One by One
Una lettera del presidente del ramo tedesco



La scorsa estate, Gottfried Leich è stato nominato presidente del ramo tedesco di One by One, l'associazione che riunisce i figli dei sopravvissuti dell'Olocausto e dei militari o sostenitori del regime del Terzo Reich.
Nato nel 1929, a dieci anni Gottfried Leich già faceva parte della Gioventù Hitleriana.
Pur avendo cercato fin dal primo numero di questo giornale di far conoscere e sostenere la straordinaria esperienza di dialogo di One by One, non avevamo mai pubblicato fin'ora nulla dell'... altra parte: è bastato solo tradurre dall'ultimo bollettino dell'associazione questa lettera di presentazione di Gottfried per avvertire un impercettibile, ma pungente, senso di disagio. In qualche nicchia dentro di noi, in modo molto più viscerale di quanto non vorremmo, il 'nemico' continua a restare tale, congelato nella sua identità, segregato dalle nostre paure. E' dunque con particolare rispetto - per lo sforzo e l'impegno dell'autore - e con gratitudine - per averci mostrato qualcosa di noi che non ci è molto familiare - che pubblichiamo questo documento.

Mi sembra ancora incredibile aver ricevuto questo incarico pensando alla storia della mia vita.
Lo vivo come una grande prova di fiducia e sono profondamente grato al mio gruppo di dialogo per avermi dato il sostegno di cui avevo bisogno per poter accettare questo incarico.
Mentre pensavo a come scrivere questa lettera ho visto quanto per me sia ancora difficile ricordare e raccontare la mia storia con il nazionalsocialismo. Nello scrivere è come se il doloroso confronto con il mio passato rivivesse.
Entrai in contatto con One by One circa 3 anni fa; nella primavera del 1997 presi parte anch'io al gruppo di dialogo che si tenne a Berlino (vedi B.N. n.2/I). L'incontro con i figli dei sopravvissuti dell'Olocausto, la Shoa e le discussioni che ci furono durante il gruppo di dialogo mi cambiarono. L'essermi trovato davanti alla storia delle famiglie ebree mi ha spinto a vedere la mia giovinezza nella società nazionalsocialista con occhi diversi e anche a scoprire l'influenza che quell'ideologia ha esercitato nella mia vita. Ho cominciato a interrogarmi su che cosa provassi da adolescente durante il Terzo Reich e poi su come avevo affrontato tutto questo nel dopo guerra.
Sono nato nel 1929 e ho fatto parte della giovane generazione hitleriana, avevo dieci anni quando aderii alla Gioventù Hitleriana: vi presi parte con entusiasmo e presto ne divenni un alfiere. Non percepii alcuna contraddizione tra l'educazione cristiana che ricevevo a casa - mio padre era pastore e membro della Chiesa Confessionale - e la mia partecipazione alla Gioventù Hitleriana.
Oggi mi appare chiaro che il nazionalismo della classe media di mio padre e l'antisemitismo subliminale della mia famiglia hanno costituito un ponte verso il nazismo.
Anch'io come mio padre sono un pastore protestante anche se mi sono ritirato ormai da alcuni anni. Subito dopo la guerra, dalla fine degli anni '40 fino a metà degli anni '50 ho studiato all'Università.
Oggi mi colpisce vedere quanto antisemitismo cristiano fosse presente nella mia formazione teologica e di come lo avessi assimilato senza esserne cosciente. Così come tanti altri tedeschi, anch'io feci un grande sforzo per dimenticare tutto ciò che aveva avuto a che fare con il periodo del nazismo. Presi parte a manifestazioni contro il riarmo della Germania, il terrore della guerra era ancora nelle mie ossa. "Mai più un'altra guerra" era lo slogan di quegli anni. Ma si trattava di un atteggiamento piuttosto superficiale, che non si interrogava sulle cause della guerra.
Crescendo divenni sempre più coinvolto con il nazionalsocialismo, ma partecipai solo con agli apparati e alle strutture politiche dello stato. In seguto non feci più nessuna connessione con la storia della mia vita: avevo represso il fatto che anch'io avevo fatto parte di quel sistema. Ora finalmente qualcosa si è aperto in me e posso vedere delle nuove parti della mia vita che erano state tenute nascoste.
Il processo è ancora in corso. Nel gruppo di dialogo ho conosciuto - anche nei momenti più difficili di discussione - un'atmosfera di rispetto per ogni individuo. Proprio per questo sia in me che negli altri è cresciuto l'interesse per continuare il lavoro come gruppo, rimanendo in contatto tra noi.
Per me ha un grande significato far parte di questo gruppo e compiere insieme questo viaggio, ma naturalmente non può essere solo questo.
Quello che ho vissuto nel dialogo con l'altra parte e quanto proprio da esso ho imparato su di me deve portare delle conseguenze. Io appartengo alla parte dei responsabili e qui posso parlare solo per me stesso. Dopo il gruppo di dialogo voglio rompere pubblicamente il silenzio sul contributo mio e della mia famiglia al nazismo. Voglio assumermi le responsabilità della mia vita e trarne delle conclusioni per il presente. Può darsi che non tutti coloro che hanno partecipato al gruppo di dialogo vedano il legame tra il lavoro nel gruppo e intervenire pubblicamente come faccio io. Credo che sia importante lasciare spazio a entrambe le direzioni e sostenerci a vicenda.
Mi dispiace che la maggior parte dei membri nel ramo tedesco di One by One siano figli di persone che hanno partecipato al nazismo. I figli dei sopravvissuti dell'Olocausto/Shoa e le vittime delle persecuzioni del regime nazista sono in minoranza.
Devo ammettere che non è facile per me avvicinare gli ebrei che vivono tra noi; davanti a loro provo un senso di imbarazzo, come del resto anche altri mi hanno raccontato. Negli incontri con i figli delle vittime della persecuzione ci sono in parte le stesse difficoltà.
Considero questa situazione una sfida che voglio affrontare, non importa quanto doloroso possa essere il cammino. Esso richiede immaginazione, pazienza e coraggio.