Sebbene quanto
proviene in questi giorni dalla Terra Santa sia costituito da notizie sempre
più tragiche, ci sono anche avvenimenti che sono fonte di grande ispirazione,
come l'incontro che abbiamo tenuto il 6 marzo all'"A-Nabi Samuel".
Ci siamo riuniti sul tetto di questo antico edificio in pietra, tomba del profeta
Samuele, per pregare con cuori sinceri affinché la pace trionfi. Il grande
castello di pietra, situato a metà strada tra Gerusalemme, Ramallah e
Modi'in, può essere visto da tutta la regione e ospita sia una moschea
in piena attività sia una sinagoga con una piccola yeshiva di Breslov.
Un articolo di Lauren Gelfond comparso sul Jerusalem Post dell'8 marzo 2002
fa la cronaca della nostra iniziativa, sponsorizzata dal Naqshabandi Sufi Center
di Gerusalemme e dalla Peacemaker Community.
Eliyahu
McLean
Gerusalemme, 22 marzo 2002
LA LORO FEDE
VIVE OLTRE LA RELIGIONE: EBREI E MUSULMANI TROVANO UN LUOGO COMUNE IN MEZZO
AL CAOS
di Lauren Gelfond
Era una giornata
piena di sole, presso l'antica tomba di Shmuel Ha-Navi (il profeta Samuele),
e Ibrahim Ahmad Abu El-Hawa se ne stava in piedi, sorridente, sul tetto di ciottoli,
con il viso corroso dal tempo levato verso il sole.
Affiancato da un musulmano e da un ebreo, le mani intrecciate, si dondolava
seguendo il ritmo dello zikr dei sufi musulmani e delle preghiere ebraiche.
"Mi piace ritrovarmi con quelli che hanno amore nel cuore", dice.
El-Hawa, un musulmano nato sul Monte degli Ulivi, è uno dei più
di venti musulmani, ebrei e cristiani che si sono riuniti in un cerchio di solidarietà
la scorsa domenica in seguito agli attacchi dei suicidi e dei cecchini palestinesi
e alle incursioni dell'IDF, l'esercito israeliano, che hanno provocato più
di venti morti a entrambe le parti.
Come risposta al continuo massacro, lo sceicco Abdul Aziz Bukhari di Gerusalemme
est (Naqshabandi Sufi) ha invitato i suoi amici interreligiosi a incontrarsi
per pregare e meditare sulla tomba del profeta Samuele, un sito neutrale vicino
a Gerusalemme, sacro sia agli ebrei sia ai musulmani.
"L'odio e la violenza ci distruggeranno. Dio non vuole che gli esseri umani
si uccidano fra loro. Egli creò le nostre tre religioni, con diversi
punti di vista, idee e linguaggi, affinché noi potessimo imparare gli
uni dagli altri" dice, citando il Corano e spiegando che il fine della
devozione religiosa è riempire il cuore con l'amore di Dio, in modo che
la vita possa essere finalizzata all'aiuto degli altri.
"Nel giorno del giudizio, non saremo giudicati in base alla religione di
appartenenza, ma secondo le azioni buone o cattive che avremo compiuto".
Izzadin, il figlio sedicenne dello sceicco, stava a guardare con solennità.
Mentre erano accoccolati in alto, sulle colline che dominano Neve Yaakov e Ramallah,
si sentivano risuonare nel sottofondo, insieme alle preghiere pronunciate sulla
sommità dell'edificio e ai canti degli uccelli, i rumori degli elicotteri,
una radio dell'esercito e si udì uno sparo isolato. Un soldato sostava
in prossimità di un lato del tetto senza prestare attenzione al raduno,
guardando attentamente nel binocolo puntato verso i villaggi lì intorno.
"Samuele fu sepolto qui per gli ebrei e poi per i musulmani. Ora sul tetto
stiamo per richiamare il suo spirito", scherza il dottor Yitzhak Hayut-Man,
direttore dell'Accademia di Gerusalemme, vestito con una lunga veste marrone
e con la kippah.
Leggendo dal Libro di Samuele, Hayut-Man e Dotan Arad spiegano il significato
della storia del profeta, che, dicono, insegnava il potere dell'umiltà
e della preghiera. Si sono uniti anche una monaca di Gerusalemme e un discendente
delle popolazioni autoctone americane residente negli Stati Uniti che offrono
alcuni pensieri provenienti dalle loro tradizioni. L'insolito raduno attrae
la curiosità e la rabbia di uno spettatore.
