"Guarire
i semi della guerra che sono in
noi"
di Claude Anshin Thomas
Pubblichiamo
alcuni stralci dell'incontro che
si è svolto l'8 maggio
a Portogruaro presso l'ITIS Leonardo
da Vinci, promosso dal liceo XXV
aprile, e che ha visto la numerosa
partecipazione di studenti anche
di altri istituti della città.
(...) Posso immaginare che in
questa scuola ci sono alcuni studenti
che soffrono, ad esempio, di anoressia
o sono bulimici e ci sono persone
che lo sanno, che ne sono al corrente
e stanno zitte. Ci sono giovani
che bevono oppure che usano droghe
e altri che lo sanno, ma stanno
zitti. Ci possono essere in questa
sala persone che hanno subito
violenza fisica o violenza sessuale,
ma stanno zitte.
Dovete parlare perché la
guarigione passa attraverso il
processo della comunicazione,
dando un nome alla violenza. Perché
quando riusciamo a darle un nome,
quando cominciamo a parlarne,
quando smettiamo di nascondere
un segreto cominciamo a fare il
primo passo verso l'interruzione
della guerra.
I segreti sono come funghi, crescono
al buio e muoiono alla luce. Molti
dei funghi che crescono sono velenosi,
inquinati e se li mangiassimo
ci farebbero male. Cominciate
a parlare di queste cose, per
favore, fatelo. Rivolgetevi a
qualcuno di cui avete fiducia,
raccontategli la vostra storia.
È in questo modo che si
comincia a fermare la guerra;
in qualche modo anche no siamo
coinvolti nei combattimenti che
avvengono nei Balcani, ma sapete
quante altre guerre ci sono nel
mondo?
Studente: Un centinaio...
Claude: Ti piacciono i
numeri grandi... quante?
Studente: Cinquanta...
Claude: Troppe, sono 37.
In Indonesia, Sri Lanka, Birmania,
Sudan, Nigeria, Colorado... Sì,
ho detto proprio Colorado, in
America. Sapete cosa è
successo in Colorado? Due ragazzi
sono entrati a scuola con bombe
e pistole, hanno ucciso tredici
studenti e gravemente ferito molti
altri. Questa è una guerra.
In America, nel 1997, ventitremila
ragazzi, tra i dodici e i ventitre
anni, sono stati uccisi a colpi
di arma da fuoco. È una
guerra.
Dobbiamo stare attenti a ciò
che sta succedendo nei Balcani,
ma anche a ciò che succede
nel nostro paese, nella nostra
comunità, nella nostra
famiglia, in noi stessi. È
qui che ci sono i semi della guerra.
In che modo siete responsabili
della pulizia, non necessariamente
etnica? Provate a rifletterci.
Siete responsabili di quello che
succede in questa scuola, quante
volte capita che qualcuno, ad
esempio, cerca di unirsi al vostro
gruppo e voi lo allontanate? Non
è necessario che accettiamo
chiunque, ma il problema nasce
da come interagiamo con gli altri
ed è questo che dobbiamo
imparare a fare.
Non è necessario che tutti
mi piacciano e non devo neanche
per forza andare d'accordo con
tutti. Ma l'altro non deve essere
il ricettacolo, il contenitore
dove io posso scaricare la mia
violenza, non può essere
il contenitore della mia sofferenza.
Se avessi una relazione con te
e mi arrabbiassi, tu non sei responsabile
della mia rabbia, solo io lo sono.
Ma se io pensassi che tu sei il
responsabile allora vorrei eliminarti
per far sparire la mia rabbia.
Ma dopo averti eliminato può
capitare che incontri un'altra
persona e che di nuovo mi arrabbi
e così di seguito. Voi
non siete la sorgente della mia
violenza, essa non sta fuori di
me, voi siete solo l'occasione
che la fa esplodere. Dentro di
me c'è sofferenza e poiché
tutti siamo fatti così
non riusciamo a entrare in relazione.
E quando succede, tu non sei la
causa della mia aggressività,
di tutta la mia tristezza, della
mia disperazione, della mia gioia.
Tu non puoi rendermi libero, ma
neanche portarmi via la mia libertà.
La pace non è un'idea,
la pace è il modo in cui
viviamo la nostra vita. Molti
militanti pacifisti in realtà
sono degli imperialisti della
pace, non sono diversi dai soldati.
Si sono fatti un'idea di che cosa
deve essere la pace e cercano
di imporla agli altri. La pace
non ha un solo aspetto, ha diecimila
facce. Secondo me ci sono tre
cose molto importanti nel processo
della pace: andare al di là
delle proprie idee, delle percezioni
personali, delle opinioni, senza
abbandonarle, semplicemente smettendo
di voler sempre aver ragione.
È come fare un salto in
un mondo sconosciuto e a questo
punto bisogna fare molta attenzione
e portare testimonianza a ciò
che nasce dentro di noi, a ciò
che si prova confrontandosi con
i propri limiti. È così
che può aver inizio il
processo di guarigione.
Studente: Mi hai dato
mille stimoli e quindi fare una
domanda è difficile, ma
devo dire che non mi hai convinto,
o almeno non totalmente. Senza
prendere in considerazioni le
guerre, ma limitandoci ai rapporti
interpersonali, non credo che
si possa reprimere la violenza,
l'aggressività. Credo che
la violenza sia in realtà
la molla che manda avanti la nostra
società, che dà
stimoli alle persone.
