Roberto
Mander
In aggiunta ai gruppi di dialogo
di One by One, a cui partecipano
solo le persone direttamente coinvolte
e che durano alcuni giorni, sono
fiorite anche altre iniziative.
Non a caso alcune di queste persone
sono di professione artisti, musicisti
o altro, da qui la mostra che,
al di là di un valore estetico
che in questa sede direi abbastanza
secondario, è piuttosto
il segno tangibile di un cammino
di trasformazione, di una ricerca
anche di speranza proprio dal
di dentro di un dolore così
pesante, così forte, che
continua a segnare e ad avvolgere
le vite di queste persone anche
a distanza di sessant'anni da
quegli avvenimenti.
Colgo ancora l'occasione per ringraziare
la Casa delle Letterature che
ospita la mostra e l'Assessorato
alle Politiche Culturali del Comune
di Roma che ha reso possibile
la realizzazione dell'intero progetto.
Anche a nome degli amici di One
by One nel darvi il benvenuto
e nel salutare i nostri due ospiti
di questo pomeriggio, ci piace
sottolineare come la mostra funzioni
anche da cornice per altri eventi.
L'esperienza di One by One, dunque,
come contenitore per ulteriori
momenti di riflessione o per dibattiti
o incontri come quello di oggi
su un tema così importante
e specifico.
Sono con noi la dott.ssa Carla
Cohn Robitscher, psicoterapeuta
e sopravvissuta ai campi nazisti
dove ha passato tre anni della
sua vita: Theresienstadt appunto,
Auschwitz e Mauthausen, e Roberto
Olla, giornalista RAI, autore
di pubblicazioni di grande valore
sul tema della Shoah e studioso
degli archivi internazionali.
La particolarità di questa
serata sarà la proiezione
del film, anzi dell'unico spezzone
rimasto del film:"Hitler
regala una città agli ebrei"
voluto dal regime nazista proprio
per disegnare una realtà
diversa da quella che stava invece
tragicamente attuandosi in tutta
l'Europa sotto l'occupazione nazista.
Roberto Olla
Innanzitutto vorrei che questa
non fosse presa come una conferenza
a senso unico, ma che facessimo
tutti insieme, se possibile, un
ragionamento. Perciò se
ci sono delle domande fatele pure
in qualsiasi momento, basta che
alziate la mano.
Vedete, io non sono uno storico,
ma un giornalista prestato alla
storia televisiva. La materia
di cui sono maggiormente esperto
nel campo storico sono le ricerche
negli archivi audiovisivi: effettivamente
credo di aver ormai frugato negli
archivi di tutto il mondo: dalla
Nuova Zelanda, agli USA, all'India.
Però il mio mestiere è
leggermente diverso da quello
dello storico, il mestiere del
giornalista, soprattutto di quello
televisivo, è un mestiere
un po' strano, difficile da spiegare.
Un mestiere che comincia la mattina
con una rapida lettura dei giornali,
perché è una continua
compensazione tra quello che è
uscito sui vari quotidiani e quello
che faremo uscire noi la sera
nei telegiornali.
Così è accaduto
che una mattina, aprendo il Corriere
della Sera, trovassi un piccolissimo
trafiletto a firma di Sebastiano
Vassalli, una grande firma. Leggo
questo trafiletto e mi vengono
in mente una serie di ragionamenti
che ora vorrei rifare insieme
a voi.
Iniziamo intanto con il descrivere
un posto, un posto chiuso, grande,
ma completamente isolato. Entrare
in questo posto è però
un'operazione difficile: bisogna
addirittura offrirsi volontari,
non è semplice avere accesso
a questa struttura chiusa. Dentro
non ci sono né calendari
né orologi, non è
più possibile avere nessun
tipo di contatto con il mondo
esterno. Non si possono avere
giornali, non c'è telefono,
non c'è nessun tipo di
mezzo di comunicazione con l'esterno
e non si possono avere informazioni
che arrivino dall'esterno.
Chi ha realizzato questa struttura
chiusa - vi prego di continuare
a seguirmi in questo ragionamento
- consente di far vedere qualcosa
all'esterno, ma sarà solo
lui a decidere le immagini da
mostrare, secondo una sua regia,
piazzando degli obiettivi in varie
posizioni, e decidendo che cosa
far vedere di quello che succede
dentro la struttura così
ermeticamente chiusa.
