IL METODO
DEL CONSENSO IN AZIONE: |
di Roberto Tecchio |
L'esperienza
che recentemente ha portato alla definizione della "Carta italiana
dei Criteri del Commercio Equo e Solidale" dimostra, ancora una volta,
che è possibile arrivare a decisioni importanti senza ricorrere
al tradizionale metodo della votazione a maggioranza. Attraverso un metodo
decisionale orientato al consenso, minoranze e maggioranze possono trovare
fondamentali punti di accordo per proseguire alleati nella costruzione
del loro futuro. |
1. LA PROPOSTA E LA RISPOSTA
La realtà
denominata Commercio Equo e Solidale (che qui abbreviamo con comes) ha ormai
una lunga storia in Italia, e ancor più lunga in Europa. In tempi recenti
si è imposta agli attori del comes la necessità di darsi dei criteri
comuni per gestire in modo più trasparente ed efficace la loro attività:
da ciò nasce l'esperienza di cui vogliamo parlare.
Dopo diversi incontri e sollecitazioni a livello internazionale i soggetti italiani
del comes (importatori, distributori, negozi - chiamati "botteghe del mondo"-
e associazioni) hanno deciso di definire la loro Carta dei Criteri entro il
1999. Partendo quindi dalle indicazioni di massima della Carta Europea del comes,
essi avviarono nella primavera del 1998 il percorso che avrebbe dovuto portare
alla Carta italiana, potendo a tale scopo contare anche su dei finanziamenti
della UE.
E qui, per quanto ci riguarda, abbiamo il primo momento chiave, cioè
l'idea di arrivare a decidere tutti insieme il contenuto della Carta senza ricorrere
al tradizionale metodo della votazione in assemblea, e quindi in pratica di
usare a tal fine il cosiddetto "metodo del consenso".
Così nell'estate del '98 vengo contattato dalla coop. Pangea di Roma,
che ha l'incarico di coordinare l'organizzazione tecnica dell'assemblea, la
quale mi presenta l'idea e mi chiede in proposito un aiuto, soprattutto per
la facilitazione dei gruppi di lavoro assembleari. La mia/nostra risposta (verificai
subito l'opinione e la disponibilità di amici esperti) rappresenta qui
il secondo passaggio chiave: per realizzare un processo decisionale orientato
al consenso sono necessarie una serie di attenzioni che vanno ben oltre la facilitazione
in assemblea e che, in pratica, richiedono una vera e propria assistenza lungo
tutto il processo. Insomma, se volevano un aiuto per la facilitazione in assemblea
ciò poteva avvenire solo a patto che noi (un'équipe composta da
me e almeno un altro esperto), potessimo anche seguire da vicino tutta la preparazione
dell'assemblea.
In un primo momento gli organizzatori erano propensi ad autofacilitarsi (cioè
ad affidare la funzione di facilitatore a membri dell'assemblea), ma dopo la
discussione sulla nostra proposta decisero di abbandonare questa idea - a nostro
avviso molto rischiosa e, in questi casi, quasi sempre fallimentare. Così
il cammino si apriva verso una nuova fase.
2. VERSO LA PRIMA ASSEMBLEA
Nel settembre del 99 iniziano le prime riunioni del gruppo di lavoro congiunto, cui partecipiamo io e un'altra persona in veste di consulenti. Il lavoro si avvia con la definizione dei tempi che consentiranno a tutti i potenziali partecipanti all'assemblea di avere tutte le informazioni necessarie (tecniche, logistiche, procedurali). A partire dal testo base della Carta Europea si prevede un tempo per la raccolta di osservazioni e proposte di modifica al testo medesimo; quindi un tempo per la spedizione a tutti di tale raccolta opportunamente ordinata; infine un tempo per la seconda raccolta di osservazioni/proposte che, ordinate in apposite schede di lavoro, saranno rispedite a tutti in prossimità dell'assemblea costituendo il testo base per i gruppi di lavoro assembleari. Qui credo sia importante notare che tutto questo lavoro è stato estremamente facilitato e praticamente reso possibile dall'uso della posta elettronica: in questo caso possiamo dire che effettivamente tale mezzo si è mostrato fondamentale nel processo di democratizzazione.
Intanto accanto
al lavoro del gruppo organizzatore, noi curavamo direttamente tutta la parte
relativa alla procedura di lavoro: la messa a punto del materiale informativo,
l'agenda dei lavori assembleari, la preparazione di strumenti specifici per
il lavoro dei gruppi, la ricerca e il coordinamento degli altri facilitatori
(si prevedevano un centinaio di partecipanti e dunque dovevano essere almeno
cinque facilitatori per cinque gruppi di lavoro in contemporanea), che dovevano
essere "esterni, ma non estranei" (cioè persone vicine e sensibili
ai temi del comes, ma non facenti parte di alcuno dei soggetti direttamente
coinvolti nelle decisioni).
