Lo zen alla guerra
di Brian Victoria



In Giappone, a partire dal 1868, si assiste a un coinvolgimento sempre più diretto del buddhismo, e in particolare delle scuole Zen, nella politica militarista ed espansionista del governo. Dalla guerra sino-giapponese, alla guerra russo-giapponese fino alla II guerra mondiale troviamo puntualmente le gerarchie religiose e il clero buddhisti perfettamente allineati con la politica imperiale, impegnati a fornire la giustificazione etica alla guerra e a forgiare lo spirito del "soldato Zen".
Brian Victoria, studioso, a sua volta praticante Zen, ha il grande merito di aver portato alla luce nel suo libro proprio questo lato oscuro della tradizione spirituale del Giappone. Troppo a lungo, e forse con troppa facile disinvoltura, anche in occidente si è voluta ignorare "la sottomissione totale della legge del Buddha alla legge del Sovrano" che è stata fatta propria anche da insegnanti e maestri che pure si ritiene avessero conseguito profonde realizzazioni interiori. Sono dovuti trascorrere quarant'anni dalla fine della guerra perché solamente quattro scuole buddhiste giapponesi ammettessero pubblicamente le proprie responsabilità in quanto accaduto. Le altre ancora tacciono.
Né serve a evitare gli interrogativi che questi fatti pongono trincerarsi dietro un superficiale storicismo dal sapore vagamente giustificatorio. Perché ci fu anche chi - e il libro lo ricorda - davanti alle stesse circostanze storiche, agì in maniera diversa subendo l'ostracismo dell'establishment religioso e persecuzioni da parte del governo.

Le vicende storiche dello Zen ancora una volta mostrano i rischi mortali a cui va incontro ogni insegnamento spirituale quando, trasformatosi in istituzione, si allea con il potere politico. E allora, che si tratti del primo precetto buddhista o del quinto comandamento ricevuto da Mosè, si troveranno sempre ragioni sufficienti per non rispettare il dettato a non uccidere nell'invocare la distruzione di un nemico preventivamente ridotto al rango di non persona.
Di fronte alle guerre 'sante' che continuano a bagnare di sangue il pianeta, a volte proviamo non solo smarrimento, ma anche un senso di estraneità. Ma proprio la conoscenza di quei fatti può suscitarci l'urgenza a guardare in profondità ai meccanismi che li hanno resi possibili e che appartengono in qualche modo anche a ciascuno di noi.