La parola all'orsetto Re-nato
di Lucia Aite


E' tempo delle favole
Vi ricordate la storia dell'orsetto Re-nato, scritta per le mamme dei bambini ricoverati subito dopo la nascita nel reparto chirurgico del Bambin Gesù (Buone notizie n.3/98)? Bene, la lettera che segue ne è la ideale continuazione e cerca di far comprendere la preziosità e l'intensità del legame che unisce ogni bambino alla sua mamma.
La parola a questo punto è data proprio all'orsetto in persona: "Finalmente posso parlare anche io e ho tanto desiderio di spiegare alla mia mamma e a tutti i grandi, ciò che sente, prova, pensa, desidera e ricorda un orsetto dal suo concepimento alla nascita, fino all'intervento e alle cure ricevute. (Livia Aite-Crozzoli)

Cara mamma,
quando ero nella tua pancia sentivo tutto di te, le tue emozioni, i tuoi pensieri, le fantasie che facevi su di me e perfino i tuoi sogni.
Condividevo tutto con te.
Ti ricordi quando ti carezzavi e ti coccolavi la pancia, io ti sentivo e per me quelle erano delle dolci carezze. Quando sognavi delle gite che avremmo fatto insieme nel bosco, io riuscivo a sentirne l'odore, l'immensità, il mistero.
Quando ti rilassavi e respiravi profondamente dentro la grotta, anche io respiravo al tuo ritmo e rilassavo il mio corpicino o facevo dei leggeri movimenti per farti sapere che ero lì.
Quasi sempre quando eri rilassata e portavi l'attenzione sulla pancia, da dentro ti sentivo e ti parlavo e tu lo sai, perché alle volte anche tu hai pensato che ti avessi risposto.
Poco prima che finisse il letargo, quando ormai ero bello grande, ti ho detto in sogno come avrei voluto che mi chiamassi. Quando il giorno dopo hai raccontato a papà del sogno, dubitando che era un mio messaggio, per un attimo il mio cuoricino ha smesso di battere, c'era una parte di te che non voleva credere ed ascoltare la mia voce, i messaggi continui che ti mandavo.
La mattina in cui sei uscita dal letargo anche la mia vita è cambiata, ho sentito la tua gioia, la tua forza e le tue parole che mi descrivevano il bosco, gli animali, il cielo. Io sentivo tutto questo, mamma, così come percepivo le emozioni che si generavano in te.
Il piacere di grattarsi sulla corteccia dei faggi, la dolcezza del prato appena nato su cui ti rotolavi.
Per fortuna, mamma, ogni volta mi avvertivi, così avevo il tempo di abbandonarmi e di non morire di paura per tutte quelle giravolte.
Mentre prima le immagini e i colori me li passavi tu con i tuoi racconti, i tuoi sogni e le tue fantasie, da allora ho cominciato a vedere la luce che filtrava attraverso la tua pancia ed allora ho tenuto più spesso gli occhi aperti. Ricordo che ogni volta che andavi dalla vecchia e saggia cerva Cassiopea, che sapeva guardare dentro la pancia, eri sempre un po' agitata, il tuo cuore batteva forte. La tua pancia si irrigidiva e io respiravo male, avevo paura, non capivo cosa potesse spaventare tanto la mia mamma.
Tutte le volte per fortuna, Cassiopea, ti tranquillizzava ed io il tuo Re-natino ricominciavo a vivere e a muovermi senza timore.
Ricordo perfettamente il giorno in cui sono nato, tu avevi preparato il giaciglio ed eri pronta a mettermi alla luce e io a nascere. Non vedevo l'ora di fare tutte le cose belle che avevi immaginato.
E' stato bello sai mamma nascere, vederti ed essere tra le tue braccia. Sapevo che eri tu la mia mamma: riconoscevo la tua voce, il tuo odore, il battito del tuo cuore.
poi ho un vuoto, la mia memoria si interrompe. Mi ero ritrovato non più nella grotta ormai familiare, ma in una protetta radura del bosco piena di animali, specialmente marmotte e cervi a me del tutto sconosciuti.
C'eri anche tu, ma ti tenevi lontana dal mio letto, non mi toccavi, non mi parlavi, mi guardavi e piangevi.
Mi sentivo tanto solo, sperduto, non capivo perché fossi tutto fasciato, né per quale strana ragione mi avessero messo quel tubicino nel naso e quell'ago nella zampa.
Io ti guardavo, cercavo di comunicarti il grende bisogno della tua voce, del tuo calore, del tuo odore a me tanto familiare: ma tu avevi paura. La sentivo la tua paura e la tua angoscia. Alle volte chiudevo gli occhi per richiamare alla mente tutte le belle sensazioni che avevo sperimentato dentro la tua pancia.
Ogni mattina, dopo che le marmotte mi avevano lavato, attendevo con ansia il tuo arrivo.
Tu alle volte chiedevi del mio peso e dei miei esami, prima ancora di venirmi a salutare, ma io, mamma, avevo bisogno di te, della tua presenza vicino a me.
Finalmente un giorno spronata dalle altre mamme e dalle marmotte della radura, mi hai preso in braccio e hai cominciato a parlarmi.
Io ero davvero felice.
In quei momenti mi scordavo il dolore, le flebo, mi sentivo finalmente a casa, protetto dalle tue braccia, avvolto dalla tua voce e dalla tua vicinanza.
Quando ti sedevi accanto a me e ti facevi invadere dall'ansia e dalla paura, era come se il mondo attorno a me improvvisamente divenisse buio, non vedevo più nulla, mi sentivo perso, solo, abbandonato. Alle volte magari sorridevi ma i tuoi occhi erano tristi, ti tenevi distante. Non riuscivo a comprendere cosa potesse creare in te tanto dolore e tante preoccupazioni.
E allora per destare la tua attenzione piangevo e tu a volte non capivi il mio richiamo e mi offrivi il ciuccio e lo zucchero. Io volevo te, mamma, soltanto te.
Nelle giornate brutte quando ti dicevano che ero peggiorato, pur di non sentire la tua disperazione dormivo, tornavo nella tua pancia, a quel mondo così caldo e accogliente che mi aveva accolto per nove mesi.
Cervo Brando e le marmotte curavano il mio corpo, alle volte mi coccolavano e mi parlavano, ma la forza di reagire, la voglia di vivere, la possibilità di dare un senso a tutto ciò che vivevo dipendeva da te mamma, dalle tue carezze, dai tuoi sorrisi, dalla tua capacità di condividere con me tutto ciò che veniva fatto al mio corpo, tutte quelle brutte sensazioni che provavo. Il dolore lo sentivo mamma, ma ti assicuro che la cosa più brutta per me era la distanza che quel dolore a volte creava tra noi.
Sei stata brava mamma!
Alla fine hai superato le tue angosce, hai lasciato da parte tutti quei brutti pensieri che ti allontanavano da me e sei riuscita a starmi accanto, a riconoscere i miei vissuti, le mie emozioni.
Grazie mamma per essermi stata vicina, per avermi dato la forza e la voglia di vivere e di reagire e soprattutto per non esserti mai dimenticata della persona che abitava quel corpicino smagrito che i medici cercavano di curare e guarire.