I passaggi chiave del Metodo del Consenso (MC) inerenti questa fase sono stati
essenzialmente due:
a) lo spostamento del potere decisionale dalla sede dell'assemblea plenaria
all'interno dei gruppi di lavoro: ogni gruppo aveva un preciso numero di articoli
su cui doveva confrontarsi per arrivare a una decisione finale che, se consensuale,
sarebbe stata vincolante per l'intera assemblea; in caso diverso gli articoli
sarebbero rimasti in sospeso e rimandati all'assemblea successiva. Alle plenarie,
oltre che alla funzione elettiva delle cariche e incarichi, veniva lasciato
il compito della ratifica delle decisioni prese su base consensuale, con eventualmente
la produzione di osservazioni e, al limite, di raccomandazioni.
b) L'affidamento ai facilitatori, esplicitamente concordato e comunque sempre
revocabile, della gestione dell'assemblea plenaria, realizzando di fatto una
coconduzione coordinata tra presidenza e facilitatori.
Il successo di questa delicata tappa del cammino è stato segnato da risultati
finali dell'assemblea significativi e largamente apprezzati: in concreto un
bel pezzo della Carta era stato scritto di comune accordo e non ci si sarebbe
più ritornati; la fiducia reciproca e la speranza di poter superare anche
vecchi attriti attraverso un metodo nuovo erano assai aumentate.
Ma qui, oltre alla buona preparazione e gestione dell'assemblea, ci sono altri
importanti fattori che hanno concorso a tale successo e che devono essere colti
per comprendere la dinamica implicata nel MC: per esempio la consapevolezza
che alla prima assemblea ne sarebbe seguita un'altra per portare a compimento
l'opera di definizione della Carta ha certamente contribuito a mantenere un
clima disteso e propositivo; la fiducia e la stima dell'assemblea nei confronti
del gruppo organizzatore e della presidenza dell'assemblea stessa (che a differenza
del modo manipolatorio in cui le presidenze in genere gestiscono il loro potere
ha dato ulteriore prova di onestà e trasparenza), che di riflesso ha
facilitato la fiducia verso dei facilitatori "esterni" e verso un
metodo decisionale tutto sommato poco conosciuto.
Terminata così questa fase, ora ci si apprestava alla terza tappa del
cammino.
3. VERSO LA SECONDA ASSEMBLEA
Possiamo vedere
il processo decisionale orientato al consenso come una sorta di cono, dalla
base larga che va via via restringendosi: così ora la seconda assemblea
aveva il compito di affrontare solo i punti rimasti in sospeso.
Per la sua preparazione e conduzione avviamo svolto sostanzialmente lo stesso
lavoro, sempre attento a favorire la massima partecipazione di tutti, a informare,
spiegare, diffondere il potere della conoscenza di contenuti e processi.
Questa volta però sapevamo che l'assemblea plenaria sarebbe stata più
difficile dell'altra: questa infatti era l'assemblea da cui sarebbe dovuta uscire
ultimata la Carta, niente più punti in sospeso, niente rimandi: o dentro,
o fuori. Sapevamo perciò che il lavoro nei gruppi sarebbe stato ancor
più delicato: infatti i nodi che non si risolvono in un gruppo che ha
a disposizione un certo tempo, difficilmente si potranno risolvere in un gruppo
numericamente molto più grande che ha a disposizione un tempo in genere
assai minore, come è appunto il caso delle assemblee. Ma per quanto si
possa fare un buon lavoro, ammesso che venga fatto, è impossibile evitare
l'emersione di problemi complicati, contrasti, tensioni, conflitti: secondo
noi ciò è parte integrante del gioco del prendere decisioni, e
va accettato.
Nel nostro caso è accaduto che uno dei gruppi di lavoro, non avendo affrontato
adeguatamente un articolo della Carta, ha portato in plenaria a uno scontro
dove, puntualmente, le parti avverse hanno finito col tirare in ballo vecchie
questioni e risentimenti. E qui se le cose sono andate bene come alla fine è
stato, certamente è stato soprattutto merito di quella coonduzione sopra
accennata. Senza scendere in particolari (che però, attenzione, sono
fondamentali per capire come si può praticare il MC), diciamo che l'assemblea
nell'insieme è stata tanto brava da saper "accettare" (direi
proprio nel senso buddhista del termine) la frustrazione e depressione causata
dal mancato raggiungimento dell'obiettivo tangibile di avere finalmente la Carta,
e al contempo ha saputo "trovare" una chiara ed efficace modalità
di uscita dall'impasse creatasi.