Chi sta dentro questo posto chiuso
deve autogestirsi, per il cibo,
per mantenere la pulizia del posto,
per tutti gli aspetti della sopravviventza.
All'interno di questo posto chiuso
ce ne è poi un altro, più
isolato ancora dove chi sta dentro
può comunicare con chi
detiene veramente il potere dell'intera
struttura. Non è semplice,
bisogna avere determinate autorizzazioni,
ma chi riesce ad entrare può
comunicare con chi detiene il
potere. Chi gestisce questo potere
però controlla minuto per
minuto, 24 ore su 24 ore, che
le regole che lui ha dato siano
rispettate, soprattutto le regole
di non comunicazione tra struttura
chiusa ed esterno.
Chi ha il potere, chi ha organizzato
tutto questo può, anzi
ordina, che vengano fatte delle
cose: per esempio, che venga preparata
l'esecuzione di un brano musicale,
di una canzone, di un balletto,
o anche delle cose completamente
inutili, come fare ginnastica,
correre sul posto, cose completamente
campate per aria. Da questo posto
in continuazione qualcuno deve
essere eliminato e devono essere
le stesse persone che stanno chiuse
a fare i nomi di quelli da eliminare,
ovviamente questo crea delle dinamiche,
delle relazioni interpersonali
portate al parossismo e all'eccesso.
Che posto vi ho descritto? Vi
ho descritto la struttura spolpata
dal tempo e dallo spazio dell'area
di Terezin.
Questo mi è venuto in mente
leggendo il trafiletto di Sebastiano
Vassalli a proposito del "Grande
Fratello" sul Corriere della
Sera del 30/9/00 e mi sono chiesto:
quando Primo Levi in tutti i modi
ci ha mandato questo messaggio:
"Attenzione, può tornare",
cosa voleva dirci? Voleva dirci
che torneranno quelli con le svastiche
e il braccio teso? Sì,
voleva dirci anche questo, però
bisogna dire che da questo tipo
di ritorni siamo un po' tutti
vaccinati anche perché
li riconosciamo subito. Probabilmente
c'è qualcosa di più,
di cui bisogna stare attenti e
questo è l'appello che
ci ha lanciato Sebastiano Vassalli.
Ahimè, poveraccio, anche
a lui hanno dato poche righe,
figuratevi gli spazi che possono
dare agli altri!
Sono due i messaggi di Primo Levi
che più mi hanno messo
in crisi. Il primo era questo,
ho passato tanti anni a chiedermi:
" Ma come può tornare?
È impossibile che possa
tornare". E l'altro era:
"Non chiedetevi perché".
Devo dire che ho commesso l'errore
di chiedermi perché e sono
andato a sbattere contro una serie
di risposte tutte giustificazioniste,
e allora ho capito che forse ci
vorranno ancora un paio di generazioni
prima che ci si possa chiedere:
"Perché?" Deve
maturare qualcosa che non abbiamo
ancora capito.
Che cosa succede dietro lo schema
che vi ho descritto e che corrisponde
all'area di Terezin? Terezin è
l'altra faccia di una stessa medaglia,
l'altra faccia di Auschwitz, della
soluzione finale. La faccia meno
conosciuta e più pericolosa.
È chiaro che chi conosce
e studia la Shoah sa benissimo
di cosa sto parlando e sa benessimo
cosa è Terezin. Ma a livello
di grande divulgazione - che è
il mio problema nella comunicazione
- se dico la parola Terezin non
ottengo niente, silenzio più
totale. Terezin è a 200
km da Auschwitz. Terezin è
il più importante momento
di copertura della Shoah impostato
dagli stessi nazisti; il rastrellamento
nei migliori teatri di Europa
dei più grandi cantanti,
dei più grandi musicisti,
dei più grandi direttori
di orchestra. A Terezin c'era
probabilmente la più alta
percentuale di medici pensabile
in Europa in quel momento, perché
i più grandi professionisti
e medici ebrei furono tutti inviati
a Terezin. Si pensava che a Terezin
si sopravvivesse di più:
gravissimo errore. Ecco perché
ci si offriva addirittura volontari
per andare a Terezin. Grandissimo
errore: Terezin era perfettamente
integrato nella struttura dei
lager per la soluzione finale.
