Dead
man living
di Jarvis masters
Poco dopo che il film Dead
Man Walking era uscito nei
cinema di tutti gli Stati Uniti,
ho avvertito a livello istintivo
che volevo vederlo anch'io. Abitando
il braccio della morte di San
Quentin, la prospettiva era piuttosto
improbabile. Ma volevo vedere
il film per poter avere un'immagine
ravvicinata di cosa accade veramente
quando arriva il momento dell'esecuzione.
Forse un film del genere avrebbe
rivelato qualche verità
più profonda di quelle
che io vivevo giorno dopo giorno,
`parcheggiato' nel braccio della
morte. Se avessi potuto assistere
alla proiezione di questo film
sul muro della mia cella, forse
avrei potuto immaginare quelle
ultime ore spaventose, i minuti,
il ticchettio dei secondi, e avrei
forse potuto prepararmi a modo
mio a ciò che la psiche
umana deve subire nell'affrontare
la morte da esecuzione.
Alcuni mesi dopo che il film aveva
lasciato le sale, un amico mi
ha spedito una copia della sceneggiatura
di Dead Man Walking.
Mi sono svegliato nelle ore piccole
di una notte fredda, deciso a
leggere la sceneggiatura mentre
il braccio della morte era immerso
nel sonno, come un inquieto Mare
Morto. Il silenzio mi concedeva
la quiete per ascoltare le parole
che da sole uscivano da quelle
pagine, mostrandomi i particolari
di ogni immagine. E con gli occhi
della mente guardavo. Man mano
che procedevo nella lettura, in
modo surreale e inquietante, mi
sono trasformato nel condannato.
Poi sono diventato il carceriere
e lo staff addetto all'esecuzione,
ciascuno col proprio compito da
svolgere - e volevamo essere certi
che tutto funzionasse bene. E
poi ero anche suor Helen Prejean,
sostenuta dalla sua fede, che
pregava per l'umanità.
Mettersi nei panni di ciascuna
delle persone coinvolte nell'operazione
mi ha fatto improvvisamente capire,
nel mio intimo più profondo,
che l'esecuzione capitale non
è semplicemente una macchina
che funziona a carburante o elettricità.
Perfino vivendoci dentro, non
avevo colto l'elemento "umano"
della cosa. Mi sono reso conto
che avevo sempre pensato alla
camera a gas e all'iniezione letale
come a semplici congegni. Mi sono
improvvisamente sentito raggelare
dalla paura al pensiero che gli
stessi secondini che riuscivano
a chiacchierare allegramente con
me del campionato, o che mi avevano
addirittura chiesto consiglio
e aiuto su come tenere alla larga
dalla droga o dalle cattive compagnie
i propri figli, potessero un giorno
diventare gli esecutori materiali
della mia condanna a morte.
Ovviamente ero a conoscenza del
fatto che alcune delle guardie
che conoscevo partecipavano in
qualche misura alle esecuzioni.
Nella primavera del 1998, poche
settimane prima dell'esecuzione
di Thomas Thompson, ero rimasto
interdetto nel vedere i volti
imperturbabili dei secondini che
ben conoscevo, mentre scortavano
il condannato alle ultime visite
con i parenti. Sono le stesse
persone che tutti i giorni parlano
con me di argomenti qualsiasi.
E la notte che Thomas Thompson
fu ucciso, sono rimasto scosso
nel vedere alla televisione alcune
guardie che conoscevo e con cui
mi trovavo bene; erano fuori dal
carcere e brandivano i manganelli
per tenere a bada i dimostranti
che vegliavano di fronte al carcere
di San Quentin.
Ho messo giù la sceneggiatura.
Ho fissato il muro scuro della
cella dove stavo "proiettando"
il film, combattuto di fronte
a questa terrificante possibilità.
