VIGILIA DI NATALE
DEL 2001.
Le immagini scorrono veloci sul televisore, la messa in piazza Manger a Betlemme.
Alcune migliaia di pellegrini si aggirano sul posto, nessuna gioia sui volti,
piuttosto uno stupore sottile, tristezza, incredulità.
Un'immagine per il nuovo millennio. Lavoro da un po' di tempo a un articolo
sui santuari nella cultura ebraica e in altre fedi: il concetto di avere un
legame personale e privato con Dio. Pensando al rifugio buddhista, che consiste
in una sola persona, un tappetino di preghiera e una campana, sono rimasta colpita
dall'espressione "piccolo santuario". Può essere molto piccolo,
molto personale, senza alcuna interferenza rituale, privo dell'elemento aggregativo
o di altre forme di pratica religiosa organizzata. Nel libro di Ezechiele è
scritto: "createvi per voi un piccolo santuario...", in ebraico Mikdash
Me'at.
Ora, mentre assisto al servizio trasmesso da Betlemme, vedo che Arafat non è
arrivato per la messa, anche se una folla di palestinesi si aspetta che in qualche
modo appaia. Sharon gli ha sbarrato la via trasformando la questione in un fatto
del tutto politico. Se uno fa una cosa o l'altra, allora può venire a
pregare, a patto che sia politicamente corretto. Mi vengono istintivamente in
mente le immagini delle statue buddhiste in Afghanistan distrutte dai Talebani.
Per quanto riguarda la santità della vigilia di Natale del 2001, questo
è quanto.
È assolutamente
evidente che oggi i luoghi sacri sono ormai in mano alle religioni fondamentaliste,
che li usano per i loro scopi. I santuari sono ormai strettamente collegati
al potere politico che sfrutta il simbolismo come mezzo di coercizione e di
controllo psicologico. (Il gruppo etnico che riuscirà finalmente a impossessarsi
del Monte dei Templi, ad esempio, emergerà come vincitore definitivo.)
Forze religiose diverse si stanno contendendo il possesso di luoghi che hanno
un'antica tradizione di appartenenza religiosa. Il ricorso a qualsiasi tipo
di violenza o forza è giustificato.
Una terra sacra può essere acquistata con indicibile spargimento di sangue.
Tutte le fonti religiose dell'Ebraismo, dell'Islam e della Cristianità
riferiscono storie del genere. E queste storie vengono riscritte oggi. Guardando
indietro nel tempo possiamo trovare molti periodi della nostra storia simili
a questo. I regimi teocratici hanno sempre combattuto per mantenere la propria
condizione di potere. E la gente ha sempre sentito il bisogno di onorare i propri
luoghi sacri. Simboli e segni si moltiplicano intorno a certi punti geografici,
rendendo intensi e drammatici i processi storici.
Gli ebrei non potevano
che ricevere la loro Torah nel deserto del Sinai, in uno scenario che definire
melodrammatico è poco. Ed esistono un'infinità di luoghi come
questo: per i cristiani, per i musulmani, per i buddhisti. Questi posti sono
investiti di un mistero che Rudolph Otto e Gershom Sholen hanno definito noumeno,
la sacralità religiosa che non può essere né spiegata né
descritta. È necessario separare il sacro dal mondano per onorare il
sacro e dare minore importanza al quotidiano, e per attirare la gente ai pellegrinaggi:
la Mecca, Lourdes, il zaddikim sepolto a Har Merom e, soprattutto in
passato, Gerusalemme.
Nella lotta per il controllo di questi siti si sono combattute le guerre più
atroci. Cosa conta la vita della gente, dopo tutto, se confrontata alla santità
di un luogo di Dio? Questo è il pensiero fondamentalista. In questo modo
il concetto di santità travalica l'amore universale e, nella lotta per
il controllo del terreno, viene perso il senso dell'armonia tra gli esseri viventi.
Il concetto di piccolo santuario risale letteralmente ai tempi della distruzione
del Tempio. Gli ebrei chiesero ai loro rabbini come poter continuare le pratiche
rituali, i sacrifici di animali, l'offerta delle primizie, ecc., e i rabbini
risposero: "createvi per voi un piccolo santuario...". (Libro di Ezechiele,
capitolo 11.17) E così alcuni, al posto dei sacrifici, fecero opere di
carità o aiutarono i poveri.