Questo risultato va dunque particolarmente rimarcato e valorizzato: infatti
la storia mostra come sia assai facile distruggere in un sol colpo quanto costruito
in un lungo tempo di lavoro. Il MC è delicato come tutti i processi che
si basano sostanzialmente sulla forza della fiducia. Col metodo della votazione
a maggioranza simili impasse vengono generalmente risolte a colpi di emendamenti,
in cui il più furbo/esperto/forte alla fine la spunta: ma a che prezzo?
Tornando a noi, io ritengo che l'esito in definitiva positivo di questa fase
sia stato dovuto agli stessi fattori sopra descritti, che c'erano tutti anche
stavolta: niente di meno, niente di più. E arriviamo così all'ultima
tappa del nostro viaggio.
4. COOPERARE NEL CONFLITTO
L'assemblea era
uscita dall'impasse capendo innanzi tutto che doveva avere pazienza e rimandare
la questione a una sede specifica. Decidere di affrontare domani un problema
che abbiamo oggi richiede molta lucidità: infatti se non si pongono oggi
le condizioni chiare per affrontare domani il problema, va a finire che le cose
col tempo si complicano ulteriormente, a volte irrimediabilmente.
Così l'assemblea individuò con precisione: a) oltre alla data
e al luogo, i soggetti che avrebbero dovuto preparare tecnicamente l'incontro;
b) coloro che avrebbero dovuto incontrarsi e confrontarsi per tentare di risolvere
la questione; c) i criteri di fondo sul modo in cui gestire la questione medesima
(la presenza di almeno un facilitatore esterno, l'uso formale del metodo del
consenso, e una clausola di uscita relativa all'eventuale mancanza di una decisione
consensuale sul punto in questione). L'incontro, su queste basi, ha dunque un
carattere più vicino alla mediazione di un conflitto che a una facilitazione.
All'incontro erano presenti dodici persone, praticamente tutte le parti interessate.
Dopo l'introduzione a cura del responsabile organizzativo, io illustro la procedura
di lavoro chiedendo a tutti i presenti di esprimere formalmente il proprio assenso
o le proprie perplessità. E questo costituisce il primo passaggio chiave.
La procedura è divisa in tre fasi: la prima fase consiste nell'individuazione
dei bisogni a cui l'articolo in questione dovrebbe rispondere; la seconda nella
ricerca delle soluzioni; la terza nella scelta della soluzione ottimale.
La prima fase viene condotta con la tecnica del brainstorming; poi viene avviato
il confronto cercando di far emergere con chiarezza le diversità e le
somiglianze inerenti i bisogni individuati. Qui abbiamo un momento chiave quando
il gruppo raggiunge l'accordo sui "bisogni condivisi" (dove condivisi
non vuol dire necessariamente che tutti li sentono come propri, ma che tutti
li riconoscono come "legittimi" e quindi da tenere in considerazione),
e sul fatto che un articolo vada scritto (alcuni all'inizio erano per la soppressione
dell'articolo stesso). E così va via la mattinata.
Dopo la pausa pranzo comincia la seconda fase, in cui si cercano le soluzioni
ai suddetti bisogni. Dopo aver verificato se a questi veniva data risposta in
altri articoli della Carta già definititi e approvati (e ci si accorge
che in parte è così!), ci si concentra su una delle proposte di
soluzione preparate e circolate durante il periodo antecedente l'incontro (operazione
questa di grande importanza che ha consentito di arrivare più preparati
e "caldi" all'incontro stesso). Attraverso una serie di passaggi con
discussione, confronto, aggiustamenti, ridefinizioni, riconfronto, dove il rischio
è sempre quello di far entrare nella discussione cose che non c'entrano,
il contenuto dell'articolo prende a poco a poco una fisionomia sempre più
chiara e condivisa. Finalmente il gruppo raggiunge un buon grado di consenso
sulla formulazione conclusiva, dove viene per altro sottolineato come questa
formulazione rappresenti un passo in avanti rispetto alla precedente, pur esprimendo
gli stessi concetti, perché presuppone/promuove un clima di fiducia e
maggiore collaborazione fra le varie organizzazioni. Habemus Cartam!
Scheda: CHE COS'E'
IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE?
