Che cosa fare
quando le cose diventano difficili
di Frank Ostaseski
Da una prospettiva
buddhista prendersi cura di una persona equivale a riconoscere che la sua sofferenza
è anche la mia. Vedendo questo, che sia io a letto o che sia la persona
che fa il letto, mi dovrò confrontare con la precarietà. La pratica
buddhista può aiutare enormemente nel portare con continuità la
nostra attenzione a ciò che davvero si presenta, piuttosto che venire
trascinati via dal dramma del processo.
Quali sono gli atteggiamenti di fondo che potrebbero essere utili nello stare
con qualcuno che sta morendo? La prima cosa che viene in mente è essere
completamente noi stessi, ossia portare la nostra forza, ma anche la nostra
vulnerabilità, accanto al malato. Riconoscendo che colui che sta morendo
continua ad avere bisogno di rapporti che siano davvero intimi, naturali ed
onesti. Non si può servire stando distanti: si tratta di un lavoro basato
sull'intimità e noi dobbiamo essere parte dell'equazione. Perciò
è assolutamente essenziale portare tutto noi stessi nell'esperienza.
È importante portare al malato la qualità dell'empatia. Forse
questo è proprio il regalo più grande che si possa offrire a un
altro essere umano: la piena attenzione. Ascoltare senza giudizi e senza aver
programmato niente. Il grande psicologo Carl Rogers una volta descrisse così
l'empatia: "Guardare con occhi freschi e privi di paura". Credo che
sia un modo meraviglioso di pensare a come stare con qualcuno.
Anche la gentilezza semplice e umana. Quando si sta male, anche i dettagli hanno
importanza. Il modo con cui ci prendiamo cura di qualcuno, il modo in cui offriamo
il nostro servizio sono incredibilmente importanti. Quali possono essere i semplici
dettagli così importanti per l'assistenza? Tenere la mano di un paziente
spaventato, fare il bucato, riempire il modulo per l'assicurazione: attività
semplici, di tutti i giorni, offerte con attenzione amorevole, che portano accettazione,
aiutano a costruire fiducia e nutrono l'auto stima. Vorrei aggiungere a questa
lista di atteggiamenti utili il "non fare". Avere veramente fiducia
nella nostra presenza umana. Rallentare e lasciare molto spazio per il silenzio,
ridurre le distrazioni. Non perdere questo momento nell'attesa di un evento
futuro, fosse anche il momento della morte.
Parte del mio lavoro consiste nel cercare di rendere la pratica buddhista utile
ed accessibile anche a coloro che non la conoscono, usando un linguaggio dunque
che non crei altre barriere. In giro si parla molto del morire in modo cosciente,
ma non succede lo stesso per il modo cosciente di prendersi cura. Nel processo
del morire il sostegno spirituale è altrettanto importante di un buon
controllo del dolore, ma di rado questo tipo di sostegno viene portato in modo
che sia significativo. Di conseguenza in troppi muoiono in difficoltà
e nella paura.
Ma che cosa vuol dire dare questo sostegno? Direi che soprattutto significa
portare testimonianza. Ossia non voltarsi dall'altra parte quando le cose diventano
difficili, ma rimanere nel territorio del mistero e delle domande che non hanno
risposta. A volte, ma questo dipende dalla tradizione della persona, significa
chiamare il prete che darà l'ultimo sacramento o prendere uno scialle
da preghiera o aiutare a scrivere una lettera di riconciliazione. Raramente
vuol dire fare discussioni di ordine esistenziale o introdurre delle pratiche
formali. Si tratta piuttosto di aiutare le persone a confrontarsi direttamente
con ciò che sta succedendo, a lavorare con i paradossi con cui si stanno
misurando.
Probabilmente la cosa più importante di tutte è diventare consapevoli
della nostra mente e del nostro corpo. Non sottovalutiamolo. L'impegno a restare
consapevoli della propria mente, corpo e cuore nel mezzo di tali situazioni
è la più essenziale di tutte le pratiche possibili. Nel farlo
contribuiamo a creare un'atmosfera calma e ricettiva per la persona che sta
morendo. Se nella stanza c'è una persona che è calma - anche una
sola - essa rende l'esperienza più facile per tutti.
da Tricycle, Summer 2001