Lavorare nelle
crepe
INTERVISTA DI JAMES SHAHEEN A BERNIE GLASSMAN
È vero
che stai facendo un training per diventare clown?
Sì. Sto studiando da clown e ho un clown come mentore. Abbiamo fondato
un ordine di clown, l'Ordine del Dis-ordine. Ma clown non è la parola
giusta. In tedesco c'è un vocabolo migliore: narr o buffone, come il
buffone di corte. Ci sono anche i bastian contrari e il coyote nella tradizione
dei nativi americani, l'imbroglione. Ed è questo il training che sto
seguendo.
Come ci sei
arrivato?
Alcuni anni fa, sono entrato in una nuova fase. Ho diciotto successori di Dharma
e tutti dirigono dei centri e promuovono attività molto utili. Nel corso
degli anni ho dato vita a molti progetti e fondato alcune organizzazioni che
funzionano bene. Nell'ultima parte della mia vita, volevo espormi in modo inaspettato
e assicurarmi che la gente non si prendesse troppo sul serio o diventasse bigotta,
che comprendessero veramente il concetto di lasciar andare. Sto cercando di
impararlo a fare attraverso l'arte del clown. Quello che sto facendo ha a che
fare col non essere troppo pesanti.
Fare il clown
è un'altra forma di insegnamento?
Sì, nelle tradizioni dei nativi americani il clown, o l'imbroglione,
copre una delle posizioni più alte. Vengono preparati con grande cura,
e gli è permesso prendere in giro apertamente i sacerdoti. Dopo tutto,
è facile cadere nella trappola del predicare senza osservare granché
le proprie azioni. Il clown osserva al posto nostro e mostra le contraddizioni
e l'ipocrisia con senso dell'umorismo quando nessun altro osa farlo. Ma, cosa
ancora più importante, il clown, l'imbroglione, comprende l'unità
della vita. È compito del clown avere a che fare con le situazioni e
le persone che noi respingiamo, i senzatetto, i carcerati, quelli che sono stati
spinti ai margini della società o semplicemente quelli con cui siamo
in disaccordo. Il clown ci risveglia al fatto che sono tutte parti di noi, per
quanto stretti siano i confini in cui abbiamo chiuso le nostre vite.
Com'è
fare il clown?
È affascinante. Quando faccio il clown, mi metto un naso rosso. Ho un
minimo di abbigliamento da clown. Il training che sto seguendo non è
tanto orientato al trucco o al vestito, la tua identità la crei dall'interno.
Ma uso quasi sempre un naso. Quando qualcuno si mette un naso, si può
ascoltarlo senza offendersi. Ho notato che se riesco a immaginare il naso su
qualcun altro, posso prendere in modo diverso quello che dice al di là
di cosa sia. Prova a immaginare un naso su George Bush e ascoltalo parlare:
vedrai che le tue reazioni saranno molto diverse. Se prendo le parole di qualcuno
con cui sono in totale disaccordo, ma gli metto sulla faccia un naso
yeah,
continuo a essere in disaccordo con quello che dice, ma non è più
così terribile. (risata)
Mettersi il
naso è liberatorio? Ti dà un'identità più flessibile?
Per me e per molti altri sì. È successa una cosa interessante
alla fine del nostro ritiro di strada a New York l'anno scorso. Stavamo risalendo
la Quinta strada. Il tempo era tiepido, all'inizio, partendo da Bowery, ma si
era fatto freddo quando nel tardo pomeriggio raggiungemmo St. Patrick. In questi
ritiri non permetto che ci si cambi, ma si possono indossare abiti a più
strati. Dunque, c'era un tizio, che studiava all'abbazia di Pema Chodron in
Nova Scozia, Gampo Abbey, che aveva freddo e voleva indossare un paio di mutandoni.
Si mise il naso - era stato iniziato nell'Ordine del Dis-ordine - e qualcuno
gli tenne intorno un cappotto e lui si cambiò. Beh, eravamo sulla Quinta
strada, di fronte a St. Patrick, ma lui indossava il suo naso, dunque andava
tutto bene. Mettiti il naso e va bene tutto, non c'è niente che tu possa
fare di sbagliato. Si tratta solo di ciò che stai facendo e puoi riderne
o prenderlo come ti pare.
Hai sconvolto
le aspettative dei tuoi studenti iniziando a fare il clown?
