"Non
ci sono parole"
di Roshi Bernard Glassman
La
morte arriva improvvisa e senza
avvisare, uno shock estremo anche
per coloro che hanno trascorso
l'intera vita contemplando la
verità dell'impermanenza.
In questo testo toccante che riprendiamo
dalla rivista Shambala Sun, Roshi
Bernard Glassman racconta la sua
pratica dopo la morte della moglie
e compagna di dharma, Sensei Sandra
Jishu Holmes.
Seguo un programma giornaliero.
La mattina faccio un bagno. Poi
mi siedo davanti alla foto di
mia moglie. A volte ascolto della
musica. A volte guardo gli uccellini
fuori dalla finestra. Leggo e
rileggo gli insegnamenti di Ramana
Maharshi, che lei ammirava. Gioco
con i suoi cani e leggo i suoi
diari.
Per il resto della giornata lavoro
allo sviluppo del Peacemaker Order
e ne curo il sito web. Mi rendo
disponibile per gli insegnanti
e gli studenti anziani, di solito
per telefono. A volte mi viene
da ridere e dico che, rispetto
a come ho lavorato negli ultimi
trent'anni, adesso non faccio
nulla. Ma quando il sole tramonta
mi sento esausto e vado a letto
presto. In realtà sto lavorando
sodo. Sto portando testimonianza.
Nel marzo del 1998 insieme a mia
moglie, Sensei Jishu Angyo Holmes,
abbiamo lasciato la nostra casa
a Yonkers per trasferirci a Santa
Fe. Ci accompagnavano quattro
cani e tre membri della nostra
comunità. Abbiamo attraversato
il paese con due auto e due camion,
facendo una sosta di tre ore in
Pennsylvania per una perdita di
olio di uno dei camion e un'altra
di tre ore nel carcere federale
di Springfield, nel Missouri,
per visitare uno dei nostri preti
del Peacemaker Order, Fleet Maull.
Io e Jishu avevamo lavorato nella
parte povera di Yonkers fin dal
1982, dall'inizio del panificio
Greyston. Siamo poi andati a vivere
a Yonkers nel 1987, concentrando
per tutti quegli anni le nostre
energie nel cercare di sviluppare
il Greyston Mandala, un gruppo
di organizzazioni che ricavavano
alloggi e creavano lavoro per
le famiglie senza casa e i malati
di AIDS di Yonkers.
Ma dopo aver fondato insieme nel
1996 lo Zen Peacemaker Order,
iniziammo a cercare altrove un
posto dove vivere. Metà
del tempo eravamo in viaggio,
per visitare i sangha dello Zen
Peacemaker Order e i gruppi di
creatori di pace in tutto il mondo
e non eravamo più tanto
giovani. L'idea di un rifugio,
di un santuario dove entrambi
avremmo potuto respirare e riposare
negli intervalli tra un viaggio
e l'altro e i nostri impegni,
era diventata molto importante.
Finalmente, nel dicembre del 1997,
Jishu vide una casa a santa Fe;
era una casa quadrata con un cortile
interno, in stile coloniale, situata
in alto, a strapiombo sul fiume
di santa Fe. Aveva bisogno di
un nuovo impianto elettrico e
lo stucco andava rifatto, servivano
nuove porte, finestre e bagni.
Jishu se ne era innamorata. Saremmo
vissuti all'ombra delle montagne
Sangre de Cristo. Ci sarebbe stato
spazio per i suoi cani, per nuovi
alberi, per un ampio giardino.
Aveva invitato anche i suoi genitori
a venire a vivere con noi in modo
da averli vicino. Sarebbe stato
l'inizio di una nuova vita, per
lei e per me.
Martedì sera, il 3 marzo
del 1998, lasciammo Yonkers. Jushin
che ci aiutava nelle faccende
di casa e uno studente di Jishu
scattarono una foto della loro
insegnante mentre sorrideva dal
finestrino di uno dei due enormi
camion proprio prima della partenza.
Fu questa l'ultima foto di lei
viva.
Arrivammo a Sana Fe il lunedì
mattina del 9 marzo e terminammo
la compravendita della nuova casa.