Chi tra tutte le guardie che ho
man mano conosciuto, uomini e
donne con cui mi intrattengo nella
zona del parlatorio insieme ai
miei parenti, amici e avvocati,
chi saranno quelli che avranno
il doloroso compito di estrarre
dalla sua cella di morte, in modo
pacifico o con la forza, questo
essere umano e scortarlo fino
alla stanza della morte? Quali
di loro guarderanno negli occhi
il direttore del carcere in attesa
di un suo cenno che dia il via
all'esecuzione?
Penso ai secondini che dicevano
addirittura di volermi portare
a pesca di trote se fossi uscito
di prigione - persone che ho conosciuto
qui giorno dopo giorno nel corso
degli anni, nonostante il sistema
e la cultura carceraria scoraggino
questo tipo di rapporti. Potranno,
queste stesse persone, in una
notte fonda come questa, col favore
dell'oscurità, ordinarmi
di avvicinarmi alle sbarre della
prigione e poi dire: "Jarvis,
amico mio, è arrivato il
momento"?
Mi sono alzato in piedi per sgranchirmi
un po'. Ho guardato nel corridoio
la finestra con le inferiate che
si trova sul muro di fronte alla
mia cella e ho appoggiato le mani
alle sbarre. Erano freddissime.
Non avevo idea di quello che davvero
avrei voluto. Sarebbe davvero
peggio se mi venisse a prendere
un secondino amico? Perché
dovrei preferire uno zelante figlio
di puttana? Ma una guardia amica
farebbe davvero più male?
Ho osservato il nuovo giorno nascere
con molto più nella mente
di quanto non mi sarei mai aspettato
da questo film. Ho cercato di
distrarmi provando a indovinare
che ora fosse. Ho visto che probabilmente
mi mancava solo una mezz'oretta
di lettura per finire Dead Man
Walking, e ho pensato di poterlo
quindi finire prima dei pochi
minuti che dedicavo alla mia meditazione
mattutina. Poi sarebbe arrivato
il suono della "sveglia da
prigione", come la chiamavo
io, cioè il crepitio stridulo
delle ruote del carrello del cibo,
seguito dal solito: "Accendere
le luci, forza, signori! Chi vuole
mangiare si avvicini alle sbarre".
Le pesanti porte di ferro in fondo
alla corsia sbattono quando entra
il carrello e contemporaneamente
si sente il gorgo di decine di
sciacquoni azionati nei gabinetti.
Volevo prendermi tutto il tempo
per leggere, senza affrettarmi,
gli ultimi fragili minuti che
scivolano verso la scena dell'esecuzione.
Sarebbe arrivata in queste ultime
pagine. Ed eccomi subito calato
nelle ultime scene avvincenti.
Suor Prejean, frustrata, vede
una sorella carceraria, le si
avvicina e le chiede: "Sei
tu che lo farai?".
Ho alzato lo sguardo dalla pagina
che tenevo in mano e ho visto
una donna in piedi davanti alla
mia cella. "Allora, non fai
meditazione stamattina?"
mi ha detto sorridendo la suora.
Sono sobbalzato. Non l'avevo sentita
entrare nel corridoio. Per alcuni
lunghi secondi ho fissato il volto
sorridente così familiare
della suora che ogni mattina si
ferma alla mia cella per salutarmi
e dirmi l'ora. Ma questa volta,
per un momento, mi è mancato
il terreno sotto i piedi e non
sapevo più se, in quel
lungo lasso di tempo, avevo ricambiato
il sorriso del mio boia.
"Caspita, hai l'aria di uno
che non sta bene", ha detto
la sorella. "Ti senti bene
oggi?".
"Sì, sto bene",
ho risposto, facendo un grande
respiro.
"Be', fammi sapere se c'è
qualcosa di cui hai bisogno, va
bene?", ha aggiunto con dolcezza.
"D'accordo. Grazie",
ho detto e mentre si allontanava
mi sono sentito sollevato.
Poi mi sono alzato di scatto,
ho premuto la guancia contro le
sbarre d'angolo della mia cella
e ho sbirciato nel corridoio per
assicurarmi che se ne fosse andata.
Non ho mai finito di leggere Dead
Man Walking.
da Turning Wheel, inverno 1999
Traduzione di Laura Bisogniero