Ho sempre cambiato le situazioni. E ci sono sempre stati studenti che nutrivano
aspettative su come fosse un maestro Zen. Se ti sposti dalle loro aspettative,
si arrabbiano. Poi ci sono quelli che arrivano perché io rappresento
quello che vogliono, ma poi io cambio. E loro si arrabbiano perché non
sono rimasto come mi volevano. E poi ci sono gli studenti, e sono la maggioranza,
che mi hanno preso per come sono e parte di come sono è questo costante
cambiamento. È il gruppo che è rimasto con me più a lungo
e che mi ha visto entrare nel mondo del clown. Gli studenti che arrivano adesso
hanno letto qualcosa su di me e non sanno cosa aspettarsi, tranne che fa parte
dell'aspettativa non sapere cosa aspettarsi.
Dunque distruggere
le aspettative fa parte del tuo lavoro?
Penso di sì. È quello che ci vuole, non avere aspettative. E le
aspettative le abbiamo tutti, che siano su di noi, sugli insegnanti o su qualsiasi
altra cosa.
Quale relazione
c'è tra tutto questo e il lavoro dello Zen Peacemaker Order?
Fare il clown amplia il nostro lavoro. Il clown lavora nelle crepe della socetà.
Lavora per includere quelli che non riconosciamo, gli indesiderabili della società,
quelli che ci fanno sentire a disagio. Fare il clown comprende gli stessi principi
del nostro Zen Peacemaker Order.
Quali sono questi
principi?
Di recente, ho scritto un articolo per una scuola Soto giapponese per un libro
che hanno fatto su Dogen, il maestro Zen del tredicesimo secolo. Ho iniziato
da quelli che penso siano i tre principi fondamentali negli scritti di Dogen
e che si rispecchiano nei principi dello Zen Peacemaker Order. Il primo è
non-pensare, che io metto in relazione col nostro primo principio, non-conoscere.
Non conoscere è proprio il luogo in cui un koan intende portarti. Un
secondo importante principio è shikantaza, semplicemente sedersi. La
mia traduzione è "portare testimonianza". E per me portare
testimonianza è lo stato di totale nondualità. Robert Heinlein,
lo scrittore di fantascienza, usa la parola "grokking" per significare
"diventare l'esperienza". Portare testimonianza, shikantaza e grokking
sono un tutt'uno per me. Il terzo principio è butsudo, la via dell'illuminato.
Per me è guarire se stessi e gli altri attraverso atti d'amore.
Dunque le condizioni
inusuali che crei, che sia un ritiro di strada o sedere ad Aushwitz, si propongono
di mettere le persone in una situazione in cui saranno messe di fronte al primo
principio, non-conoscere?
Esattamente, e per me questi ritiri sono come koan esperienziali. Il più
forte dei koan è quello che accade nella tua vita. Quelle che ora io
chiamo "immersioni", i ritiri di strada, sedere ad Aushwitz, il lavoro
con lo Zen Peacemaker Order, sono più trasformativi di quanto non sia
un lavoro formale col koan.
In che modo?
Lavorare su un koan è un'immersione; andare a una sesshin è un'immersione.
Ma dopo un po' puoi diventarne condizionato e una sesshin può diventare
una vacanza, o per lo meno qualcosa di abituale, e non più necessariamente
un'immersione.
Un'immersione nella vita è un modo molto efficace per portarti fuori
dallo spazio che conosci e trasportarti nel non conosciuto.
Dopo un'immersione
nel non conosciuto, metti un ritiro ad Aushwitz, come avviene il "portare
testimonianza"?
Fondamentalmente è che vieni esposto a una pluralità di voci diverse
su diversi aspetti. Riunendo sopravvissuti o figli di sopravvissuti e figli
di ufficiali delle SS, zingari, omosessuali, gente di diversa estrazione, ti
trovi ad ascoltare tutte queste voci. È così se accetti di stare
con tutto questo, perché altrimenti è facile arrivare, ascoltare
una voce e poi correre via e dire: "Beh, sono stronzate," per negare
l'esperienza. Ma se resti nella situazione e continui ad ascoltare le voci,
la tua come quella di tutti gli altri, penso che precipiti in quella che si
potrebbe chiamare una crisi, ma che io preferisco chiamare un'espansione del
nostro concetto di noi stessi, lasciando andare l'attaccamento alle nostre particolari
prospettive. Allora, puoi portare testimonianza e farlo senza giudizio.