Sei giorni dopo, mentre stava
disfacendo le valigie una domenica
pomeriggio, Jishu si lamentò
di sentire dei dolori al petto.
Di corsa la portammo all'ospedale
e i medici dissero che aveva avuto
un infarto.
Nei quattro giorni successivi
sembrò che si stesse riprendendo,
ma giovedì sera ebbe un
secondo infarto e dopo una lotta
di quasi ventiquattro ore, la
sera tardi del 20 marzo, il giorno
del solstizio di primavera, lasciò
questa sfera di insegnamento.
Mancavano pochi giorni al suo
cinquantasettesimo compleanno.
Dopo una settimana abbiamo fatto
i funerali. La riportammo alla
casa che aveva tanto amata e in
cui aveva vissuto così
poco, l'abbiamo lavata e vestita
nella sua camera da letto, poi
l'abbiamo distesa per riposare
nel cortile interno coperto con
una tenda. Le tenemmo compagnia
tutta la notte e la mattina successiva
la riportammo al luogo del funerale.
Lì parlammo della nostra
vita trascorsa con le. La madre
parlò di come era da bambina
mentre i fratelli raccontarono
di come erano cresciuti insieme.
Io ero l'ultimo.
Quando toccò a me parlare,
la guardai giacere nella bara,
ricoperta dalla kesa che lei aveva
cucito, con la mala e una collana
di fiori hawaiana, e dissi: "Non
ci sono parole". Fu l'unica
cosa che riuscii a dire. Poi ricoprimmo
di fiori tutto il suo corpo, con
centinaia di fiori, e la mandammo
al suo samadhi di fuoco.
Il pomeriggio piantammo un albero
di prugne nel giardino di modo
che gli uccellini potessero rifugiarsi
tra i suoi rami e i cani sdraiarsi
alla sua ombra. Poi portammo a
casa i suoi resti. Giacciono sotto
la sua foto nel soggiorno dall'altra
parte della stanza, di fronte
all'altare dove ogni mattina faceva
le pratiche zen e di buddhismo
tibetano. Lei sta sempre in casa.
Infatti la chiamo Casa Jishu.
All'inizio mi trovai sotto shock.
Eravamo appena arrivati qui per
iniziare una nuova vita in un
posto che lei amava. La nostra
camera da letto dava sulle montagne
e a lei piaceva alzarsi ogni mattina
all'alba. Era piena di gioia e
vitalità quando arrivammo
in questo posto. Ma le erano state
concesse solo cinque di quelle
albe. Una settimana dopo la morte
di Jishu mi arrivò in visione
una copia del mio nuovo libro
"Portare testimonianza".
In esso avevo scritto sui tre
principi dello Zen Peacemaker
Order: la non conoscenza, il portare
testimonianza alla gioia e alla
sofferenza, e il guarire se stessi
e gli altri. Mentre rivedevo il
libro, capii che cosa mi aveva
fatto lo shock. Mi trovavo in
uno stato di non conoscenza.
Ciò che era successo era
inconcepibile, impensabile. La
maggior parte delle persone non
poteva crederci. La gente continuava
a parlare del sorriso felice e
spensierato di Jishu, un sorriso
che nessuno di noi avrebbe mai
più rivisto. Mi chiedevano:
"Che cosa farai?". "Porterò
testimonianza", rispondevo.
Cancellai tutti gli interventi
pubblici che avevo in programma
per il resto dell'anno, compreso
un giro promozionale per il libro.
Ho scoraggiato centinaia di amici,
associati e allievi che chiamavano
per venirmi a trovare. Sapevo
dall'inizio come sarebbe stato
facile per un uomo come me, circondato
da persone, programmi e progetti,
con scadenze fissate con due anni
di anticipo, buttarsi nel lavoro.
Scelsi invece un'immersione. Scelsi
di immergermi in Jishu.
Le immersioni sono tratti caratteristici
del nostro ordine. Sono ritiri
pensati per levarci di colpo dal
nostro modo abituale di fare le
cose e dai concetti abituali e
noi portiamo testimonianza. Per
molti anni ho fatto immersioni
al Bowery, tra i senza tetto di
New York; altre immersioni le
ho fatte ad Auschwitz-Birkenau,
in Polonia. Ma questa è
per me l'immersione più
difficile di tutte.
