Come
fare per costruire una comunità basata sull'amore
Intervista di Bell Hooks a Thich Nhat Hanh
Bell Hooks ha attraversato i movimenti degli anni settanta e ottanta con ancora nel cuore l'insegnamento di Martin Luther King, senza smettere mai di seguire un cammino guidato dall'amore. Scrive tra l'altro nell'articolo che introduce l'intervista che pubblichiamo integralmente: "Il messaggio di Luther King sull'amore come cammino per mettere fine al razzismo e per guarirne le ferite fu rimpiazzato da un movimento per il potere nero che incitava alla resistenza militante. Mentre Luther King aveva fatto appello alla nonviolenza e alla compassione, il nuovo movimento ci esortava a indurire i nostri cuori e a muovere guerra contro i nostri nemici. Amare i nemici, ci ripetevano i nuovi leader, non fa altro che renderci più deboli e facilmente manipolabili e di conseguenza molti voltarono le spalle al messaggio di Luther King.(...) Anche il movimento delle donne criticò l'amore e invitò le donne a dimenticarlo in modo da poter prendere il potere.(...) Questi due movimenti per la giustizia sociale che erano entrati nei cuori e nell'immaginazione dei nostri movimenti e che erano nati da un'etica dell'amore erano stati trasformati da leader molto più interessati alle questioni del potere. Alla fine degli anni settanta, non era più necessario mettere a tacere le discussioni sull'amore, il tema non veniva più toccato in nessun ambiente progressista".
Bell
Hooks:
Ho cominciato a scrivere un libro sull'amore perché
sentivo che gli Stati Uniti se ne stanno allontanando.
Il movimento per i diritti civili è stato un
movimento così straordinario per la giustizia
sociale proprio perché era fondato sull'amore,
sull'amare tutti. Si basava sulla convinzione che
è sempre possibile ricominciare da capo, praticare
il perdono, proprio come ci hai insegnato tu ieri:
non devo odiare nessuno, perché si può
sempre ricominciare, riconciliarsi. Quello che sto
cercando di capire è perché ci stiamo
allontanando da questa idea di una comunità
fondata sull'amore.
Che cosa pensi dei possibili motivi per cui le persone
si allontanano dall'amore? E come si può fare
qualcosa per riavvicinare all'amore la nostra società?
Thich Nhat Hanh: Nel nostro sangha buddhista
la comunità è il nucleo di ogni cosa.
Il sangha è una comunità dove dovrebbero
regnare armonia, pace e comprensione. E questo è
un frutto della nostra vita quotidiana in comune.
Se c'è amore nella comunità, se siamo
stati nutriti dall'armonia che vi regna, non ci allontaneremo
mai dall'amore.
C'è qualcosa, però, che può farci
perdere tutto questo, ed è il guardare costantemente
al di fuori di noi, con l'idea che l'oggetto o il
motore dell'amore siano all'esterno. Così facendo,
lasciamo che ci sfuggano l'amore, l'armonia e la piena
comprensione. Questa è la cosa più importante,
secondo me. Perciò dobbiamo tornare alla nostra
comunità e rinnovarla. In questo modo l'amore
potrà riaffermarsi, e così pure la comprensione
e l'armonia. Questa è la prima cosa.
La seconda, è che noi stessi abbiamo bisogno
d'amore, non solo la società o il mondo esterno.
Ma anche qui non possiamo aspettarci che l'amore arrivi
dall'esterno.
Dobbiamo domandarci se siamo capaci di amare noi stessi,
oltre che gli altri: trattiamo amorevolmente il nostro
corpo, nel modo in cui mangiamo, beviamo e lavoriamo?
Trattiamo noi stessi con sufficiente gioia, tenerezza
e pace? Oppure ci nutriamo delle tossine che ci procura
il mercato dello svago spirituale e intellettuale?
Ciò che dobbiamo chiederci è se stiamo
praticando l'amore verso noi stessi, perché
amare noi stessi significa amare la nostra comunità.
Se solo riusciamo ad amare noi stessi, a nutrirci
correttamente, a non intossicarci, stiamo già
proteggendo e nutrendo la società. Perché
nel momento in cui riusciamo a sorridere, a guardare
a noi stessi con compassione, il nostro mondo comincia
a cambiare. Potremmo anche non aver fatto nulla, eppure
quando siamo rilassati, in pace, quando siamo capaci
di sorridere e di non guardare al sistema con aggressività,
nel mondo si è già prodotto un mutamento.
