Formazione
all'azione nonviolenta
PBI Italia
di Tarquinio Fuortes
Le
Peace Brigades International (PBI)
sono un'organizzazione nonviolenta
di ispirazione gandhiana, fondata
nel 1981 in Canada con lo scopo
di favorire la pace e la giustizia
in zone di conflitto e di grave
violazione dei diritti umani.
L'intervento delle PBI avviene
soltanto a partire da una richiesta
proveniente da un gruppo locale
che agisce senza far ricorso alla
violenza e si attua mediante l'invio
di volontari che utilizzano metodi
di nonviolenza attiva come ad
esempio offrire aiuto a persone
e gruppi in situazioni di pericolo
a causa della loro attività
attraverso un servizio di scorta
non armata.
L' accompagnamento può
prendere numerose forme come:
scortare una persona a rischio,
24 ore su 24; essere presenti
negli uffici di una organizzazione
minacciata; visitare delle persone
- oppure seguirle nei loro spostamenti,
nei luoghi di lavoro, durante
avvenimenti pubblici - in momenti
particolarmente critici; accompagnare
dei rifugiati sulla strada del
ritorno alla loro comunità.
Le PBI hanno accompagnato migliaia
di militanti per i diritti umani,
contadini e comunità rurali,
studenti, leader sindacali, gruppi
di donne, organizzazioni indigene,
famiglie di persone scomparse
o rifugiati (per esempio Rigoberta
Menchú, premio Nobel per
la Pace, quando affrontava il
rischio di tornare in visita in
Guatemala).
Al momento sono in corso progetti
a lungo termine in Colombia, Haiti,
Filippine, America del Nord, Messico
e nei Balcani. Tra le varie iniziative
promosse dalle PBI va compresa
anche la formazione all'azione
nonviolenta e alla risoluzione
nonviolenta dei conflitti. Proprio
di questo abbiamo parlato con
Tarquinio Fuortes che dopo aver
partecipato a un training con
le PBI si è fatto promotore
a Roma dell'attività di
formazione.
D: Le Peace Brigades
International (PBI) sono presenti
in molti paesi del mondo con progetti
di grande interesse, ma poco si
sente parlare delle attività
di formazione o di educazione
alla nonviolenza nei paesi di
origine. Si tratta di una scelta
voluta?
R: Le finalità dei
training di formazione sono prevalentemente
di selezione e reclutamento di
volontari per i progetti delle
PBI che sono un'organizzazione
che opera in diversi paesi del
mondo basandosi su un volontariato
pressoché totale, con un
bilancio ridottissimo. I training
vanno dunque in primo luogo in
questa direzione, ma sono indirizzati
anche all'educazione alla nonviolenza
e al dialogo e alla risoluzione
dei conflitti più in generale.
E anche a un'allargamento della
conoscenza intorno alle PBI: per
una loro scelta fino a oggi hanno
mantenuto un profilo decisamente
basso rispetto all'immagine esterna,
almeno rispetto ad altre organizzazioni
che svolgono attività simili.
Nelle PBI esiste un indirizzo
internazionale ma poi ogni struttura
nazionale fa le sue scelte. In
Italia e Spagna è in corso
un processo per cercare di avere
una visibilità maggiore
e anche un'attività più
concertata con Amnesty International.
Le PBI non intervengono in nessuna
situazione dove già sono
presenti altre strutture dello
stesso tipo. Con Amnesty la situazione
è diversa; per schematizzare
potremmo dire che l'intervento
delle PBI è di prevenzione
rispetto alla violazione dei diritti
umani mentre quello di Amnesty
è di denuncia dopo che
le violazioni sono avvenute. Ecco
perché è possibile
l'integrazione del rispettivo
lavoro. A me sembra una cosa positiva
perché non significa necessariamente
fare delle scelte diverse sui
finanziamenti o sul modo in cui
si esiste.