(definizione e obiettivi, tratti dalla "Carta Italiana dei Criteri del
Commercio Equo e Solidale")
Definizione del
Commercio Equo e Solidale
Il Commercio Equo e Solidale e' un approccio alternativo al commercio
convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo
sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, attraverso il
commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l'educazione,
l'informazione e l'azione politica.
Il Commercio Equo e Solidale e' una relazione paritaria fra tutti i
soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori,
lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori.
Obiettivi del Commercio
Equo e Solidale
1. Migliorare le condizioni di vita dei produttori aumentandone l'accesso
al mercato, rafforzando le organizzazioni di produttori, pagando un prezzo
migliore ed assicurando continuita' nelle relazioni commerciali.
2. Promuovere opportunità' di sviluppo per produttori svantaggiati,
specialmente gruppi di donne e popolazioni indigene e proteggere i bambini dallo
sfruttamento nel processo produttivo.
3. Divulgare informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, tramite
la vendita di prodotti, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di
un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di
nuovi modelli di sviluppo.
4. Organizzare rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel
rispetto della dignità' umana, aumentando la consapevolezza dei consumatori
sugli effetti negativi che il commercio internazionale ha sui produttori, in
maniera tale che possano esercitare il proprio potere di acquisto in maniera
positiva.
5. Proteggere i diritti umani promuovendo giustizia sociale, sostenibilità
ambientale, sicurezza economica.
6. Favorire la creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste
tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati.
7. Favorisce l'incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi
economicamente meno sviluppati.
8. Sostiene l'autosviluppo economico e sociale.
9. Stimolare le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte
economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilita'
economica e della tutela ambientale, effettuando campagne di informazione e
pressione affinché' cambino le regole e la pratica del commercio
internazionale convenzionale.
10. Promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali.
I PRINCIPI del Metodo del Consenso
Il fine non giustifica
i mezzi; i mezzi contengono il fine.
Il MC nasce dalla convinzione che il rapporto tra mezzi e fini deve essere coerente:
se si hanno fini equi e solidali, i modi per realizzare tali fini dovranno esprimere
concretamente equità e solidarietà. Ciò si manifesta soprattutto
nel modo di gestire il potere, e in particolare nel modo in cui si prendono
insieme le decisioni.
L'uso del Potere:
il singolo non viene schiacciato dal gruppo; il gruppo non viene bloccato dal
singolo.
Il MC, a uno sguardo molto superficiale, sembra dare un potere eccessivo al
singolo individuo (o alla piccola minoranza) rispetto al gruppo. Così
sembra che chiunque, magari dopo un'attenta discussione, se gli gira male può
prendere e bloccare la decisione negando il suo consenso. Ma questo non è
altro che esercitare il cosiddetto potere di veto, che però non ha niente
a che vedere col MC.
Il MC dà effettivamente un grande potere al singolo (a ogni singolo indistintamente!)
perché ne riconosce il valore, la dignità, l'unicità; ma
il singolo può bloccare solo se dimostra la legittimità della
sua opposizione al resto del gruppo, cioè che la decisione che si sta
prendendo è veramente dannosa e/o in contrasto con i principi fondanti
del gruppo. Se il gruppo riconosce la legittimità dell'opposizione allora
la decisione può essere bloccata, altrimenti alla parte avversa viene
rimandata la responsabilità di decidere cosa fare.
Dunque, perché il MC funzioni bene, le persone devono riconoscere il
potere del gruppo nel determinare quali problemi possono essere risolti, quali
necessitano di più attenzione, e quali bloccano il consenso: la trappola
sta nell'essere incapaci di riconoscere i limiti del potere individuale! L'individuo
ha il potere (e la responsabilità) di sollevare i problemi; il gruppo
ha il potere (e la responsabilità) di legittimarli e risolverli.
Attenti al compito
e ai rapporti umani.
Gli incontri servono per affrontare e risolvere problemi comuni. Le buoni soluzioni
tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi, sia delle relazioni tra
i soggetti. Se non c'è un buon rapporto (sufficientemente disteso e fiducioso)
anche semplici problemi possono complicarsi e diventare un grave peso. E' necessario
ricordare che nel lavoro di gruppo entrambi gli obiettivi (di contenuto e di
relazione) devono essere sempre opportunamente curati: l'uno influisce sull'altro.
Distinguere le
persone dai problemi: concentrarsi sui problemi.
Quando si affrontano i problemi un aspetto che si tende a dimenticare è
che dall'altra parte ci sono esseri umani che hanno sentimenti, valori, convinzioni
profondamente radicate, differenti storie personali e punti di vista: esattamente
come noi. Ognuno ha un "io" che è sensibile e che facilmente
può sentirsi minacciato, e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi.