Nell'ottica di molti studiosi, fu l'esilio il vero inizio della tradizione ebraica.
Forzati all'esilio e spinti da una grande volontà e desiderio di rimanere
nella fede, gli ebrei crearono scuole e accademie per gli studi talmudici, dando
vita a un intenso sviluppo spirituale. Non è necessario essere fisicamente
presenti in un luogo geografico sacro per vivere la propria spiritualità,
la trascendenza, la divinità. La geografia non è sempre destino.
Il destino o l'identità spirituale può prendere forme diverse.
Il grande rabbino e maestro di Lublino, Rabbi Zaddok HaCohen, scrisse alla fine
del secolo scorso: "Quando desidero ardentemente Gerusalemme, sono già
lì, nella condizione psicologica di essere a Gerusalemme, nella gioia
e nel desiderio e nell'amore della Gerusalemme del cuore". Anche se Reb
Zaddok non ha mai messo piede sul suolo di Gerusalemme, la sua percezione del
significato di quel luogo era più forte di chi era andato ad abitarci.
Reb Zaddok parla dei benefici della Diaspora: l'animo dell'ebreo, seppur lontano,
continua a desiderare Gerusalemme. E ci raccomanda di continuare ad avere questo
sentimento, anche dopo essere venuti a viverci.
La ricerca del piccolo santuario nasce da dentro colui che lo cerca. Nasce dal
cuore oltre che dalla mente. Molte tradizioni lo riconoscono. Rumi, il grande
poeta sufi, scrive: "Colui che è amato lava via tutti i mali, il
giardino di rose di colui che è amato non conosce spine. Ho sentito dire
che esiste una finestra che si apre tra un cuore e l'altro. Ma se non ci sono
mura, non servono finestre. Siamo tutti uniti. Colui che è amato è
Dio". Il santuario di Rumi era il cuore.
Dopo la distruzione del sacro tempio, molti maestri e mistici ebrei avviarono
un'intensa ricerca spirituale. Furono scritte preghiere, costruite sinagoghe,
testi di ogni tipo vennero raccolti e conservati, nacquero scuole di misticismo.
Fu un periodo di intenso sviluppo intellettuale, ma anche di grande ricerca
interiore.
Rabbi Gamliel, nell'Etica dei Padri, ebbe a dire: "Sono cresciuto
tra i savi. Ho trascorso la vita ad ascoltare le loro parole, eppure non ho
trovato nulla che fosse meglio del silenzio. La verità che può
essere pronunciata non è la verità definitiva, che è silenzio
nel silenzio". Cosa è dunque il piccolo santuario per ciascuno di
noi? Come possiamo collegarci al silenzio del silenzio, alla ferma piccola voce
che sta al centro di tutte le cose che ci girano intorno? Martin Buber, il filosofo
esistenzialista ebreo, sosteneva che in fondo il vero santuario si trova nel
dialogo tra uomini, tra l'Io e il Tu. Questo è quanto l'uomo può
fare, e attraverso tale esperienza può sentirsi in contatto con il proprio
Dio. L'esperienza buddhista del santuario personale è l'uomo che ascolta
se stesso per essere libero dall'affanno e dal caos interiore.
COME TROVARE IL SANTUARIO GUARDANDO DENTRO SE STESSI
Per molti seguaci
di religioni entrare nel piccolo santuario significa addentrarsi nel profondo
di se stessi. Gli hindu fanno semplicemente riferimento alle Upanishad. Nella
città dei brahamini esiste una dimora segreta: il loto del cuore. In
questa dimora c'è uno spazio, e in questo spazio c'è la realizzazione
dei nostri desideri e delle nostre speranze. Il cielo e la terra sono contenuti
in quello spazio interiore. E uno spazio ugualmente grande e infinito è
lo spazio all'interno del loto del cuore.
La meditazione è sempre stata una delle maggiori strade per il santuario
del cuore. In varie tradizioni mistiche, come quella cristiana, islamica, buddhista
ed ebraica, il modo per percepire il divino è spesso guardando in se
stessi. Spesso il percorso è un viaggio di sofferenza al cuore delle
tenebre o, nelle parole di Kierkegaard, una ricerca nell'oscura notte dell'anima.