Ecco l'orario che seguo nella
mia immersione. Mi sveglio presto
e faccio un bagno. Ho imparato
a fare il bagno da Jishu, lei
trovava che fosse un modo meraviglioso
per rilassarsi. Poi mi siedo davanti
alla sua foto nel soggiorno. A
volte metto della musica, specialmente
la Quarta Sinfonia di Mahler che
lei amava tanto. Oppure Philip
Glass o Shlomo Karlbach, il rabbino
cantante che è anche un
mio vecchio amico, che ha cantato
delle canzoni per la figlia che
ha chiamato Neshama, la mia anima.
Ultimamente ho messo in ordine
i nastri e i cd; Jishu aveva iniziato
a farlo a Yonkers, mettendo la
musica in ordine per compositore
secondo il periodo. Ho appena
finito il lavoro. Gli uccellini
cantano fuori dalla finestra.
Lei li amava e prima di aderire
alla Comunità Zen di New
York aveva partecipato a una spedizione
in tutto il mondo per osservare
gli uccelli. Così tengo
sempre a portata di mano i suoi
binocoli e i suoi libri per guardare
gli uccelli che lei amava tanto.
Le piaceva molto pure fare i puzzle,
più pezzi erano meglio
era. Così c'è anche
un puzzle sul tavolo rotondo vicino
al cuscino dove mi siedo. I pezzi
sono tutti sparsi. Quando qualcuno
viene se vuole può trovare
un pezzo e metterlo nel puzzle.
Ci vorrà molto per finirlo,
ma non c'è fretta.
All'inizio non ero sicuro di potercela
fare. In primavera erano fioriti
così tanti lilla bianchi
e viola che si affacciavano dalle
finestre e dalle porte, il loro
profumo sovrastava quello dell'incenso
che accendo la mattina. I colibrì
guardavano dentro attraverso i
vetri, gli alberi mettevano le
foglie, le ombre del crepuscolo
diventavano più lunghe
e si facevano dorate. Sembrava
che fossi circondato dalle cose
che Jishu amava. Non potevo posare
l'occhio da nessuna parte senza
pensare a come le sarebbe piaciuto
vedere una cosa o a come avrebbe
esclamato vedendone un'altra.
Invece io guardavo i colibrì,
sentivo l'odore dei fiori e non
volevo. Volevo andarmene, lasciare
la casa e Santa Fe.
Questo posto non fa per me, dicevo
alla gente, siamo venuti nel sud-ovest
per Jishu. Questa casa, il canyon,
le montagne, sono tutte cose che
lei amava, non io. Sto meglio
nel cuore della città,
non qui. Dicevo che avrei venduto
la casa, sarei partito e mi sarei
preso un monolocale nella Bowery,
a New York.
In effetti un compratore si fece
subito avanti, una famiglia che
abitava lì vicino che avevo
appena conosciuto e che avevo
trovato simpatica. Promisero che
avrebbero avuto cura della casa,
lo avrebbero fatto per Jishu.
Ma sono rimasto, fino ad ora non
ho lasciato la casa, non l'ho
venduta. Sulla mia scrivania giacciono
tante lettere con offerte di case
dove potrei riposare e scappare
da tutto: a Malibu, New York,
Santa Barbara, alle Hawai, Londra
o in Svizzera. Ma fino ad ora
non ho lasciato Santa Fe tranne
che in due occasioni. All'inizio
di giugno sono andato a Philadelphia
per ordinare un gruppo di studenti
nello Zen Peacemaker Order come
buddhisti. Avevano iniziato a
studiare con Jishu e io gli ho
dato l'ordinazione in suo nome.
L'altra è stata per recarmi
a San Francisco per andare a trovare
Ram Dass. Qualche tempo fa ha
subito anche lui una terribile
perdita, un ictus gli ha lasciato
tutta la parte destra completamente
paralizzata. Anche Jishu aveva
sofferto un identico ictus, solo
che lei aveva recuperato quasi
tutte le sue funzioni. Avrei potuto
parlare con Ram Dass per telefono,
ma avevo bisogno di farlo guardandoci
in faccia.