Talmente integrato che ancora
oggi, andando a parlare non con
persone che non sanno niente,
ma con studiosi della Shoah mi
sento dire: "Ah, i privilegiati
di Terezin!" Quando ho sentito
queste parole, mi sono detto:
"Bene, andiamo avanti con
il ragionamento, proviamo a fare
un ulteriore passo più
avanti".
Kurt Gerron, famoso regista che
aveva lavorato nell'Angelo Azzurro
con Marlene Dietrich, viene catturato,
dopo che era scappato e si era
rifugiato in Olanda quando quel
paese viene invaso. A Kurt Gerron
viene imposto di girare il film
di cui ora vedremo uno spezzone:
"Hitler regala una città
agli ebrei".
È un filmato difficile
da vedere, noi adesso lo vedremo
insieme, però dopo la testimonianza
di Carla Cohn Robitscher. Tutte
le facce che compaiono in questo
filmato e il regista Kurt Gerron,
appena finito il film, vengono
inviati ad Auschwitz dove non
vengono nemmeno marchiati con
il numero sul braccio e mandati
subito alle camere a gas. Perché?
Perché la realtà
venga sostiuita dal filmato. Se
avessero vinto i nazisti, gli
ebrei sarebbero stati, almeno
in Europa, un popolo estinto.
Certo, in un angolo di museo ci
sarebbero state delle testimonianze
dell'epoca tra cui anche che gli
era stata data addirittura una
città. A Terezin fanno
arrivare la Croce Rossa e viene
riverniciato tutto, vengono fatti
'arrivare' da tutta Europa esperti
giardinieri ebrei per mettere
su dei giardini e dei falegnami
per fare dei mobili in maniera
che sembri che ci siano degli
appartamenti arredati. La testimonianza
di un falegname danese sopravvisuto
- solo i danesi riuscirono a sopravvire
come comunità a Terezin
- dice: "Per fare i mobili
avevo usato della legna fresca
e poi li avevo verniciati con
della vernice fresca, sperando
che la Croce Rossa lo notasse,
che sentisse l'odore di legna
fresca e chiedesse il perché.
Invece non è successo niente,
sono passati dritti".
Terezin è una grande recita
di copertura che arriva fino ai
nostri giorni . Il negazionismo
che ci affligge come corrente
storica da combattere nelle sue
varie forme, più o meno
grossolane, più o meno
raffinate, non nasce nel dopoguerra,
ma nasce già allora e nasce
impostato con un'astuzia diabolica.
La sostituzione è un meccanismo
della comunicazione pubblicitaria
più avanzato di quanto
c'è oggi: la sostituzione
della realtà con il messaggio
televisivo, con le immagini. E
questa operazione riescono a svolgerla
a un livello tale che ancora oggi
c'è chi non ci crede e
continua a circolare l'idea dei
privilegiati di Terezin: il privilegio
di suonare, di fare un concerto
e di salire sul treno per arrivare
direttamente alle camere a gas!
Questa è la realta di Terezin,
per non parlare dei 100 morti
in media per malattia o inedia
al giorno.
Carla
Cohn Robitscher
Ciò che mi colpisce è
che io che sono stata lì
per due anni pensavo di essere
stata nel ghetto per priviligiati
ed è stato Roberto Olla
a dirmi come stavano le cose:
io non lo sapevo. Ecco fino a
che punto è arrivato l'inganno
del "villaggio Potemkin":
perfino noi che eravamo là
ci abbiamo creduto!
Nella realtà dei fatti
Terezin era diventato un campo
di transito per Auschwitz-Birkenau.
A Terezin 15.000 bambini di meno
di 15 anni sono stati tolti ai
loro genitori e trasportati ad
Auschwitz per essere uccisi. Meno
di 100 bambini hanno potuto sopravvivere
ad Auschwitz, ed io sono una di
loro.