Claude: Non sto dicendo
che dobbiamo reprimere la violenza,
ma nemmeno che dobbiamo agirla,
scaraventarla fuori. Ma riuscire
a stare con questo stato emozionale
semplicemente accettandolo. È
vero quello che dici, la violenza
è un fattore trainante
della nostra società, ma
non in modo positivo. Per me non
è importante se tu sei
d'accordo con quello che sto dicendo,
è importante che tu abbia
un'idea, un'opinione. Io ho una
comprensione diversa della dinamica
delle cose per cui ti inviterei
ad andare oltre la tua opinione.
Raccogliete tutte le informazioni
che trovate e infilatevele come
se fossero una giacca e osservate
per un po' i risultati, che cosa
succede. Se non vi piacciono,
vi togliete la giacca e l'appendete,
ma non buttatela via perché
potrebbe arrivare il momento in
cui ne avrete bisogno.
La tecnologia che abbiamo è
troppa, se guardate l'ambiente
che ci circonda potete vedere
che la violenza è sì
una molla di progresso per la
nostra società, ma contemporaneamente
sta distruggendo l'ambiente. Io
non sono contro la tecnologia,
ma come possiamo vivere in armonia
con ciò che ci circonda?
Se vai al fiume e prendi un bicchiere
d'acqua e lo bevi, che cosa ti
capita? La violenza è il
veleno e come per il veleno potete
vederne gli effetti dovunque.
Se non ne parliamo ci inquina,
ci avvelena, il veleno inquina
qualsiasi cosa con cui viene in
contatto. Dobbiamo cercare l'antidoto.
Ma prima dobbiamo cercare di comprendere
e vedere quali sono i diversi
aspetti della violenza perché
non ha una faccia sola e dunque
non c'è un solo antidoto.
La tua domanda è molto
profonda e ho apprezzato il tuo
coraggio nel porla. È in
questo tipo di processo, di comunicazione
che possiamo trovare l'antidoto.
Studente: Le parole:
"guardare dentro noi stessi
il seme della guerra" sono
sicuramente vere per quanto mi
riguarda. Però penso che
in Kosovo c'è della gente
che muore, che viene portata via
dalla sua terra. Ci sono dei fatti
concreti che con le parole, con
la teoria non si possono risolvere.
Bisognerebbe trovare delle soluzioni
concrete. Ad esempio, le forze
di pace che ci sono adesso, sono
già un primo passo, però
le sole parole secondo me non
risolvono niente.
Claude: Cosa intendi per
forze di pace? Anche quelli che
bombardano?
Studente: No, comunque
non li condanno assolutamente,
non vedo altre soluzioni.
Claude: Ciò di cui
sto parlando non è teoria,
sto parlando di azioni concrete
che possiamo fare nella nostra
vita. Penso che il tuo suggerimento
sia positivo, una forza di pace
è utile.
Anziché paralizzarmi e
non fare assolutamente nulla devo
chiedermi che cosa posso fare.
Potrei accorgermi, ad esempio,
che qua ci sono semi di guerra,
che ci sono guerre. Se riesco
a vedere con chiarezza ciò
che mi circonda, sarà più
facile capire che cosa posso fare
per loro lì. Che cosa succede
per esempio, alle persone che
buttano le bombe? Sono convinti
di stare facendo la cosa giusta.
C'è un altro modo? Io non
so qual è, ma so che esiste
ed è nostra la responsabilità
di cercarlo, di trovarlo. Abbiamo
la responsabilità di cercare
quest'altra soluzione, iniziando
ad agire in modo diverso, personalmente
e localmente. Non devi mai pensare
che le tue azioni non abbiano
alcun effetto, esse incidono anche
se non ne vedi gli effetti, esiste
comunque una interconnessione.
Conoscete il movimento per i diritti
civili in America? Per molti anni
in America c'è stato l'apartheid,
la situazione cominciò
a cambiare quando una donna si
rifiutò di sedersi in coda
all'autobus e prese posto davanti,
nella zona per i bianchi a lei
vietata. Da questa semplice azione
ha avuto inizio la fine dell'apartheid
in America.
Studente: La soluzione
per risolvere la guerra in Kosovo
non potrebbe essere il dialogo?
Claude: La tua è
un'osservazione importante. Ma
non c'è una sola strada:
parlare, dialogare è una
parte di questo percorso. Ma non
c'è un solo modo. Sicuramente
le armi non sono il percorso che
porta alla pace. (...)
Non
ho ancora dato conto a me
stessa dell'incontro con
Claude Thomas e non credo
che lo farò mai,
perché forse il significato
del tutto verrà con
il tempo, riaffiorirà
spontaneamente al momento
giusto. Ne sono sicura.
Tuttavia non posso non confessare
la grande pace che sprigiona
quell'uomo, all'apparenza
così 'leggero', così
silenziosamente chiassoso
(le sue parole cadevano
come neve nel deserto).
La situazione nella quale
mi sono trovata ha messo
in moto un meccanismo che
già si trovava nella
mia mente, ma di cui non
avevo le istruzioni. Sara B. |