Così sono andato a trovarlo
e abbiamo parlato sommessamente.
E man mano che parlavamo iniziai
a rendermi conto di quello che
stava succedendo dal mio portare
testimonianza, dal mio lutto per
Jishu. Lei si stava integrando
con me, io stavo diventando Jishu-Bernie.
Mentre era in vita Jishu aveva
portato nella nostra relazione
delle energie che in me giacevano
inattive. Aveva portato la sua
dolcezza, la sua femminilità,
il suo senso di concretezza e
anche la sua profonda empatia
nella nostra vita in comune. Adesso
con la sua morte o riuscivo a
manifestare queste qualità
da solo o le avrei viste sparire
dalla mia vita. Non era stata
solo Jishu a morire in quel primo
giorno di primavera. Anche Bernie
era morto.
Qualcun altro sta emergendo, qualcun
altro sta nascendo. In mancanza
di un nome, chiamo questa persona
Jishu-Bernie. Questo nuovo essere
umano si sta manifestando. Ancora
non so chi sia questa persona
o che cosa farà. Ci sono
tante cose che ancora non so.
Il terzo principio dello Zen Peacemaker
Order è guarire noi stessi
e gli altri. Ma spesso penso che
quello che sta succedendo è
davvero molto più elementare.
Quando non sappiamo - quando lasciamo
andare e ci sediamo con lo shock,
il dolore e la perdita senza risposte,
soluzioni o idee, senza nient'altro
a portata di mano se non questo
momento, questo dolore, questo
lutto, questa assenza - allora
da tutto ciò nasce qualcosa.
Nasce l'amore. Io non devo fare
niente, non devo creare niente.
L'amore sorge da solo. È
sempre stato lì e ora che
sono meno protetto di quanto non
sia mai stato in vita mia, ecco
che è lì.
Tutti i giorni c'è chi
mi chiede come sto, non so cosa
rispondere; non ci sono parole.
Rispondo solo che sto portando
testimonianza. "Deve essere
duro", mi dicono. "No".
"Sarà triste?"
mi chiedono "Non è
doloroso?" "No, è
solo crudo" dico. È
portare testimonianza e lo stato
del portare testimonianza è
lo stato dell'amore.
Jishu continua a riposare in pace
nella sua casa, al lume della
candela che non viene mai spenta.
A un certo punto costruirò
uno stupa vicino all'albero di
prugne e metterò lì
i suoi resti. Un giorno forse
riprenderò a viaggiare
e ad apparire in pubblico. Per
adesso non so chi sarà
quell' 'io". Jishu ha tenuto
un diario per molti anni. Quando
mi sento giù mi aiuta molto
leggerlo. Il 23 dicembre 1992,
due giorni prima di Natale, scriveva:
"Sono arrivata a un bivio.
I vecchi modi di essere non funzionano
più. Non posso più
'farÈ. Dio me ne ha tolto
la capacità. Sono in uno
stato di non conoscenza: non so
chi sono, quali sono i miei valori,
i miei obiettivi, come me la caverò,
cosa ne sarà di me. È
spaventoso, ma allo stesso tempo
mi sento piena di speranza".
E il 9 aprile del 1995 scriveva:
"Voglio dei risultati invece
del processo. Che trappola. Mentre
creo e ascolto, sarò guidata.
Mentre creo e ascolto, sarò
guidata. Mentre creo e ascolto,
sarò guidata. Il processo
basta a se stesso. Ascoltare soltanto.
Mentre creo e ascolto, sarò
guidata."
(da Shambala Sun, gennaio
1999)
Da alcuni mesi Roshi Bernie
Glassman ha ripreso le attività
pubbliche e di insegnamento. Si
è trasferito in California
e ha aperto un suo sito web "Chez
Bernie" dove è possibile
trovare i suoi programmi. www.peacemakeroffice.com
L'indirizzo invece del sito della
Peacemaker Community è:
www.peacemakercommunity.org