E la guarigione?
La guarigione sorge naturalmente dai primi due principi. Forse "guarigione"
non è la parola giusta. L'ho presa dall'ebraico tikkhun olam, che tradotto
alla lettera significa "la guarigione del mondo". Tikkhun olam è
riportare all'interezza i disparati frammenti della nostra vita, diventando
interi. Il che può accadere solo attraverso quelli che chiamiamo "atti
d'amore". E dunque gli atti d'amore diventano il terzo principio.
Nutri qualche
dubbio su fino a che punto ti puoi spingere a giocare con queste forme di pratica?
Vedi, ci sono dieci paramita, o virtù, e una è upaya,
o mezzi abili. Un insegnante deve capire quali upaya aiutino a portare la gente
alla realizzazione della nondualità. Altrimenti sarebbe noioso, no? (ride)
Voglio dire, quanti anni puoi andare avanti senza giocare con le forme se sei
un insegnante?
Pensi che qualcosa
possa andare perduto con queste nuove forme di upaya? Dopo tutto lo zazen ha
funzionato per secoli.
No, perché non ho buttato via molte upaya. Qualunque nuova upaya abbia
introdotto, ho mantenuto la meditazione seduta, che continuo a praticare. Ci
sono alcuni per cui è diventata solo un'altra forma di condizionamento.
La loro meditazione seduta non è quanto definirei nondualistico, e non
le attribuisco alcun particolare valore rispetto a qualsiasi altra cosa. Il
punto secondo me è quale upaya porta alla consapevolezza, alla realizzazione
e all'attualizzazione dell'unità della vita.
Quando una persona
inizia a praticare, cominci con gli strumenti tradizionali della pratica zen
o non li usi più?
Ho delle difficoltà con la parola 'tradizionale'. Implica un qualche
punto di riferimento, ma pochissimi di quelli che la usano fanno riferimento
a Shakyamuni Buddha. Spesso risalgono solo fino ai loro insegnanti. Io cerco
di aiutare le persone a studiare in un modo che sia appropriato per loro e la
loro situazione; se si tratta di zazen, vada per zazen; se si tratta di un'immersione,
va bene l'immersione. Ma con me tutte le forme di pratica saranno soggette al
cambiamento, perché solo il cambiamento esiste.
Hai detto che
ci abituiamo ad alcune pratiche che così perdono la loro efficacia. Suppongo
che tra un po' ti abituerai ad essere un clown, potresti trovarlo comodo, dobbiamo
dunque aspettarci un altro cambiamento, un altro trucco in vista?
Un altro sviluppo. Sì, lo spero; non so mai cosa farò o dirò.
Spero di essere sorpreso dagli sviluppi. È questo che li mantiene per
me interessanti.
La maggior parte
di noi non riesce a spingersi oltre il punto in cui ci sentiamo comodi; sentiamo
che è necessario un insegnante. Certo, ci sono coincidenze che ci insegnano
qualcosa, ma di solito ci vuole qualcuno che ci spinga.
Non lo so. Ci sono diversi modi per descrivere le cose. Nel contesto buddhista
tenderei a dire che sono un servitore del Buddha-dharma. E che ho un'estrema
fede in esso e che so che le cose giuste finiscono per accadere. E c'è
un altro linguaggio che potrei usare ed è quello dello Zen Pacemaker
Order: le cose che faccio consistono nel portare il corpo unico della vita a
un miglior livello di coscienza, di consapevolezza, e di attualizzazione. Esiste
anche un'intera teoria dei memi e io mi vedo come una marionetta del meme di
un corpo. Nello Zen Rinzai c'è un koan che afferma che siamo tutte marionette.
Chi tira i fili? Nella terminologia buddhista è il Buddha-dharma e in
linguaggio più scientifico è il meme (1) di un corpo. Si
possono usare altri linguaggi: Dio, o Allah. Se ci atteniamo al significato,
stiamo dicendo tutti la stessa cosa.
Pensi che al
cuore di ogni tradizione tu batta sempre sullo stesso tasto?
Sì. Le persone delle più diverse tradizioni hanno sperimentato
l'unità della vita. Lo si vede chiaramente con i mistici che toccano
le stesse verità.
