Filo aggrovigliato |
di Claude Anshin Thomas |
discorso tenuto il 15 Novembre 1997 durante un ritiro a S. Pietro al Natisone (Udine) |
Vedete questo filo aggrovigliato? Assomiglia molto alla mia vita ed è
la pratica della consapevolezza che comincia a far sembrare il filo della mia
vita più lineare. Possiamo non vederlo, ma questo non vuole dire che
il groviglio non ci sia: semplicemente non riusciamo a vederlo. Applicandoci
a vivere in consapevolezza, noi tiriamo fuori il groviglio, lo guardiamo, lo
teniamo nelle nostre mani e cominciamo a scioglierlo. Ci permettiamo di districarlo:
può liberarsi, sciogliersi in pochi momenti, ma possono essere necessari
anche molti anni, non c'è modo per saperlo.
Devo essere disponibile a impegnarmi in questo processo, senza nessuna aspettativa.
Devo respirare per respirare, camminare per camminare, mangiare in meditazione
solo per mangiare, sedermi solo per sedermi. Se mi siedo per diventare calmo,
non ci riuscirò.
Devo imparare a lasciar perdere le mie idee, perché se mi siedo per diventare
calmo, in realtà vuol dire che ho già una nozione, un'idea di
che cosa sia la calma e questa idea può essere mille miglia lontano da
che cosa sia veramente la calma.
Prima qualcuno ha parlato della sofferenza ed ha detto che è qui per
guarire la sua sofferenza, in realtà noi non possiamo guarire la nostra
sofferenza. Essa si guarirà da sola se saremo disponibili a risvegliarci
ad essa, se entreremo in questo processo guardando profondamente nella nostra
vera natura.
Quando la sofferenza comincia a farsi evidente, non è che io debba decidere
quale sia la sua natura, sarà lei a farmelo sapere e allora saprò
anche come prendermene cura, forse chiedendo aiuto. Se voglio andare sulle montagne,
in un posto molto lontano, sarebbe bene avere una guida, potrei essere anche
capace di arrangiarmi da solo, ma potrei anche perdermi e morire.
Nella vita del Buddha si racconta che raggiunse l'illuminazione senza bisogno
di alcun maestro. Ma è vero solo in parte perché in realtà
cercò il sostegno e il consiglio di molti grandi maestri del suo tempo
anche se poi non furono capaci di portarlo lì dove voleva arrivare. Alla
fine il Buddha dovette fare una scelta e, prima di sedersi sotto l'albero, prese
una risoluzione: che la pelle si staccasse dalle ossa, che le ossa diventassero
polvere, ma non avrebbe lasciato quel posto senza aver raggiunto la Suprema
Illuminazione.
Se vogliamo risvegliarci, vivere in consapevolezza, dobbiamo anche noi prendere
un impegno. Dobbiamo essere disponibili ad andare fino in fondo.
Le mezze misure non porteranno a nulla, eccetto che a farci rendere conto che
sono delle mezze misure. Veniamo messi davanti a un dilemma. Non voglio scoraggiare
nessuno dal seguire il cammino, vi sto soltanto invitando a seguirlo senza riserve.
Se avete delle riserve dovete considerarle come una campana che suona e devono
diventare un'opportunità di praticare, per esempio, i precetti.
Al tempo del Buddha furono create delle linee guida che aiutassero nel cammino
verso una vita consapevole; queste linee guida sono arrivate a noi e sono chiamate
i Cinque Precetti.
In altre tradizioni ce ne sono di più, ma tutti derivano da questi cinque.
Vediamo il primo: "Consapevole della sofferenza causata dalla distruzione
della vita, faccio voto di coltivare la compassione e di imparare modi per proteggere
la vita di persone, animali, piante e minerali. Sono determinato a non uccidere,
a non lasciare che altri uccidano e a non condonare alcuna uccisione nel mondo,
nei miei pensieri e nel mio modo di vivere".
Non è una regola da seguire rigidamente, ma semplicemente una campana
di consapevolezza, E' uno strumento che ci aiuta a guardare più profondamente
nella natura della nostra vita, nella natura della sofferenza. Ogni volta che
bevo un bicchiere d'acqua io sto uccidendo e se non bevo quel bicchiere d'acqua
sto ancora uccidendo, quindi com'è possibile non uccidere? Quando bevo
un bicchiere d'acqua devo essere consapevole che sto uccidendo, perché
all'interno vi sono dei microrganismi e quando io bevo li uccido; posso naturalmente
mettere in atto dei giochi intellettuali in relazione a questo processo, potrei
dire, per esempio, che entrano nel mio corpo e non muoiono, che vivono dentro
di me e che poi, quando espello i rifiuti, verranno riciclati dalla natura.