Dunque il secondo suggerimento, il secondo insight,
è che non c'è alcuna reale separazione
tra il sé e il non-sé. Qualunque cosa
fai per te stesso la fai allo stesso tempo per la
società. E qualunque cosa fai per la società
la fai anche per te stesso. Nella pratica del non-sé
questo insight emerge in modo dirompente.
BH: Penso che uno dei libri più straordinari
scritti da Martin Luther King è Strenght
to Love ("La Forza di Amare"). Mi è
sempre piaciuto a causa della parola 'forza', che
va contro l'idea occidentale dell'amore come una cosa
facile. Al contrario, Martin Luther King diceva che
per amare bisogna avere coraggio, e la determinazione
assoluta di fare quello che è giusto, e aggiungeva
che questo non è affatto facile.
TNH: Martin Luther King è stato tra
noi come un fratello, un amico, un leader. Era capace
di mantenere vivo quell'amore. Entrare in contatto
con lui significava entrare in contatto con un bodhisattva,
perché la sua capacità di comprensione
e di amore era così grande da contenere tutto.
Lui ha provato a trasmettere il suo insight
e il suo amore alla comunità, ma forse non
lo abbiamo recepito abbastanza. Stava provando a trasmetterci
le cose migliori - la sua bontà, il suo amore,
la sua non-dualità. Ma noi ci siamo troppo
aggrappati a lui come persona e non siamo riusciti
a portare l'essenza del suo insegnamento nella nostra
comunità. E adesso che non è più
tra noi ci sentiamo perduti. Dobbiamo essere consapevoli
che l'essenza di ciò che ci stava trasmettendo
non era il potere, l'autorità, la posizione,
ma piuttosto il Dharma, e cioè l'amore.
BH: Proprio così. La sua non è
stata una trasmissione di personalità, e uno
dei motivi per cui ho cominciato a scrivere sull'amore
è stata proprio la sensazione, come hai detto
tu, che la nostra cultura stava dimenticando il suo
insegnamento. Sempre più strade e scuole vengono
intitolate a Martin Luther King, ma questo conta poco:
ciò che di lui deve essere ricordato è
proprio la forza di amare.
È dall'energia del suo amore, e non dalla sua
immagine, che dobbiamo attingere il coraggio. E questo
non è affatto semplice, in una cultura come
quella occidentale, votata al culto dell'immagine
e della personalità. Ad esempio, il fatto che
io abbia imparato così tanto da te, in tanti
anni della mia vita, induce molti a domandarmi se
ti ho mai incontrato di persona.
TNH: (ride): Sì sì, capisco.
BH: E io rispondo: sì, certo che l'ho
incontrato, mi ha trasmesso amore attraverso i suoi
insegnamenti e la pratica della consapevolezza.
Ho provato più volte a spiegare ai miei interlocutori
che certamente avrei avuto piacere ad incontrarti
un giorno, ma che quello che conta è che vivo
e imparo dal tuo insegnamento.
TNH: Certo. Questa è l'essenza dell'interessere.
Ci siamo già incontrati proprio nel non-inizio
(ride): inizio desiderato, inizio fortunato!
BH: Però tu ci hai anche insegnato che
trovarsi in presenza del proprio maestro rappresenta
a volte un momento di trasformazione. E allora le
persone si chiedono: è sufficiente aver appreso
i suoi insegnamenti dai libri, oppure bisogna conoscerlo,
avere con lui un vero e proprio incontro?
TNH: In realtà, il vero maestro è
dentro di noi. Un buon maestro è qualcuno che
può aiutarti a tornare a te stesso e a entrare
in contatto con il vero maestro dentro di te, perché
in te l'insight è già presente.
È ciò che nel buddhismo chiamiamo buddhità,
o natura di Buddha. Non abbiamo bisogno di qualcuno
che trasferisca in noi la buddhità, ma forse
avremo bisogno di un amico che sappia aiutarci a entrare
in contatto con quella qualità di risveglio
e comprensione che agisce dentro di noi.
Dunque un buon maestro è colui che sa aiutarci
a ritrovare il maestro dentro di noi. E per far questo
può agire in modi molto diversi, anche senza
mai incontrarci di persona. Io mi rendo conto di avere
tanti buoni allievi che non ho mai incontrato. Molti
vivono in un monastero e non escono mai, altri sono
in prigione, eppure in molti casi praticano gli insegnamenti
meglio di coloro che mi incontrano ogni giorno. È
proprio così: quando queste persone leggono
un mio libro o ascoltano una registrazione, e in questo
modo entrano in contatto con l'insight che
è dentro di loro, allora mi hanno veramente
incontrato. È questa l'essenza del vero incontro.