Sei molto coinvolto
col lavoro interreligioso. Qual è il tuo obbiettivo?
Prendiamo il mio corpo, per esempio le dita della mia mano. Se non posso far
cooperare le mie dita, esse sono inutili per me. Se lavorano insieme, diventa
facile sollevare la tazza e bere il caffé. Se le dita si mettono a competere
e a litigare, non raggiungerò mai la tazza. Prova a pensare alle tradizioni
come a diverse dita al servizio di uno stesso corpo.
Quando iniziai a lavorare a Greyston, moltissimi mi consigliarono di non includere
nei nostri sforzi il governo. Molti mi dissero di lasciar fuori le chiese, che
non erano adatte, di escludere i ricchi. Ma io creai un consiglio direttivo
che includeva tutti. La mia idea è di creare un mandala che includa tutti
quanti, per imparare a trasformare i nemici in alleati. Di nuovo considera come
i nostri corpi non potrebbero funzionare se ogni parte andasse a casaccio rispetto
all'altra. In ogni caso stiamo parlando di qualcosa di grosso, siamo arrivati
a un bel punto e così è la vita: è il ganze, il
Tutto. Il cerchio infinito!
E quando la
gente dice che il lavoro del buddhismo è l'illuminazione?
Ma cos'è l'illuminazione? Per me lo stato illuminato è la realizzazione
dell'unità della vita. E la prova è nei fatti: come ti comporti?
Aiuti gli altri?
In altre parole,
il riconoscimento dell'unità della vita porterebbe le persone a lavorare
naturalmente per il beneficio degli altri?
Penso di sì. Ho letto nello Shingon che la profondità della realizzazione
di qualcuno può essere scorta dal loro servizio agli altri. All'umanità.
O al pianeta. È un processo senza fine. Secondo me, l'ampiezza della
tua comprensione dell'unità della vita è l'ampiezza della tua
illuminazione.
Nel vostro sito
web dici che uno degli scopi del lavoro del peacemaker è di diventare
"chi si è veramente". È questo il riconoscimento dell'unità
della vita, comprendere che non c'è separazione?
Proprio così. Quando i vari meravigliosi maestri di diverse tradizioni
hanno usato come koan fondamentale: "Chi sono io?", ci hanno portato
sempre più profondamente nella realizzazione dell'unità della
vita. Facciamo un passo indietro. Immagina che abbia una malattia a causa della
quale io creda che le mie mani non facciano parte di me. Ora, per riprendere
il discorso, la vera malattia è che penso che tu non sia parte di me.
Ma tutti hanno una qualche comprensione dell'unità della vita. Possono
averla attraverso il corpo, la famiglia, il loro club, la società.
Molti sono contrari
all'azione sociale. Se ogni cosa è illuminata così com'è,
si chiedono, qual è il punto?
È piuttosto semplicistico. Non riesco a immaginare molta gente che dica:
"Sì, certo, ho questo corpo, è illuminato così com'è,
quindi non devo nutrirlo, non devo lavarlo, vestirlo, è così com'è.
Se si ammala, va bene, lascialo ammalato."
In realtà, non so nemmeno cosa davvero significhi l'espressione 'azione
sociale'. Quando guardi al quadro complessivo, si tratta semplicemente di prendersi
cura delle cose che ne hanno bisogno. Prendersi cura degli aspetti di sé
che ne hanno bisogno. Forse per 'azione sociale' si intende il prendersi cura
degli altri. Ma in effetti non esiste un 'altro'.
E tuttavia,
incontri qualcuno che ha fame. Lui sente la fame, ma io no. Il non sentirla
è un effetto dell'ignoranza?
Ignoranza nel senso di vedere la separazione. Rifletti su questo koan: se nutri
il bestiame in Cina, le mucche saranno sazie nel Maine. Cosa significa? A che
livello di profondità possiamo realizzare l'unità della vita?
Quando Madre Teresa diceva di prendersi cura di Cristo nell'attendere ai bisogni
degli altri, stava riconoscendo questa unità. Non è azione sociale.
È comune buon senso.
Puoi parlare
di questo rispetto ai principi dello Zen Peacemaker Order? Come, per esempio,
il non conoscere conduce a portare testimonianza all'unità della vita
e dunque ad agire?