"Le vostre piccole attività a favore della pace sono carine ma ingenue",
dice David, 24 anni, di Gerusalemme. "L'unica soluzione è uccidere
arabi il più possibile per impedirgli di farci fuori una volta per tutte.
Per noi è una guerra santa proprio come per loro", egli dice tranquillamente
all'amico ebreo ortodosso Eliyahu McLean, direttore della Peacemaker Community
con sede a Gerusalemme.
"La nostra via è differente", spiega McLean, uno degli organizzatori.
"Noi pensiamo che l'amore conduce al risanamento dei conflitti, mentre
la vendetta porta soltanto a una maggiore violenza".
"Non preoccuparti", dice David, chiedendo che il suo cognome non venga
menzionato. "Io vi lascerò pregare in pace, ma sappiate che la maggior
parte della gente la pensa come me".
Presso la tomba, dove una moschea e una sinagoga ortodossa sono separate solo
dalla tromba delle scale, spesso musulmani ed ebrei passano l'uno accanto all'altro
mentre si recano a pregare. "Qui siamo in buoni rapporti", dice un
assistente ebreo in abito nero.
"Gli ultimi diciassette mesi e specialmente gli scorsi due giorni sono
stati molto difficili per i rapporti fra i discendenti di Abramo nella terra
dei profeti", ricorda McLean. "Ma qui c'è un'isola di tranquillità,
e da qui dobbiamo diffondere vibrazioni positive che siano di giovamento".
"Se cambi il tuo cuore, tutto cambierà intorno a te", aggiunge
un insegnante musulmano originario dell'Europa che vive a Gaza e che ha chiesto
anche lui di menzionare il suo nome. Invitato dallo sceicco Bukhari, questa
è la sua prima esperienza interconfessionale, e pensa che si tratti di
un'ottima idea.
"Una volta le persone religiose non provavano il bisogno di condividere
con altri le loro esperienze, potevano vivere la loro vita religiosa in modo
indipendente dagli altri", dice. "Oggi è assolutamente necessario
andare oltre l'apparenza esterna delle cose. Dobbiamo riuscire a toccare ciò
che ogni persona spirituale ha in comune con le altre, la luce di Dio nei nostri
cuori".
Il tema comune di cui si parla è come trovare in Dio un'ispirazione per
generare forza, coraggio e amore.
"Ebrei, cristiani e musulmani, siamo tutti tuoi figli", dice una donna
ebrea, Hanna Jaffe, in una preghiera letta ad alta voce.
"Elimina l'oscurità che ha inquinato la nostra esistenza. Versa
il tuo amore nei nostri cuori sofferenti e insegnaci il rispetto per ogni vita.
Non lasciare che diventiamo indifferenti alla speranza e alla paura dei nostri
avversari. E, per chi di noi è rimasto silenzioso, che la sua voce possa
essere ascoltata".
Mentre le diverse preghiere e meditazioni vengono tradotte in arabo, ebraico
e inglese, tutto il gruppo alla fine di ciascuna di esse risponde con una parola
universale: "Amen".
Più tardi, concluso il raduno, El-Hawa continua a sorridere, mentre il
sole del pomeriggio si scioglie intorno a lui nella foschia e nella brezza.
"Ogni incontro fra le nostre genti ci aiuta moltissimo. Ora posso andare
a casa e raccontare ai miei amici degli israeliani diversi che ho incontrato
e i loro differenti modi di pensare", disse. "Ho sempre pensato che
all'origine dei nostri problemi ci fossero i governanti e le leggi. Per costruire
la pace abbiamo bisogno che gli esseri umani si incontrino tra loro".
dal
Jerusalem
Post dell'8/03/2002
Traduzione di Antonella Comba
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Shalom, Salaam,
Eliyahu McLean
Direttore della Peacemaker Community di Israele
eliyahu@peacecom.org
Questo messaggio è dedicato alla memoria del caro amico Alon Goldenberg di ventotto anni, fratello di Israeli Rainbow, ucciso mercoledì 20 marzo nell'attentato suicida al bus di Wadi Ara.