"Portare testimonianza ad Auschwitz"
Testimonianze


Durante il I ritiro interreligioso ad Auschwitz promosso da Roshi Glassman nel 1996, Michael O'Keefe, un membro dello Zen Peacemaker Order, ha girato un documentario della durata di 70 minuti.
La versione italiana, curata dalla Rete di Indra, nell'ultimo anno e mezzo è stata proiettata in molte città e presentata in ambienti e situazioni diverse. Ma a volte - nel proporre nuove proiezioni - capita di cogliere una certa titubanza, quasi il timore di trovarsi davanti a un documentario di carattere storico o comunque a qualcosa di già noto ai possibili spettatori.
Le due testimonianze che ci sono giunte, e che qui pubblichiamo, ci sembrano particolarmente importanti perché forse costituiscono la migliore presentazione del documentario.


"I nostri avi credevano che i canti nascessero nella quiete, quando tutti cercavano di non pensare a niente tranne che a cose belle. Poi prendevano forma nelle menti degli uomini e si innalzavano come bolle dalla profondità del mare, bolle che cercavano l'aria per scoppiare. È così che nasce il canto sacro".

Queste le parole di una vecchia sciamana che viveva in una caverna gelida dell'Alaska incontrata da Knud Rasmussen. Colui o colei che 'cantava' rappresentava la sua passata esperienza di dolore e di realizzazione per chi era nella sofferenza e quando il canto emergeva, quando questo respiro sacro emergeva dal centro, dalle profondità, allora il centro era stato ritrovato, infrangeva la corazza in cui era avvolto e si risolveva coinvolgendo chi era in ascolto. Ogni canto diventava il ricordo di un grande evento di trasformazione.
E, così, ho vissuto l'altra sera a Brescia il canto della monaca svizzera, guardando la videocassetta del primo ritiro ad Auschwitz organizzato da Glassman.
Così, caro Theodor, che ci hai mirabilmente introdotti in quel viaggio di morte, guarigione, rinascita, l' ho sentito. Un evento di trasformazione collettivo.
In quel luogo dove ogni equilibrio era stato smosso, dove l'albero della vita era stato divelto e non dava più ombra e riparo, ora queste persone rinnovavano un rituale di guarigione. Attraverso la semplice, ma imponente cerimonia del ritrovarsi nel centro del cerchio dell'afflizione, attraverso la semplice ma ardua parola del perdonarsi e perdonare, con l'antico rito perduto che apparteneva ad ogni cultura, vedevo prendere nuovamente forma per l'occidente tecnologico del secondo millennio, un evento atemporale: guarire sé stessi come mondo, riallineare l'armonia individuale, ma anche sociale.
Non solo nella propria stanza di meditazione, ma nel luogo simbolo dove l' occidente si era ripiegato su se stesso senza piu' chiedersi se ci sarebbe stata una pesatura delle anime. Spesso la mente occidentale percepisce che nessun riparo, ne' l'impianto teologico-metafisico, ne' quello scintillante della scienza -tecnologia- puo' salvarla dal nulla. Questa mente spesso puo' sopportare il vivere solo se si distoglie dalla morte. In questa radice c'e' la storia di ogni depressione, ogni forma di angoscia lungimirante dei paesi occidentali.
L' occidente moderno ha costruito molti rifugi, piu' o meno effimeri, ma tutti costruiti sul'abisso e tra gli effimeri l'ultimo che ho visto ieri in televisione acclamato da migliaia di giovani in adorazione e' Marilin Manson, sciamano rovesciato.
Ma ecco che vedo degli esseri umani arrivare da varie parti di questo mondo occidentale e prendere il loro bagaglio di stuoie, cuscini, coperte, dolori, gioie, fatiche e nel gelo di Auschitz portarsi di mattina presto lungo i binari del treno della morte. Sedersi infagottati e stare li' scandendo i nomi dei morti, sapendo che fra quelli c'è anche il proprio, vivo e morto. Seduti o camminando, incantati, con il canto dentro.
All'improvviso con leggera semplicita' emerge il disincanto, come una bolla dall'acqua il canto esce, leggero si libera, ricostituisce i propri ed altrui corpi smembrati come un corpo solo, rammenta e ricorda. Corpo, parola e mente. Ognuno è testimone dell'altrui e proprio smembramento e impara a conoscere il territorio della morte.