Di nuovo, se prendi in considerazione il tuo corpo, non dirai: "Queste
mani fanno parte di me". Qualunque concetto tu abbia è un concetto
di separazione, ma riguardo al tuo corpo riconosci che non c'è separazione.
Nello stato di non sapere ti prenderai automaticamente cura delle cose che sorgono;
non c'è separazione.
Se qualcuno
dicesse: "Il mondo va a rotoli, l'ambiente è in grave pericolo,
abbiamo raggiunto il punto di non ritorno, perderemo la battaglia." e se
ci credesse davvero, cosa risponderesti?
Se immaginassi di avere una gravissima malattia, metti un cancro, e vedessi
che va tutto quanto storto nelle cellule del mio corpo, direi: "Bene, accidenti,
sono senza speranza, morirò." È così, ma la mia unica
scelta sarebbe di fare il possibile per migliorare la situazione. È la
risposta naturale: si tratta del nostro corpo. E se davvero facciamo l'esperienza
di noi stessi, ci 'grokkiamo', come fossimo l'intero universo, come puoi contaminare
te stesso? Non puoi. Cominceresti ad occupartene, a prendertene cura. E ritorniamo
alla fede per cui grazie alla realizzazione dell'unità farai il meglio
che potrai senza alcuna aspettativa di guarigione.
In altre parole,
non c'è altro da fare?
Sì, è così che la penso; non ho speranze in un mondo migliore;
non so cosa voglia dire. Voglio dire che il mondo è quello che è
e io farò il mio meglio per guarire quel che posso, per compiere azioni
amorevoli.
Dove pensi che
vada il buddhismo in America?
Mi entusiasma vedere dove si dirige e osservarne lo svolgimento. Il nostro paese
è vario e gli insegnanti occidentali hanno praticato il buddhismo in
diverse culture. La mia pratica principale è lo Zen, ma mi ha influenzato
anche la pratica tibetana e sono molto attratto dalla vipassana. Se osservo
la mia vita, noto che il mio insegnamento utilizza molti diversi indirizzi di
pratica. E in Occidente siamo influenzati dal sufismo, dall'ebraismo, da così
tanti indirizzi diversi. Ed è qualcosa di nuovo.
Molto tempo fa seguii un corso di buddhismo allo UCLA in cui una donna parlò
del buddhismo come della religione dell'assimilazione. Dunque stiamo vivendo
questo periodo di assimilazione e non è chiaro cosa ne nascerà.
Penso che accadrà che i gruppi che sono fortemente allineati con una
tradizione asiatica diventeranno pian piano sempre meno numerosi. E i gruppi
che nasceranno da questa nuova religione occidentale diventeranno sempre più
forti e numerosi. Sarà entusiasmante vedere quali upaya e forme di pratica
ne nasceranno.
Un sacco di
persone sembrano assaggiare le diverse tradizioni come farebbero coi pasticcini.
Altre seguono rigidamente una tradizione. Ne è nato un vero e proprio
self-service ed è facile perdersi. Qualche consiglio?
Di seguire il cuore. Sei a un banchetto, con tanti diversi cibi e dici: "Beh,
cosa scelgo? Sarebbe meglio andare in un locale dove servono, metti, cibo cinese
così saprò cosa prendere."
Questo è un modo e se ti si calza, va bene, dovresti fare così.
Ma puoi anche essere a un banchetto e assaggiare tante cose diverse. Yasutani
Roshi, che è stato uno dei miei maestri, diceva: "Se vai a Tokyo,
troverai dei negozi di tagliatelle giapponesi. Forse centinaia di questi negozi,
tutti con tagliatelle speciali. Ma se vieni nel mio negozio, io ti servirò
le tagliatelle che vuoi tu." Funzionano entrambi i modi. E puoi perderti
in entrambi, puoi bloccarti su una strada o confonderti tra molte. Personalmente,
non temo i banchetti. Mi sono interessato di sufismo, di vedanta e mi sento
a casa con l'ebraismo, mi piace la pratica dei monasteri trappisti. Hanno ampliato
gli orizzonti del mio addestramento di base nello Zen.
Qualsiasi cosa
purché funzioni?
Questo è quello che penso.
E cosa ne pensi
del proliferare degli insegnanti di Dharma? Molti si preoccupano dell'"autenticità".
