di ascoltarsi, a gradire (incredibile ma vero!) i vantaggi e la piacevolezza della calma e addirittura del silenzio...tant'è che ci è stato possibile condurre con successo brevi momenti di rilassamento guidato - basato soprattutto sull'osservazione e l'ascolto di sé.
Il lavoro è andato avanti per tutto il primo quadrimestre con interesse da parte dei ragazzi, e con grande gioia da parte nostra che, su richiesta dei bambini e degli insegnanti, stiamo per iniziare un altro ciclo di incontri.


Questo racconto proviene dall'esperienza di Rossana e Barbara, (insegnanti di yoga e, rispettivamente, di educazione fisica e di storia dell'arte), collaboratrici e formatrici presso la R.Y.E (Ricerca Yoga Educazione).