BH: Secondo te, come possiamo imparare ad amare
un mondo pieno di ingiustizia, più che unendoci,
come facciamo di solito, con persone che condividono
con noi il colore della pelle o la lingua? Ti rivolgo
questa domanda perché il mio primo contatto
con te è stato tramite Martin Luther King,
che rendeva omaggio alla tua compassione verso coloro
che avevano ferito il tuo paese.
TNH: È un argomento davvero interessante.
Una questione che fu molto importante per il Buddha
stesso. La nostra visione della giustizia dipende
dalla nostra pratica del guardare in profondità.
Potremmo pensare che la giustizia consiste nell'uguaglianza,
nell'avere gli stessi diritti e nel condividere le
stesse opportunità. Ma forse non abbiamo avuto
occasione di guardare alla natura della giustizia
in termini di non-sé. Quella concezione della
giustizia si basa sull'idea del sé, eppure
sarebbe molto interessante esplorare il concetto di
giustizia in termini di non-sé.
BH: Credo che questo fosse proprio il tipo
di giustizia di cui parlava Martin Luther King, una
giustizia valida per tutti, al di là dell'uguaglianza
tra i singoli individui. A volte nella vita non c'è
uguaglianza o parità, e allora che senso si
può dare al concetto di giustizia laddove non
c'è uguaglianza? Eppure un genitore può
essere giusto nei confronti di un figlio, anche se
tra loro non c'è parità. Mi sembra che
in Occidente esista questo equivoco, cioè le
persone pensano che non può esserci giustizia
se non c'è totale uguaglianza. Anche per questo
sento che dobbiamo imparare a ripensare l'amore: pensiamo
all'amore troppo in termini di sé.
TNH: È possibile la giustizia senza
uguaglianza?
BH: Penso di sì, la giustizia è
possibile senza uguaglianza, grazie alla compassione
e alla comprensione. Con la compassione, anche se
io ho più di te, e quindi non siamo uguali,
mi comporterò con te in modo giusto.
TNH: Vero. Ma chi ha creato la disuguaglianza?
BH: Beh, credo che la disuguaglianza sia nelle
nostre menti. Questo, penso, è ciò che
impariamo attraverso la pratica. Nel libro The
Raft is not the Shore, uno dei concetti di cui
hai parlato con Daniel Berrigan è che il ponte
dell'illusione deve essere distrutto perché
si possa costruire un vero ponte. Una delle cose che
impariamo è che la disuguaglianza è
un'illusione.
TNH: Mi sembra sensato (ride).
BH: Per tanto tempo, prima di venire qui, mi
sono scontrata con il problema della rabbia che provo
verso il mio ex-fidanzato. Ho preso i voti da bodhisattva,
e quindi mi sento sempre molto avvilita quando provo
rabbia. Ero arrivata alla disperazione per la grande
difficoltà che avevo verso questa mia rabbia.
Perciò il tuo discorso di Dharma di ieri, a
proposito dell'abbracciare la nostra rabbia e dell'usarla,
per poi lasciarla andare, è stato davvero fondamentale
per me in questo momento.
TNH: Vuoi essere umana? Dunque arrabbiarsi
è normale. Quello che non va è non praticare.
Provare rabbia è una cosa umana. Imparare a
sorridere alla tua rabbia e a farci pace è
molto bello. Il significato della pratica, dell'imparare,
è tutto qui. Prestando attenzione alla tua
rabbia, puoi trasformarla nel tipo di energia di cui
hai bisogno - comprensione e compassione. L'energia
positiva si ottiene dall'energia negativa. Un fiore,
per quanto bello, un giorno diventerà concime,
ma se sai come trasformare il concime di nuovo in
un fiore, allora non avrai da preoccuparti. Così
non devi preoccuparti della tua rabbia, perché
sai come trattarla: abbracciandola, riconoscendola
e trasformandola. Questo è quello che si può
fare.
BH: Penso sia proprio in questo che le persone
fraintendono le parole di Martin Luther King quando
ci dice di amare il nostro nemico. Credono che lui
si limitasse a ripetere una stupida formuletta, invece
quello che lui intendeva era che noi neri americani
abbiamo bisogno di lasciar andare la nostra rabbia,
perché aggrappandoci ad essa ci precludiamo
ogni cambiamento. Aggrappandoci alla rabbia ci auto-opprimiamo.