Ci si preoccupa molto se un insegnante sia qualificato e se gli insegnamenti
siano il "vero Dharma".
Dogen dice che non si può macchiare il Dharma e io ho fede in questo.
Alcuni insegnanti non sono molto preparati e scompariranno. Alcuni sono straordinari
come Shakyamuni e dureranno. Il Dharma si prende cura di se stesso. Sono diventato
molto più liberale su questo argomento. Ci sarà un'autoregolazione.
Cosa vuol dire
quando qualcuno dice di "proteggere il Dharma"?
È molto soggettivo, no? Se Dogen dice che non puoi macchiare il Dharma,
cosa significa proteggerlo? Spesso, quando sento quest'espressione, penso che
in realtà stiano dicendo: "Devo proteggere la mia immagine del Dharma."
Ti sei smonacato
per insegnare come laico. Perché?
C'è un ruolo monastico e c'è un ruolo laico. Monaci e laici hanno
forme diverse di pratica e sono tutte valide. Poiché guardo alla totalità
della vita, vedo che tutte le forme hanno il loro scopo. Quello che non condivido
è che solo i monaci possano illuminarsi. Personalmente, sono interessato
a lavorare con upaya che si rivolgono ai non monaci e penso che è in
questo campo che io sono più efficace. Avrei potuto continuare a lavorare
entro i confini della tradizione del mio insegnante, Maezumi Roshi, ma volevo
rivolgermi a chiunque. Non solo ai monaci, non solo alle persone che arrivano
a uno zendo, ma a tutti.
Nel tuo libro
Bearing Witness dici di aver iniziato come tipo molto solitario. E ora sei conosciuto
da molti, e raramente sei solo.
Cerco di includere tutti, assicurandomi che ci siano anche quelli da cui facilmente
potremmo distogliere lo sguardo. Buffo, no? All'inizio un solitario e ora do
il più grande dei ricevimenti!
Cos'è
successo?
Ho intitolato il mio nuovo libro The Infinite Circle perché questo è
il mio ruolo nella vita: allargare il cerchio, ampliare il nostro spazio di
gioco. Qualunque sia la nostra realizzazione, a qualunque profondità
giungiamo, finiamo coll'inscatolarci di nuovo. Cominciamo a decorare la scatola,
a renderla più bella o più comoda. E poi ci vantiamo con i nostri
amici: "Guarda che vita grandiosa è la mia." Dunque, a me piace
demolire i muri di queste scatole, pur sapendo che sto solo creando una scatola
più grande. La meta è un cerchio infinito in cui è inclusa
ogni cosa. Ed è un lavoro che prende innumerevoli vite, dunque non ho
fretta. (risata)
da Tricycle, inverno 2001
Traduzione di Chandra Candiani
Foto di Peter Cunningham
(1) La memetica (o scienza del meme) è una nuova disciplina
nata da un concetto coniato da Richard Dawkins nel 1976. L'idea, apparentemente
semplice, è che esistano delle unità di trasmissione della cultura,
dette memi. In altri termini, i memi sono le idee che, trasmesse da mente
a mente, acquisiscono una sorta di vita autonoma e manifestano una loro caratteristica
capacità di diffusione e replicazione. Dal punto di vista della memetica,
non è importante quanto un'idea sia vera o profonda, ma come e quanto
si diffonda e si replichi. La forza di un meme, dunque, non deriva dalla sua
verità o bellezza, ma da una serie di altri fattori che sono appunto
l'oggetto di studio della memetica.
Nato a Brooklyn
da una famiglia di immigrati ebrei, Bernie Glassman ha iniziato
lo studio dello Zen con Taizan Maezumi Roshi nel 1967 mentre lavorava
come ingegnere nell'industria aerospaziale. Ricevuta la trasmissione del
Dharma, nel 1980 ha fondato la comunità Zen di New York e più
tardi il Greyston Mandala a Yonkers, New York, un insieme di strutture
che forniscono vari servizi sociali alla popolazione. Insieme alla moglie,
Roshi Sandra Jishu Holmes (1941-1998), nel 1996 ha fondato lo Zen
Peacemaker Order, e poi la Peacemaker Community, un network globale e
multireligioso che integra spiritualità e lavoro per la costruzione
della pace. Nel 2000, ha lasciato l'abito per porre l'accento sulla pratica
laica dello Zen. |