In Birmania, dove la compassione incontra l'orrore
Un incontro con Aung San Suu Kyi
di Ugo Papi


Nello scorso numero di Buone Notizie abbiamo potuto leggere una straordinaria intervista a U Tin U, leader dell'opposizione democratica birmana, che raccontava con semplicità e immediatezza, come è stato possibile per lui, un cambiamento radicale che lo ha portato dai vertici della dittatura militare, come generale Ministro della difesa, ad un monastero come novizio ed infine all'impegno politico ed al carcere duro.
A leggere quella intervista può sembrare una storia esemplare e tuttavia eccezionale, unica. Ma in Birmania non è così. Recentemente ho potuto incontrare per la seconda volta Aung San Suu Kyi, la leader birmana che lotta per la libertà del suo popolo pagando di persona una scelta coraggiosissima. La sua storia così, come quella di altri leader dell'NLD che ho incontrato è simile a quella di U Tin U: da una tranquilla ed agiata esistenza, all'impegno integrale e totale per la causa della democrazia.
Aung San Suu Kyi, tornata in Birmania nell'88 venne messa agli arresti domiciliari dall'89 e nonostante ciò i militari non riuscirono ad evitare la vittoria schiacciante del suo movimento nelle elezioni del '90. Il risultato venne annullato ed una cappa di terrore è piombata sul paese dopo aver lasciato una scia di sangue con l'uccisione di migliaia di giovani, monaci e cittadini, che manifestavano in favore della democrazia.
La leader birmana non vede la sua famiglia inglese da 3 anni. I suoi due figli, che ritirarono al suo posto il Premio Nobel per la pace nel 1991, sono cresciuti senza la loro madre.
Lei è rimasta in Birmania rinunciando alla comoda cittadinanza inglese acquisita sposando un giovane professore di Oxford negli anni '70, e vive controllata a vista e senza la possibilità di spostarsi dalla capitale Rangoon, da dove continua la sua battaglia.
I muri della città, così come le pagine dell'unico quotidiano birmano, sono pieni di slogans e vignette contro di lei e il suo movimento. Insulti in birmano e in inglese contro chi vuole rompere "l'armonia della Birmania". Solo i distratti turisti italiani sembrano non accorgersene, forse perché sanno poco l'inglese. Assieme ad Aung San Suu Kyi c'era che U Tin U e un altro importante e vecchio membro dell'NLD, la Lega nazionale per la democrazia.
Ho incontrato diversi leaders politici, anche di primo piano, ma l'emozione nell'incontrare la donna birmana e gli altri è proprio forte.
Aung San Suu Kyi ti racconta con naturalezza che ogni mattina si sveglia alle 4.30 per meditare e U Tin U, mi racconta, quando gli dico che sono un praticante di Vipassana, che la meditazione è il mezzo migliore per sopravvivere nelle dure condizioni della detenzione.
Quando ti parlano dei valori di fondo ai quali si ispirano indicano la Metta (benevolenza) la Karuna (compassione) e la Mudita (gioia compartecipe) e naturalmente l'equanimità, che solo la pratica meditativa può sviluppare.
A sentir parlare Aung San Suu Kyi sembra quasi di ascoltare una maestra di saggezza.
Questa capacità straordinaria di vivere l'impegno sociale e politico come parte viva della pratica meditativa e della compassione verso tutti gli esseri, io riesco a ritrovarla solo nella esperienza di Tich Nath Hanh e nei ricordi vietnamiti di Sister Phuong.
Mentre li ascolti, sullo sfondo di palme e pogode d'oro, ci si può quasi dimenticare che il paese vive nel terrore, che le minoranze etniche sono ai lavori forzati, che le università sono chiuse da anni altrimenti gli studenti fanno immediatamente ripartire i movimenti di protesta.
Ci si può quasi dimenticare dei proventi del traffico di droga che arricchiscono i generali in accordo con i signori dell'oppio del triangolo d'oro, ci si potrebbe dimenticare delle centinaia di membri dell'NLD che sono in galera e che in passato di galera sono morti, per le torture e le privazioni. (Il regime distribuisce opuscoli nei quali si ammette che elementi distruttivi sono nelle Guest Houses dello Stato in attesa di venire a più miti consigli).
Ma naturalmente dimenticare non si può e a ricordatelo è proprio Aung San Suu Kyi quando ti parla della compassione che ti impedisce di vivere "in pace" se tutto questo orrore ti circonda.
U Tin U mi ricorda come nella pace del monastero era diventato impossibile fare pratica di Metta senza pensare ad una urgente spinta verso l'impegno sociale a favore degli altri.
E qui mi permetto una disgressione per comunicarvi un dubbio: quando sento questa esperienza e poi penso alla notizia appresa pochi giorni fa sull'ordinazione di alcuni monaci di origine americana a Rangoon, alla presenza del "Secretary n.2" uno dei capi della giunta militare, confesso di rimanere perplesso. Come è possibile per un occidentale vivere senza disagio, l'esperienza monastica in un paese che vive nella violenza e nel terrore dove centinaia di monaci sono stati colpiti e incarcerati negli anni scorsi? Nonostante le tremende condizioni in cui operano, perseguitati e minacciati quotidianamente, i membri della Lega per la democrazia tentano spesso di organizzare distribuzioni gratuite di riso, ma tali tentativi vengono stroncati sul nascere.
Chiedo, assieme ai miei autorevoli compagni di viaggi cosa è possibile fare per aiutare concretamente la Birmania oltre a spingere i governi occidentali ad intensificare le sanzioni economiche e isolare il regime.
La risposta di Aung San Suu Kyi è questa: "Dovete convincere i vostri connazionali a non venire in Birmania per turismo". Il turismo occidentale in questi anni è in costante ascesa e quello italiano ancor di più. La Signora insiste con un sorriso: "lo so, da voi c'è chi pensa che in questo modo a soffrire di più è la gente, non i militari.
Soffriremo un poco anche noi, ma vi prego non ve ne preoccupate, lo facciamo volentieri".
Quello del turismo in Birmania è davvero un caso particolare: le entrate turistiche, in un paese chiuso e arretrato sono in Birmania tra le entrate maggiori e il regime controlla tute le grandi agenzie di viaggi e le catene alberghiere. Familiari dei militari sono a capo di tutti i Dipartimenti del Ministero del Turismo e le piccole Guest Houses cresciute in numero negli scorsi anni, sono state fatte chiudere.
Giovani, donne e bambini delle minoranze etniche sono costretti a costruire, in condizioni schiavistiche, le nuove strade che collegano i maggiori centri turistici. Per chi ha occhi per guardare questa realtà è ancora visibile, ma forse è proprio la condizione del turista, in un bellissimo paese esotico, che non può andare oltre la superficialità e l'inconsapevolezza.
Quello del boicottaggio del turismo su larga scala negli scorsi anni è stato un mezzo problematico e poco efficace, ma in questo caso, forse, è possibile condividere la richiesta di questa donna straordinaria, evitando di andare in Birmania e aiutare i nostri connazionali a conoscere più a fondo la realtà drammatica della Birmania. Può essere un atto d'amore verso il prossimo. O di compassione. Come vi sembra meglio.