I miei studenti mi dicono: noi non vogliamo amare,
siamo stanchi di essere amorevoli. E io gli rispondo:
se siete stanchi di essere amorevoli vuol dire che
non lo siete stati veramente, perché quando
si ama si ha più forza. Come ci dicevi ieri,
l'atto di amare ci rende più forti. Penso che
per noi neri americani questo fatto di non riuscire
ad amare i nostri nemici sia stata una cosa molto
dolorosa. Le persone dimenticano la grande tradizione
che abbiamo, come afro-americani, nella pratica del
perdono e della compassione. E trascurando questa
nostra tradizione, soffriamo.
TNH: Quando in noi c'è rabbia, soffriamo.
Soffriamo quando in noi c'è discriminazione.
Soffriamo quando abbiamo in noi un senso di superiorità.
E soffriamo anche quando abbiamo un senso di inferiorità.
Ma quando riusciamo a trasformare queste cose negative
che sono dentro di noi ci sentiamo liberi e possiamo
essere felici.
Se le persone che ci fanno del male hanno dentro di
sé energie negative, come la rabbia o la disperazione,
allora stanno soffrendo. Di fronte a qualcuno che
soffre, potremmo essere mossi dal desiderio di aiutarlo
a non soffrire più. Anche questo è amore,
e l'amore non ha alcun colore. Altri possono discriminarci,
ma quello che più conta è se noi li
discriminiamo. Se non lo facciamo, siamo persone più
felici, e in quanto tali siamo nella condizione di
chi può offrire aiuto. La rabbia, invece, non
è mai d'aiuto.
BH: Per finire, cosa dire della paura? Lo chiedo
perché penso che molti bianchi non si accostino
ai neri o agli asiatici con odio o rabbia, ma con
paura. Che cosa può fare l'amore per questa
paura?
TNH: La paura nasce dall'ignoranza. Pensiamo
che l'altra persona stia tentando di toglierci qualcosa.
Ma se guardiamo in profondità vedremo che il
desiderio dell'altra persona è esattamente
uguale al nostro: essere in pace, poter avere la possibilità
di vivere. Se ci rendiamo conto che anche l'altra
persona è un essere umano, con le stesse identiche
aspirazioni spirituali, possiamo diventare entrambi
dei buoni praticanti. Dunque questo si rivela efficace
per tutti e due.
L'unica risposta alla paura è una maggiore
comprensione. E non può esserci comprensione
se non c'è lo sforzo di guardare più
in profondità che cosa c'è nel nostro
cuore e nel cuore dell'altra persona. Il Buddha ci
ricorda di continuo che le nostre pene, inclusa la
paura e il desiderio, hanno origine dalla nostra ignoranza.
Ecco perché, per dissipare la paura, è
necessario eliminare le false percezioni.
BH: E se le persone percepiscono correttamente,
ma continuano ad agire ingiustamente?
TNH: Vuol dire che ancora non riescono ad applicare
il loro insight alla vita quotidiana. Hanno
bisogno di una comunità che glielo ricordi.
A volte si ha un lampo di intuizione che tuttavia
non è abbastanza forte da sopravvivere. Perciò,
nella pratica buddhista, samadhi è la
capacità di mantenere viva un'intuizione in
ogni istante, così che ogni discorso, ogni
parola, ogni azione ne porterà l'impronta.
È una questione di pulizia. E la pulizia è
più efficace se si è circondati da un
sangha, cioè da persone che praticano
esattamente nello stesso modo.
BH: Sì, penso che l'amore si realizzi
meglio all'interno di una comunità. Su questa
cosa ho dovuto lavorare molto con me stessa, perché
la tradizione intellettuale dell'Occidente è
fortemente individualistica, non ha delle radici comunitarie.
L'intellettuale è spesso visto come una persona
solitaria e isolata dal mondo. Quindi ho dovuto praticare
per sentirmi disposta ad abbandonare il mio spazio
di studio individuale ed essere nella comunità,
lavorare al suo interno ed esserne cambiata.
TNH: Giusto, in questo modo impariamo ad agire
come comunità e non come individui. È
esattamente quello che cerchiamo di fare a Plum Village.
Siamo fratelli e sorelle che vivono insieme, e provano
ad agire come cellule di un unico corpo.
BH: Credo sia questo il tipo di amore al quale
aspiriamo nel nuovo millennio: l'amore di cui facciamo
esperienza nella comunità, al di là
del sé.
TNH: Questa è una verità che
ti prego di vivere e diffondere nei tuoi scritti e
nei tuoi discorsi. Contribuirà a mantenere
in vita questo tipo di pensiero e di azione.
BH: Grazie per il tuo esempio di autenticità.
TNH: Prego. E grazie a te.
Da
"Shambala Sun", gennaio 2000.
Traduzione di Alessandra Maggi