In memoria di Yahiel De-Nur (Ka-tzetnik 135633)

di Roberto Mander


A Gerusalemme lo scorso 17 luglio è morto Yahiel De-Nur. Era nato nel 1909 o nel 1917, non è sicuro, in Polonia col nome di Yehiel Finer. Prima dell'invasione nazista, il giovane Yehiel studiava i classici della cultura ebraica in una tradizionale yeshivà a Lublino; scriveva racconti e poesie, suonava il violino.
Rimase due anni ad Auschwitz dove i componenti ancora in vita della sua famiglia vennero invece tutti uccisi.
Nel 1946, ricoverato in un ospedale da campo, scrisse il resoconto di quegli anni, ancora "avvolto nel sudario di Auschwitz". Non pensava di sopravvivere. In una corsa contro il tempo aveva scritto il libro Salamandra, quasi in uno stato di trance, finendolo esattamente in due settimane e mezzo. Ma non era riuscito a firmare il manoscritto col suo nome. Da allora scelse il nome comune a tutti i detenuti, Ka- Tzetnik n°..., seguito dal numero che i nazisti gli avevano tatuato sul braccio: 135633. Per lui il libro, e quelli che poi scrisse in seguito, erano scritti da tutti coloro che erano morti tra le fiamme dei forni crematori. Una volta rientrato in Israele cambiò il suo nome in De-Nur, che significa: 'del fuoco'.
Nel 1976 si recò in Olanda dal prof. Bastiaans, lo psichiatra che per primo aveva studiato la sindrome da campo di concentramento, per sottoporsi a una terapia che prevedeva anche l'impiego di LSD. Shiviti è il racconto di quella straordinaria esperienza.
Come autore è noto in numerosi paesi soprattutto per La casa delle bambole, ma molti suoi libri purtroppo sono ancora inediti in Italia, mentre altri sono ormai da anni fuori catalogo (La fenice venuta dal lager e Piepel).
Dopo aver curato l'edizione italiana di Shiviti - una visione, pubblicato da La Rete di Indra insieme a Sensibili alle foglie, feci dei timidi tentativi per incontrarlo o per entrare in contatto direttamente con lui, ma senza alcun successo. Venni però a sapere che aveva ricevuto una copia della nostra edizione.
La lettura di Shiviti era stata raccomandata a tutti i partecipanti al primo ritiro "Portare testimonianza ad Auschwitz" nel 1996 e ricordo che, appena tornato in Italia, sentii di voler fare qualsiasi sforzo pur di riuscire a pubblicarlo. Ma quando finalmente con Laura Bisogniero, a cui si deve l'intensa e rigorosa versione italiana, sfogliammo la prima copia, avvertimmo come un senso di leggera inquietudine. Il timore che la profonda verità di quel testo, intorno al quale avevamo lavorato con dedizione pari solo alla riverenza che suscitava in noi, potesse quasi velarsi ora che era rinchiusa nelle pagine di un libro.
Ricordiamo Yahiel De-Nur con un breve documento, forse inedito in Italia: la testimonianza che rese durante il processo Eichmann.

Processo Eichmann
Udienza n.68
Gerusalemme 7 giugno 1961


Procuratore Generale: Per quale motivo, signor De-Nur, nelle sue opere ha nascosto la sua identità dietro lo pseudonimo "Ka-tzetnik"
De-Nur: Non è uno pseudonimo, non mi considero uno scrittore o un autore di materiale letterario. È una cronaca del pianeta Auschwitz. Vi sono rimasto per quasi due anni. Lì il tempo non ha la stessa unità di misura che ha sulla terra, ogni frazione di minuto si iscrive in una scala del tempo diversa. Gli abitanti di quel pianeta non avevano un nome, non avevano genitori e nemmeno figli. Non si vestivano nello stesso modo come si fa qui sulla terra. Non erano nati lì e non procreavano. Respiravano in accordo con delle leggi naturali diverse. Non vivevano - e neppure morivano - in base alle leggi di questo mondo. Il loro nome era: "Ka-tzetnik n. ...". Erano vestiti, come si può dire...

Procuratore Generale: Indossavate questo? (mostra al testimone l'abito dei prigionieri di Auschwitz)
De-Nur: Sì, era questa l'uniforme del pianeta chiamato Auschwitz. E credo con tutto me stesso che devo continuare a portare questo nome fino a quando il mondo non si sarà sollevato dopo la crocifissione di una nazione, per cancellare il male, nello stesso modo in cui l'umanità si sollevò dopo la crocifissione di un uomo. Io credo con tutto me stesso che come le stelle, secondo l'astrologia, influenzano il nostro destino, così questo pianeta di ceneri, Auschwitz, trovandosi in opposizione con il nostro, lo influenzi.
Se sono in grado oggi di stare qui di fronte a voi e di raccontare gli eventi di quel pianeta, se io - un residuo di quel pianeta - sono in grado di essere qui in questo momento, allora credo con fede profonda che ciò sia dovuto al giuramento che prestai a loro lì. Sono loro ad avermi dato questa forza. Quel giuramento è stata l'armatura grazie alla quale ho acquisito un potere sovranaturale, che mi doveva dare la possibilità dopo il tempo, il tempo ad Auschwitz, i due anni in cui ero un 'musulmano', di superarlo. Perché essi mi hanno lasciato, mi hanno sempre lasciato, venivano separati da me e questo giuramento appariva sempre nello sguardo dei loro occhi. Per quasi due anni hanno continuato a congedarsi da me lasciandomi indietro. Io li vedo, mi fissano con gli occhi, li vedo in piedi in fila…

Procuratore Generale: Mi permette sig. De-Nur di rivolgerle alcune domande?
De-Nur: (cercando di proseguire) Ricordo che…

Presidente del Tribunale: Sig. De-Nur, la prego, ascolti quello che il Procuratore deve dirle.

(Il testimone De-Nur si alza dal suo posto, scende dal banco dei testimoni e cade a terra privo di sensi)

Da: The trial of Adolf Eichmann, vol. III, p.1237.