Progetto
Alice
Sarnath, dicembre 1999
Cari
amici,
quest'anno, come foto simbolo, abbiamo scelto questa
maternità. Si tratta di una madre del villaggio
dove abbiamo aperto proprio in questi giorni la seconda
scuola per bambine e donne analfabete. Non esiste
rispetto per il 'femminile' in India: nazione in cui
la moglie deve, praticamente, comprare il proprio
marito ed è spesso costretta dalla tradizione
a subire ogni tipo di violenze e umiliazioni da parte
dei maschi.
Il diritto allo studio è un privilegio dei
maschi. Circa il 95% delle donne dei villaggi in cui
operiamo sono analfabete; moltissime sono vittime,
oltre che della povertà, anche di violenza
e degrado morale causati dall'alcoolismo dei mariti.
Questo il quadro drammatico che si presenta all'operatore
sociale che si avventura nelle aree poco lontano dai
circuiti percorsi dai lussuosi bus ad aria condizionata
per i ricchi turisti occidentali.
Non potevamo chiudere gli occhi davanti a questo dramma
che coinvolge anche le mamme dei nostri studenti.
Così, accanto alla sperimentazione, abbiamo
aggiunto un nuovo obiettivo: lavorare per riportare
il sorriso sul volto della madre-simbolo della foto.
Questo sarà il nostro-vostro Natale, cari amici:
un corso di cucito per le bambine senza speranza,
una lezione di hindi per le eroiche donne di Singhpur
e Patherva, per insegnare a leggere non solo le notizie
del giornale e i documenti relativi alle loro misere
proprietà, ma anche a leggere dentro di loro,
per trovare all'interno della propria anima di donne
sfruttate e umiliate una dignità e rispetto
che non sono mai stati riconosciuti loro. Forse potranno
imparare a leggere i misteri del cuore e capire il
messaggio del nostro Natale cristiano: ogni essere
umano è uguale agli occhi del Padre, per il
quale non esiste divisione tra ricchi e poveri, uomini
e donne, brahmini e sudra (fuori casta). Anzi, il
povero pare avere una chance in più rispetto
al ricco nell'incontrare Dio. Consapevoli dei nostri
limiti, vorremmo tentare di facilitare un pochino
il contatto con la Divinità, nella convinzione
che questo sia il metodo migliore per aiutare i fratelli.
Sarà il nostro Buon Natale.
E gli altri progetti? Proprio nei giorni scorsi discutevo
con Luigina circa il futuro della nostra scuola.
Luigina da sempre cerca di frenare il mio entusiasmo
e di riportarmi con i piedi per terra, a fare i conti
con la realtà. Non è contraria all'espansione
della scuola, ma insiste per la gradualità
e per la pazienza.
"Ci vorrebbero, ha detto, almeno dodici aule
per essere al completo!".
"Non dodici, ma quattordici. Hai dimenticato
le due classi della scuola materna!", ha sorriso
Luigina.
Sapevo quello che le stava passando per la testa:
"Questo qui non lo ferma più nessuno!".
Rifeci un po' di calcoli. Passai in rassegna la mappa
delle aule già costruite e arrivai a quota
9. Mancano, quindi, altre cinque aule!
"E pensare che avevamo deciso di fermarci alla
quinta elementare!", ha osservato Luigina. Questo,
infatti, era stato il nostro primo obiettivo quando
iniziammo, nel 194, il Progetto Alice. Volevamo sperimentare
il nostro metodo nell'intero ciclo della scuola elementare,
"per vedere se funzionava".
Per cinque anni abbiamo lavorato e sperimentato, e
l'anno scorso abbiamo festeggiato la fine del quinquennio.
I risultati sono incoraggianti. Ora possiamo provare
quello che stiamo dicendo da anni. Il limite della
nostra ricerca in Italia era proprio questo: la mancanza
di prove oggettive, di una ricerca scientifica e,
soprattutto, la mancanza di confronti tra i nostri
studenti e quelli di altre scuole non coinvolte nel
progetto sperimentale.
"Come potete dimostrare la validità della
vostra proposta educativa?", ci veniva spesso
chiesto. Nel passato potevamo solo presentare i nostri
video e la documentazione scritta in nostro possesso
(compiti dei ragazzi), ma si trattava di materiale
insufficiente per dimostrare la validità del
metodo.