Sono stata molto ammalata a Terezin
(encefalite, tifo), tutti ci ammalavamo,
però parlo di privilegio
perché se fossi stata ad
Auschwitz sarei finita nella camera
a gas, mentre a Terezin mi curarono
dei medici cechi. Mio padre che
era un avvocato e un musicista
aveva avuto il privilegio di fare
il portatore di patate. Barattandole
riuscì ad avere le medicine
per me.
La città di Terezin era
una vecchia fortezza dei tempi
di Maria Teresa, poco distante
da Praga. Per quanto potei constatare
a prima vista, il posto sembrava
meno terribile di quello che avevo
immaginato. Non c'era un crematorio
visibile e non si vedevano le
SS.
Io avevo già sentito parlare
delle camere a gas e quindi sapevo,
ma c'era anche chi non voleva
sapere. Dobbiamo considerare anche
la cosiddetta difesa psicologica:
per salvarsi a volte uno deve
negare anche a se stesso. E su
questo non solo i nazisti, ma
anche i capi anziani ebrei, hanno
scelto di negare perché
volevano evitare il panico. C'è
stato un intreccio veramente diabolico
creato dalla macchina propagandistica
di Goebbels utilizzato anche a
Terezin quando diventò
un "villaggio Potemkin".
L'attività a Terezin divenne
febbrile quando fu deciso lo "Stadtverschoenerung",
l'abbellimento della città.
Apparvero dei negozi, una banca,
asili nidi, un parco giochi, un
caffè, ed una scuola la
quale però aveva un cartello
esposto: "chiusa per ferie".
La "città" fu
decorata persino con dei giardini
fioriti.
Ci furono dati i soldi del ghetto,
nuovi di zecca, con la data dell'1/1/43,
firmati da Jacob Edelstein, il
capo anziano degli ebrei. I biglietti
recavano la scritta da 1, 5, 10,
50 e 100 Kronen (corone) da un
lato, e una caricatura di Mosè
che tiene le tavole dei 10 comandamenti,
sull'altro.
Nei negozi e sulle bancarelle
c'erano in bella mostra scatole
di zuppe, dadi da brodo, e scatolette
di sardine, ma in realtà,
non si poteva comprare nulla con
i nostri soldi nuovi.
Oltre al caffè, furono
costruiti anche un teatro e una
sala da concerto. A mio padre
fu dato l'ordine di organizzare
un quartetto. Da qualche parte,
probabilmente da uno dei trasporti
in arrivo, apparvero gli strumenti.
La sala fu preparata per il concerto.
L'ultimo volta che ho sentito
mio padre con il "Cohn Quartett"
suonavano il quartetto di Borodin,
davanti ad un pubblico di prigionieri
malridotti e affamati.
Non saprò mai come mio
padre sia riuscito a suonare.
Da due anni non aveva più
potuto esercitarsi, le suoi mani
erano piene di calli e rovinate
dal dover portare patate.
Nel "ghetto" in breve
divenne palese che tutto l'abbellimento
della "città"
e i preparativi alla Potemkin
non solo dovevano camuffare i
trasporti ormai quotidiani, ma
allo stesso tempo servire anche
per l'annunciata ispezione della
Croce Rosse Internazionale e per
il film di propaganda che venne
girato subito dopo l'ispezione.
Alcuni bambini dovettero partecipare
alle poche scene girate dentro
il ghetto con pochi altri prigionieri
ancora in salute. Il resto del
film fu girato al di fuori, con
attori e comparse ben nutriti
e ben vestiti, intenti al loro
lavoro nelle fabbriche.
Fra breve vedremo insieme ciò
che rimane del film "Hitler
schenkt den Juden eine Stadt"
(Hitler regala una città
agli ebrei). Mi ricordo chiaramente
di aver visto alcuni bambini mentre
venivano istruiti a dire al comandante
Rahm, davanti alle macchine da
presa: "Ancora ciliege, zio
SS". C'era pure una variazione
sul tema: "Ancora sardine"
mentre si girava di fronte ad
un 'negozio' con delle ciliegie
e scatolette di sardine in bella
mostra. Ovviamente, non c'erano
mai state ciliegie o sardine per
noi, né da comprare e tanto
meno da mangiare. La mostra di
ciliegie per le riprese probabilmente
era fatta di cera.