Quando Uvavnuk, una sciamana esquimese, cantava - tutti i presenti venivano liberati dal loro carico di colpe ed errori, Il male e l'inganno svanivano come un particella di polvere soffiata via dalla mano. Questo era il suo canto:

						Il grande mare mi ha spinta
						mi ha mandata alla deriva
						facendomi muovere come l'erba
						si muove in un fiume.
						L'arco del cielo e la potenza delle tempeste
						hanno mosso lo spirito dentro di me,
						finche' non vengo trascinata via
						tremante di gioia.
				

Scopro con gioia che questa incredibile persona, Glassman, ci ha donato un rituale di guarigione spirituale per noi, i famigerati occidentali. Mi piace immaginare che abbia avuto una 'sacra' visione prima di realizzarlo.
Per noi, gli occidentali che hanno imparato cosi' bene a meditare da soli, ma che appena sentono di piu' persone che si riuniscono, subito cominciano, con un poco di disprezzo aristocratico, a parlare di raduni anni 60. Perche' nel nostro immaginario, vissuto o televisivo, abbiamo purtroppo solo questi 'raduni'. Alla mente compaiono gli stadi di calcio, Woodstock, i grandi comizi, pace e striscioni e lattine di coca per terra vuote. Tanta gente insieme che poi lascia rifiuti a terra, qualunque fosse lo scopo iniziale.
Un grazie a Glassman anche per aver saputo darci altre immagini di Ri-unioni collettive come grandi eventi spirituali.

Irma Cantoni

(Il canto di Uvavnuk e' tratto da *Voci sciamaniche* di Joan Halifax, Ed. Paramita, Rizzoli, 1982, collana diretta da Elemire Zolla.)


Ero presente all'incontro a Milano promosso dalla Rete di Indra, e organizzato da Theodor Rosenberg. Giorgio Lavelli della Rete di Indra ha introdotto e Theodor Rosenberg ha letto alcune cose di Glassman relative al primo ritiro ad Auschwitz. Poi e' iniziata la visione della cassetta realizzata per dar testimonianza di questo ritiro. Ho iniziato a vedere la cassetta ben dritto sulla sedia, verticale, controllando il respiro: in una posizione il piu' possibile simile a quella della meditazione. Pensavo fosse l'atteggiamento giusto, e di poter resistere cosi'. Poi, mentre il tempo passava, mentre scorrevano le immagini e le testimonianze, ho sentito un po' la necessita' di ripiegarmi, di rannicchiarmi in un guscio di braccia conserte e di gambe flesse, di vagare con lo sguardo, di incontrare altri sguardi; se non lo avesse vietato la convenienza sociale avrei anche preso la mano della mia vicina di posto, o l'avrei abbracciata. Sentivo progressivamente un bisogno di affetto e di contatto.
Per le ore che sono seguite alla proiezione ho avvertito una enorme tenerezza per l'esistente, e in particolare per l'umano. Una tenerezza che si muoveva sul confine delle lacrime, e che bastava un nonnulla per tramutare in disperazione o grido, ma che tale non e' diventata. E' restata tenerezza, una tenerezza da Petit Prince, un desiderio di chiudere sotto un globo protettivo le rose-affetti della mia vita, e forse un grande globo per il mondo o l'universo. Adesso, mentre scrivo, di quel sentimento non e' rimasto nulla, o ben poco. Forse qualche lieve traccia interiore destinata a non cancellarsi.
Scusate. Ho descritto quella cassetta a partire dagli effetti emotivi che ha avuto su di me, e forse sono un po' naif e impresentabili. I contenuti della cassetta, quelli, non me la sento di descriverli. Ma, per me, vederla e' stata molto importante.
Grazie, Leo

Leonardo Lenzi