Cambogia:
guardando al futuro ripartendo
da Angkor
di Pierangelo Francia, volontario
di Manitese
Quando dopo dieci ore di volo
vedi una distesa pianeggiante
cosparsa di campi di riso e palme
da cocco e sulla pista dell'aeroporto
trovi una folla di gente ad accogliere
i viaggiatori, vuol dire che sei
arrivato in Cambogia.
Attraverso i grandissimi viali
di Phnom Penh caratterizzati dal
passaggio di motorini che trasportano
intere famiglie, osservare l'attività
nei mercati e nei negozi e la
tranquillità apparente
della gente fa sembrare il Paese
in forte sviluppo. Ma cosa si
nasconde dietro questa vetrina
orientale così affascinante?
Un popolo che ha visto distruggere
il suo territorio dai bombardamenti
dei B52 americani, che ha vissuto
la tremenda esperienza del genocidio
messo in atto dai Khmer Rossi
con la morte di circa 2 milioni
di persone (un quarto della popolazione),
che ha sofferto la rieducazione
vietnamita, che ha visto il proprio
territorio ricoperto di mine antipersona
e che per quasi vent'anni è
stato abbandonato dalla comunità
internazionale.
Adesso la gente vuole dimenticare,
ma resta in loro la paura e la
diffidenza.
Visitando alcuni villaggi con
l'organizzazione non governativa
(ong) Manitese e rappresentanti
di ong indiane ci siamo resi subito
conto che l'accoglienza anche
se ospitale era spesso fredda
e distaccata; si percepiva nelle
persone la voglia di avvicinarsi
a noi, ma anni di sfiducia verso
il prossimo li faceva essere cauti.
Ognuno di loro ha un mondo di
sofferenza dentro di sé
che potrebbe raccontare, ma che
stenta a fare per la dignità
e l'obbligo del silenzio imposto
negli anni di Pol Pot.
Il progetto che Manitese finanzia
e che è stato proposto
dal SEDOC, un'ong cambogiana,
comprende 18 villaggi nell'area
di Khvao, distretto di Samrong,
provincia di Takeo, a 50 Km a
sud di Phnom Penh. Questa è
una zona arida, anche a causa
della recente deforestazione selvaggia
che ha dato luogo a un terreno
arido e sabbioso. Nella stagione
delle piogge questo provoca inondazioni
e distruzioni e la conseguente
perdita del raccolto.
Si è deciso di intervenire
nel comune di Khvao perché
è quello più povero
del distretto di Samrong. Qui
vivono 2.312 famiglie, per un
totale di 11.998 abitanti: la
maggior parte sono bambini al
di sotto di 15 anni, e ben 1002
famiglie hanno a capo una vedova.
I servizi in questa zona sono
decisamente carenti, a cominciare
dalle scuole ove esistono classi
formate anche da 110 studenti.
La situazione sanitaria non è
certo migliore, vista la mancanza
di mezzi e di personale; le strade
dei villaggi sono dissestate,
i sistemi di irrigazione spesso
distrutti dalle inondazioni.
Il progetto del SEDOC si basa
su un sistema di credito a bassissimo
interesse che coinvolge parte
della popolazione, ma che dà
beneficio a tutti. I crediti sono
utilizzati per acquistare animali
(maiali e mucche), che vengono
allevati e poi rivenduti, e riso
per la semina, evitando così
agli uomini di spostarsi per trovare
lavoro altrove. Il sistema del
credito ha permesso di sostenere
l'ong SEDOC, di migliorare il
settore agricolo attraverso la
riforestazione e l'allevamento,
di formare una cooperativa e di
sviluppare dei programmi di formazione
per i giovani incentivando anche
l'artigianato.
Prima di consegnare i prestiti
alle famiglie vengono effettuati
dei training ai contadini e viene
selezionata e preparata una zona
adibita alla coltivazione comunitaria
di ortaggi e frutta.
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Le grandi difficoltà che si incontrano quando si interviene in un paese come la Cambogia è quello di scontrarsi con problemi del tutto differenti da altre realtà. Infatti se i disagi materiali (mancanza di acqua, povertà evidente sia in città che nei villaggi, inefficienza dei servizi, ecc.) si riscontrano in tutti i Paesi del sud del |
mondo, qui il problema vero
è la mancanza di una
base culturale. La profonda
fattura creata dal regime
di Pol Pot ha lasciato una
Cambogia con altissimo analfabetismo
e con la classe intellettuale
completamente annientata. I cambogiani nel giro di quattro anni si sono ritrovati senza più professori, medici, ingegneri, religiosi e senza più legami con l'antica civiltà dell'Impero Khmer. Basta visitare i templi di Angkor Wat e Angkor Thom per rendersi conto dell'importanza che aveva il patrimonio culturale e storico della Cambogia e che ora i suoi abitanti hanno perso. Le ong insieme alla gente e ai monaci buddhisti devono cercare di risollevare il Paese, dando priorità anche ai valori spirituali, al recupero delle tradizioni, per poi ricostruire quel senso di comunità nei villaggi che ancora manca. Ridare fiducia e risolvere i problemi psicologici di cui soffre il popolo cambogiano sono i primi passi per creare sviluppo nel Paese. Questo può essere realizzato con la nascita di centri culturali e di aggregazione (ad esempio come la scuola per giovani monaci realizzata grazie alla Rete di Indra) e con la presenza di psicologi all'interno delle ong come il KAWP che insieme a Manitese stanno sperimentando il recupero di quei "valori attraverso la comunità" andati persi con la dittatura. |