Comunque sembra che il 'villaggio
Potemkin' abbia ottenuto l'effetto
desiderato: la commissione della
Croce Rossa ripartì soddisfatta,
avendo notato soltanto l'affollamento
nella "città regalata
agli ebrei".
Invece a Terezin l'unico tema
di cui si parlava e a cui si pensava
erano i trasporti e le liste con
i nomi di coloro che dovevano
essere deportati ad Auschwitz.
Ma noi lo sapevamo. Le chiacchiere
bisbigliate dappertutto dicevano
che i cosidetti "trasporti
al lavoro" significavano
le camere a gas.
Anche Jacob Edelstein, il primo
capo degli anziani da quando Terezin
fu aperta nel dicembre '41 fino
al novembre '43 fu spedito ad
Auschwitz. Edelstein fu accusato
d'aver falsificato le liste dei
trasporti per poter salvare alcuni
prigionieri. Ad Auschwitz rimase
in una cella di punizione fino
al giugno '44 quando fu fucilato
dopo essere stato costretto ad
assistere all'uccisione di sua
moglie e suo figlio.
Nel 1944, la "promessa"
protezione della Croce di Ferro
non servì piu a salvare
mio padre: il 28 settembre fu
trasportato ad Auschwitz.
Recentemente Roberto Olla mi ha
fatto vedere ciò che rimane
del film di Terezin in una proiezione
privata. Con orrore e sconcerto
totale, mi sembrò di aver
riconosciuto mio padre fra i musicisti
mentre suonano in un concerto
davanti alle cineprese. Non ero
in grado di fidarmi di ciò
che avevo davanti agli occhi.
Roberto fermò il film per
poterlo rigirare un'altra volta.
Sembrava essere mio padre, anche
se quasi irriconoscibile, malridotto,
con un'espressione terribile che
gli storceva la faccia.
Per avere la certezza assoluta,
Roberto mi promise di confrontare
la scena del film con le fotografie
che avevo avute dopo la guerra.
Era mio padre.
La mia totale incredulità
era dovuta al fatto che non potevo
assolutamente ricordare di aver
mai piu sentito mio padre suonare
dopo quella volta con il quartetto
di Borodin. Naturalmente ero covinta
che dipendesse dalle lacune della
mia memoria, ma non era come pensavo.
Dopo le dovute ricerche, Roberto
Olla mi spiegò che i musicisti
erano stati costretti a suonare
dopo essere stati sequestrati
in gran segreto nella sala da
concerto. Appena finite le riprese
del concerto, tutti i musicisti
che avevano dovuto suonare, furono
spediti ad Auschwitz. Nessun testimone
dell'inganno poteva sopravvivere.
Fino a quel momento io sapevo
soltanto che tutti gli "attori"
del film erano stati trasportati
appena finite le riprese.
Le chiarificazioni di Roberto
Olla mi servirono anche a capire
che avevo sbagliato a pensare
che la mancata "protezione"
della croce di ferro fosse stata
la causa del trasporto di mio
padre. La verità, invece,
era che nessun testimone del film
di propaganda doveva sopravvivere.
Pochi giorni dopo la deportazione
di mio padre, venne il mio turno
e lo seguii ad Auschwitz ancora
piena di speranze di rivederlo.
Non lo rividi mai più.
Ora vorrei leggervi una poesia
molto bella di una bambina, nata
nel 1929 e morta nel 1943 ad Auschwitz,
si intitola:"La Paura"
Di
nuovo l'orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia
ogni altro,
la morte, demone folle, brandisce
una gelida falce che decapita
intorno le sue vittime.
I cuori dei padri battono oggi
di paura e le madri nascondono
il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i
bambini e preleva le sue decime
dal branco.
Oggi il mio sangue pulsa ancora
ma i miei compagni mi muoino accanto,
piuttosto di vederli morire vorrei
io stessa trovare la morte.
Ma no! Dio mio noi vogliamo vivere,
noi non vogliamo vuoti nelle nostre
file, il mondo è nostro
e noi vogliamo migliorare.
Vogliamo fare qualcosa.
È vietato morire!
Roma,
7 febbraio 2001