Ogni giudizio sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare
il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle risorse
di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti, risorse senza le
quali non è possibile trovare buone soluzioni ai problemi.
Dunque è fondamentale rimanere aderenti ai fatti, ai termini concreti
del problema, "attaccando" le idee e le proposte anche molto fermamente
se necessario, ma rimanendo al contempo rispettosi verso le persone: "duri
col problema, morbidi con le persone". Qui giova moltissimo non identificarsi
con le proprie idee: le mie idee, non sono mie!
Distinguere i bisogni
dalle soluzioni: concentrarsi sui fondamenti.
Nell'affrontare i problemi si dimentica che il cuore delle questioni non si
trova nelle posizioni di partenza (a volte solo apparentemente contrapposte),
ma nei bisogni, preoccupazioni e convinzioni delle parti coinvolte, cioè
in quelli che alcuni chiamano i "fondamenti" dei problemi. Per es.
spesso si discute (e si litiga) sulle proposte di soluzione senza avere adeguatamente
scandagliato quali sono i bisogni in gioco: le soluzioni rappresentano la risposta
a dei bisogni, e lo stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi
diversi. Se ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente.
Non si tratta di rinunciare ai propri principi, né di nascondere le differenze
al momento incompatibili, ma solo orientandosi alla ricerca dei bisogni condivisi
si creano le condizioni per trovare soluzioni cooperative, realizzabili, che
aprono verso il comune cammino.
Inventare soluzioni:
generare opzioni e obiettivi fattibili.
Una volta individuati i fondamenti dei problemi è necessario dedicare
un tempo adeguato alla ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti. Qui la fantasia,
l'intelligenza, l'esperienza sono le risorse primarie: spesso si tratta letteralmente
di inventare nuove soluzioni. Questo passaggio può sembrare banale, ma
dal punto di vista pratico la fase dell'ideazione è spesso trascurata
o comunque mal gestita (per es. è frequente che il brainstorming sia
pieno di giudizi e commenti sulle idee espresse!). Non identificarsi (né
identificare l'altro) con le idee facilita moltissimo la ricerca di soluzioni
migliori. Rimanere attaccati alle proposte di soluzione è un'abitudine
frequente che rappresenta un ostacolo non solo al consenso, ma soprattutto al
raggiungimento di soluzioni di buona qualità. Abbandonare una proposta
di soluzione non significa affatto abbandonare i propri principi, o rinunciare
ai propri bisogni, ma semplicemente ricercare altre soluzioni.
Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti e trasparenti.
I criteri che sottendono ogni scelta devono essere esplicitati e riferiti quanto
più possibile a elementi verificabili, principi comunemente accettati,
insomma criteri che non devono dipendere dalla volontà (o dal controllo)
di alcuna delle parti in gioco. Saranno proprio questi criteri che poi consentiranno
di valutare la qualità delle decisioni prese. Qui in genere emerge l'uso
scorretto e manipolatorio del potere per orientare le scelte verso interessi
di parte: le minacce velate, gli attacchi personali che spostano l'attenzione
dai termini concreti del problema, le pressioni, ecc.
Saper stare costruttivamente
nel disagio (frustrazione, irritazione, preoccupazione
)
Il MC è in sostanza un processo di gestione costruttiva e nonviolenta
dei conflitti. Il conflitto qui è visto come fenomeno assolutamente naturale,
di per sé né giusto né sbagliato. Quando un gruppo crea
un'atmosfera che facilita l'espressione del disaccordo senza ostilità
né paura, costruisce le basi per decisioni più funzionali e soddisfacenti.
La capacità di comunicare bene è dunque un fattore chiave: comunicare
"è" gestire la relazione e i conflitti. Ma bisogna riconoscere
che anche mediante un uso perfetto del metodo e un'ottima comunicazione i problemi
possono rimanere irrisolti. E allora?
Se si procede con cura, il paesaggio entro cui si prenderanno le decisioni sarà
come minimo più chiaro e comprensibile, e ciò costituisce un buon
terreno per arrivare a decisioni che cercano per quanto possibile di rispettare
i bisogni essenziali in gioco. Non di rado bisogna accettare il fatto di non
poter decidere: saper gestire costruttivamente il disagio che deriva da ciò
è una capacità fondamentale del processo consensuale: pazienza,
fiducia e rispetto sono ingredienti fondamentali per esercitare tale capacità.
(da "Buone Notizie", anno 1999 n°3)