Si possono comunque mantenere
delle scelte che sono le più
monastico-spartane che io abbia
mai incontrato e però essere
allo stesso tempo più conosciuti
e avere un contatto maggiore con
chi è interessato alle
attività di volontariato,
che in Italia sono circa sei milioni
di persone.
D: Un reclutamento in
primo luogo, dunque, per volontari
che andranno a prevenire conflitti
in varie parti del mondo, ma comincia
a esserci da parte delle PBI una
sensibilità anche alla
conflittualità quotidiana
di una società ricca come
la nostra o di qualsiasi altro
paese occidentale?
R: Il training si struttura
su due livelli base e poi, per
chi ha intenzione di partire per
un progetto come volontario, c'è
un training specifico che dura
circa dieci giorni e si svolge
a livello europeo. Questo è
il percorso formativo prima di
andare sul posto.
Il training di primo e secondo
livello ha anche delle altre caratteristiche
per cui le persone che non possono
o non vogliono fare i volontari
in un paese straniero possono
scegliere di fare parte della
"rete di urgenza" che
è una struttura che interviene
quando ci sono rischi di violazioni
in un singolo paese. Oppure possono
partecipare ai gruppi locali di
sostegno che si vanno diffondendo
proprio in seguito alla scelta
di avere maggiore visibilità
e che possono assumere impegni
diversi. Queste diciamo sono le
finalità del training da
parte delle PBI.
Per quanto riguarda invece i partecipanti,
essi ricevono una formazione straordinaria
e parlo per quello che ho visto
su di me e sugli altri partecipanti.
Anche per persone che non svolgono
una particolare attività
sul terreno sociale o di ricerca
spirituale è stata un'esperienza
molto intensa e significativa.
D: Credo che questo
sia un punto che definirei abbastanza
cruciale, impegno sociale e ricerca
spirituale. Il training in che
modo tocca questi due aspetti?
Esiste una metodologia universale
adottata dalle PBI, cioè
il training di primo e secondo
livello che avete fatto è
uguale dappertutto?
R: Cominciamo con il dire
che la formazione parte dalle
esperienze di trasmissione della
conoscenza per via sperimentale
che sono comuni al movimento nonviolento
negli ultimi 15-20 anni. In Italia
poi il riferimento della sezione
formazione delle PBI è
un filone, una corrente che è
andata avanti e che continua ad
andare avanti che è quella
dei gruppi che sono intervenuti
su tutta la situazione nell'ex
Jugoslavia e che hanno contribuito
a formare una generazione di formatori.
Diciamo dunque che l'aspetto di
impegno sociale è nella
metodologia e passa attraverso
le sperimentazioni, i giochi di
ruolo, le simulazioni che vengono
proposte e che sono molto ricche
e articolate, dinamiche. Si basano
tutte sul riprodurre situazioni
tipiche dell'esperienza concreta
delle PBI: si parla di quello
che potrebbe succedere in Italia
o all'estero e delle decisioni
da prendere di conseguenza.
Esplicitamente non viene fatto
nessun discorso spirituale, piuttosto
parlerei di una interreligiosità
laica. Le radici gandhiane dei
fondatori, la metodologia di dibattito
interno dove la decisione per
consenso viene ripresa dalle comunità
quacchere, in Italia la vicinanza
con la parte attiva del volontariato
cristiano sono tutti elementi
che portano in una direzione precisa,
anche se non viene mai esplicitata.
Le PBI sono un'organizzazione
apartitica, apolitica e aconfessionale.
Di fatto le sperimentazioni sui
problemi della violenza, della
paura, del rapporto con gli altri
che vengono proposte vanno sempre
nella direzione di un lavoro su
se stessi.
D: Cioè si richiede
un lavoro su se stessi per lavorare
all'esterno e viceversa; come
due facce della stessa medaglia?