La decisione di lavorare a Sarnath fu presa soprattutto
per avere la possibilità di compiere una ricerca
di lunga durata, in modo serio, con l'appoggio del
mondo accademico per non sbagliare e per documentare
i risultati, in positivo o in negativo.
Cinque anni sono passati in fretta. Sono stati anni
difficili perché abbiamo dovuto fare tutti
da soli: dai programmi, ai libri, alle storie, all'acquisto
del terreno, alla costruzione delle aule, alla cura
dei bambini ammalati, al rapporto con le autorità
locali, allo scontro con la terribile burocrazia indiana,
alla ricerca dei fondi... Ci siamo praticamente inventati
la scuola.
Sei anni fa, sul terreno dove ora sorge un dignitoso
complesso edilizio che può ospitare circa trecento
alunni, c'era un campo di grano!
I volontari erano soltanto due, sostenuti dalla...
follia del loro sogno e dalla fiducia nella validità
di quanto proponevano. Non conoscevamo la lingua,
il nostro inglese era alquanto 'venetizzato'; eravamo
all'oscuro dei trabocchetti delle leggi indiane circa
la proprietà, gli stranieri, le società.
Non trovammo testi di didattica adattati alla psicologia
dei bambini indiani. L'unico modello che ci veniva
proposto era la scuola statale (e anche privata) dove
la disciplina si tiene a suon di bacchettate e di
punizioni crudeli.
Abbiamo inventato tutto, si diceva. Inventato non
solo un metodo educativo, delle storie, delle canzoni,
delle preghiere, ma anche un modo di stare assieme
ai bambini e agli insegnanti indiani.
Dopo cinque anni, avremmo potuto chiudere la ricerca
e finire... in gloria il progetto, visti i risultati
dei test e degli esami di fine ciclo, ma non l'abbiamo
fatto, perché abbiamo pensato che un metodo
educativo deve essere giudicato in un lungo arco di
tempo. È relativamente facile lavorare con
i bambini della scuola elementare. Quale l'impatto
del progetto Alice con gli adolescenti della scuola
media e della scuola superiore?
"Visto che ci siamo", abbiamo pensato, "perché
non continuare la nostra ricerca fino al liceo?".
La decisione di continuare comporta una serie di nuovi
problemi di tutti i tipi: finanziari, prima, e poi
organizzativi, didattici, educativi, amministrativi,
burocratici.
La posta in gioco, però, è alta: il
futuro delle nuove generazioni di studenti. Stiamo
sperimentando una metodologia e delle tecniche che
potrebbero aiutare gli insegnanti e i genitori a risolvere
alcuni dei problemi educativi del nostro tempo (aggressività,
irrequietezza, indisciplina, mancanza di attenzione,
ansietà, deficit di memoria, egocentrismo,
narcisismo, omologazione dei giovani ai modelli fatui
proposti dalla moda, la mancanza di responsabilità
e autonomia).
Aiutarci, dunque, significa non solo dare un futuro
a quasi trecento studenti indiani (tanti sono oggi
gli alunni del Progetto Alice), ma significa anche
aiutare, indirettamente, i bambini italiani e quelli
di altri paesi che sono educati secondo i principi
e la filosofia del nostro progetto.
Significa anche altre mille piccole cose: la vita
salvata di un bambino denutrito del villaggio, le
medicine a un ammalato di tubercolosi, una coperta
a un povero per difendersi dal freddo dell'inverno
indiano, la scuola per le donne e bambine nei villaggi...
Tutto questo è possibile grazie alla generosità
e sensibilità dei tanti amici sponsor. Abbiamo
scelto di non nominarli per non correre il rischio
di dimenticarne qualcuno. Nel ringraziarli tutti per
l'aiuto e il sostegno che continuano a offrirci, garantiamo
che la loro generosità sarà... investita
in iniziative destinate a restare e che possono essere
verificate in ogni momento.
Invitiamo i nostri amici a venire, se possibile, a
visitare la scuola, anche senza preavviso. Troveranno
gli studenti anche nei giorni di vacanza, e perfino
la domenica.
Valentino Giacomin e Luigina De Biasi
Sarnath è un punto sulla carta dell'India
presso la città sacra di Benares. Alice
invita a Sarnath chiunque voglia dare una mano:
insegnanti, muratori, falegnami, elettricisti
mentre dall'Italia si possono coinvolgere insegnanti
e studenti e chiunque altro possa raccogliere
e inviare fondi o altri aiuti (vestiario, materiale
didattico, giochi). |