Nella pratica chassidica, molti santi rabbini hanno abbandonato la vita attiva
e la socialità, per esiliarsi dal mondo e tuffarsi nella profondità
del loro essere, fin dentro all'oscurità di quei sentimenti e pensieri
che la religione definisce il male, per recuperare l'autentica radice della
passione che esisteva prima dell'Eden, prima del peccato, prima del male.
Il rabbino Zaddok HaCohen di Lublino, uno dei miei prediletti maestri spirituali,
parlò dell'importanza di collegarsi con la più profonda sofferenza
dell'anima, con il luogo della ferita che è anche il luogo della più
grande guarigione, fonte di trasformazione e di crescita. Rabbi Zaddok si chiuse
in sé stesso per venti anni, per confrontarsi e attraversare il suo cuore
di oscurità e poi uscirne illuminato.
Rabbi Yehuda Ashlag, il più grande interprete della Kabbalah dei nostri
giorni, ha percorso la stessa strada di Kotzker, il famoso rabbi Menaahem Mendel
di Kotzk.
Alcuni di quelli che sono scesi nei loro oscuri santuari sono poi tornati, altri
no. In realtà abbiamo avuto tutti un'esperienza al cuore delle tenebre.
Alcune delle maggiori opere d'arte prendono forma proprio a seguito di tali
episodi di oscurità. Rilke scrisse i suoi Sonetti a Orfeo dopo
essere emerso da uno stato in cui si lui stesso si definì "spaccato
fin nel più profondo dell'anima". Anche questa è un'interpretazione
della religione e dell'esperienza emotiva di tutti noi. Sia che si entri con
calma nel santuario buddhista o che si affondi come Kierkegaard o il rabbino
Kotzer nel santuario del cuore delle tenebre, questa esperienza viene fatta
essenzialmente da soli, per se stessi e per la propria illuminazione emotiva
e spirituale.
È davvero un piccolo e bellissimo concetto quello del "piccolo santuario",
sintetico e simbolico. Può essere portato con sé ovunque uno vada.
Può essere perfino trasportato in una grande moschea o cattedrale, se
usiamo il/la nostro/a kavanah (la parola ebraica per presenza mentale)
per rimanere concentrati e in sintonia con la nostra esperienza interiore. Nessuno
può mettere mano al piccolo santuario. Nessuno può intromettersi
nell'animo altrui. Nessun linguaggio politico o fondamentalista riesce a forzarne
l'entrata. Dobbiamo creare questo santuario in noi, ciascuno a modo suo.
La libertà di culto è la condizione prima di un credo religioso.
Si deve andare alla fonte della propria fede, con profondità e kavanah,
o presenza mentale, in modo da ottenere quella forza vera che consente di contrastare
le coercizioni del potere religioso e la sua oppressione.
Che si studi Spinoza, il Corano o gli scritti buddhisti, è sempre lo
stesso messaggio a emergere: tutti gli uomini fanno parte di un tutto universale
e di un'unità trascendente globale. Nessuno è più importante
dell'altro, e la risposta non è nell'onorare un luogo sacro perché
è migliore di un altro. Tutte le genti e tutti i luoghi sono sacri, o
nessuno lo è.
Entrare nel piccolo santuario e cercare il proprio personale sentimento religioso
non significa necessariamente isolarsi dalla società e da tutto ciò
che ci accade intorno. Quella era la spiritualità dell'ottocento, lo
spiritualismo di ribelli religiosi come Kierkegaard, come i santi rabbini chassidici,
che compivano sforzi eroici per raggiungere il proprio mondo interiore.
La spiritualità nel mondo sempre più ristretto e interconnesso
del ventunesimo secolo, deve essere qualcosa di più che una ricerca interiore.
La spiritualità deve includere la compassione e un'azione che parta dalla
visione interiore. L'impegno verso il mondo esterno nei buddhisti, ad esempio,
o nei gruppi attivisti di altri credi, è il modo in cui la fede viene
trasformata in contenuti. E ancora mi viene in mente Martin Buber che sostiene
che il vero santuario (la più santa delle esperienze) è l'incontro
tra l'Uomo e suo fratello.
Nelle parole di Geremia, "... che il saggio non si glori della sua saggezza,
o il forte della sua forza, che il ricco non si glori della sua ricchezza, ma
solo di questo ci si dovrà gloriare: della comprensione umana, perché
agirò con gentilezza, giustizia e uguaglianza, e in queste gioirò...
" (Geremia 9.22-23)
Traduzione
di Laura Bisogniero