R: Il training si svolge
un po' come una situazione di
ritiro, a Roma si è svolto
in condizione semi residenziale,
in cui il pasto, il dormire, i
servizi e il tempo libero passato
insieme entrano a far parte del
percorso formativo. Alla fine
dei primi due giorni, o dei quattro
giorni, la verifica che tutti
fanno è che si è
costituito un gruppo che ha fatto
un'esperienza in comune estremamente
significativa, con livelli di
amicizia molto forti.
All'interno del training i vari
momenti sono molto frazionati:
dieci minuti una cosa e poi si
passa a un'altra. Sono tutti percorsi
che mettono insieme se stessi
con i problemi da affrontare come
ad esempio simulare la dinamica
del gruppo che decide, ci sono
anche dei giochi fisici, il contatto
con il proprio corpo, la fiducia...
D: Tu hai una storia
lunga di associazionismo, di impegno
sociale, anche all'estero, che
cosa ricordi in particolare delle
due giornate di training?
R: La cosa che mi rimane
di più rispetto alle esperienze
precedenti è il metodo
della decisione per consenso che
è veramente innovativo
rispetto alla discussione che
di solito avviene nei gruppi o
nelle strutture che svolgono un'attività
di impegno sociale.
D: Direi che questo
è un punto fondamentale:
per un periodo tu sei stato anche
membro della Rete di Indra e direi
che questo è un po' il
lato di ombra di ogni organizzazione,
di ogni associazione o comunque
della maggior parte di esse: il
ricadere in determinati ruoli,
in determinate dinamiche nella
vita interna della struttura.
È possibile in due week
end imparare ad affrontare queste
questioni?
R: A distanza di alcuni
mesi dal training a cui ho partecipato,
direi di sì. Continuo a
fare spesso riunioni sul problema
della nonviolenza e del pacifismo
e due fine settimana rispetto
a vent'anni di incallita pratica
e vizi di questo tipo direi che
mi sono serviti. Vengono introdotte
delle tecniche rapide che non
si possono dimenticare e che sono
il modo con cui ci si schiera
rispetto a un problema, in linea
di massima nel giro di dieci secondi.
Tutto il gruppo deve discutere
e non si prende una decisione
se non con il consenso unanime,
fino al diritto di veto per il
singolo che sia seriamente motivato.
Questo approccio porta a superare
le due logiche che conosciamo:
quella della decisione a maggioranza
e quella della decisione con il
capo carismatico che sono le più
diffuse. Questo è il training,
la realtà anche dentro
le PBI ha a che fare con noi come
siamo.
Il training ricorda comunque abbastanza
i metodi che sono stati messi
a punto da Thich Nhat Hanh rispetto
alla discussione interna e alla
sua regolamentazione. La ricchezza
e la valorizzazione di tutti quanti,
al di là delle capacità
intellettuali, delle risorse,
e della determinazione di ciascuno,
permette a tutti di esprimersi
tenendo conto della concretezza
della cultura occidentale. Per
questo mi sento di consigliare
a tutti di partecipare a questo
tipo di training.
D: Cosa ti ha portato
a incontrare le PBI?
R: Dopo aver letto gli
articoli su "Buone notizie",
sono andato a guardare il loro
sito su internet e sono rimasto
colpito dalla grande concretezza
e, lasciamelo dire, dal fatto
che hanno un bilancio mondiale
che è pari a quello che
la cooperazione italiana spende
per mandare due tecnici più
o meno operativi per un anno da
qualche parte nel sud del mondo!
Questo dato mi ha fatto scattare
la convinzione che lì doveva
esserci qualcosa di diverso. Poi
ho verificato che le persone che
fanno il training hanno tutte
per lungo tempo fatto i volontari
all'interno dei progetti e poi
hanno sviluppato questa attitudine
alla formazione, continuando però
ad avere dei periodi di pratica
nei progetti all'estero.
I corsi di formazione si
tengono periodicamente,
due o tre volte l'anno in
varie parti d'Italia. |
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