Possiamo creare infiniti giochi a proposito della natura della vita. D'altro
canto è anche vero che quei microrganismi che muoiono dentro di me diventano
poi parte dei rifiuti del mio corpo che saranno a loro volta riciclati nell'ambiente.
Questa è l'interconnessione tra tutte le cose; ma è anche vero
che io ho ucciso.
Non dobbiamo razionalizzare, giustificare o scusare la realtà della vita:
io non sono una brava o cattiva persona perché bevo un bicchiere d'acqua;
sospendete il giudizio. Se devo mantenermi in vita, devo bere. Berrò
quest'acqua in consapevolezza, usando il primo precetto come rifugio; berrò
questo bicchiere d'acqua per tutti coloro che non lo possono bere, che non hanno
dell'acqua buona da bere, bevo in consapevolezza, comprendendo pienamente la
natura della mia azione.
Nella mia vita, pratico il primo precetto, non mangiando carne, pesce, selvaggina,
pollame o uccelli: non mangio niente che mi possa guardare negli occhi perché
non voglio appoggiare l'istituzione dell'uccisione. In passato mi sono seduto
con persone che si auto proclamavano pacifiste, gruppi che si opponevano all'esistenza
stessa dell'esercito perché non volevano appoggiare quelle istituzioni
che uccidevano, mentre mangiavano degli hamburger, qual è la differenza?
Siete mai stati in un macello? Avete mai letto storie sui campi di concentramento
della seconda guerra mondiale o dell' ex Jugoslavia? In che cosa erano differenti?
La sola cosa che cambia è la forma di vita che viene uccisa. E che cosa
succede a quella forma di vita dopo che è stata uccisa? Nei campi di
concentramento della seconda guerra mondiale, si facevano delle coperte con
i capelli di coloro che erano stati uccisi, il sapone con il loro grasso e in
alcuni casi la pelle serviva per fare dei paralumi. Che cosa succede agli animali
in un macello pubblico? La pelle diventa oggetto di abbigliamento, i grassi
vengono trasformati in sapone, le pellicce trasformate in coperte, qual è
la differenza? Attraverso la nostra capacità intellettiva possiamo creare
una separazione ed è proprio qui che giace il pericolo. Se non sono consapevole
ecco che allora inizierò a creare delle gerarchie su quale vita valga
di più e quale meno.
Quando ero ragazzo
mi insegnarono a sparare con il fucile e con la pistola, a dodici anni mi permisero
di andare a caccia e io ero eccitatissimo, non vedevo l'ora: sparavo a conigli,
fagiani, cervi, orsi, tacchini, cacciavo tutto ciò che era permesso cacciare.
Ho cominciato a pescare quando avevo sei anni, non serviva nessun permesso particolare.
Non ero disposto a guardare questi animali come una forza vitale, non ho mai
considerato neanche una volta, la loro vita uguale alla mia, la loro valeva
molto meno della mia: esistevano soltanto per essere ammazzati. All'età
di 17 anni sono entrato nell'esercito - era il 1965 - e in quel periodo gli
U.S.A erano coinvolti nella guerra civile in Vietnam, appoggiando il governo
della parte sud del paese.
Il mio addestramento fu focalizzato sulla guerra che era in corso e i vietcong,
i nord vietnamiti, erano il nemico.
I comunisti erano il nemico perché erano il pericolo per la democrazia.
L'ideologia del comunismo da una parte, l'ideologia della democrazia dall'altra:
la democrazia era meglio dell'altra.
Sono stato addestrato a uccidere il nemico, i vietcong nord vietnamiti che erano
comunisti perché erano una minaccia per i sud vietnamiti e per la democrazia
e io ci ho creduto e l'ho accettato. Nessuno di voi è stato in Vietnam?
Pensate che guardandoli in faccia sia possibile capire la differenza tra un
vietcong e un sud vietnamita? Quando mi hanno insegnato a disumanizzare il nemico,
mi hanno insegnato a disumanizzare un'intera razza e anche oltre perché
in realtà mi era stato insegnato a disumanizzare tutta la razza asiatica.
E' vero che i vietnamiti sono leggermente differenti dai coreani, dai laotiani
o dai cambogiani, ma durante l'addestramento mi era stato insegnato a disumanizzare
tutti gli asiatici senza fare distinzioni. E mentre imparavo a disumanizzare
gli altri, disumanizzavo anche me stesso. Da ragazzo, quando mi insegnavano
a cacciare e uccidere svalutando la vita, anche allora stavo svalutando la mia
vita. Non sto dicendo che mio padre, che mi ha insegnato a cacciare e sparare,
fosse una brava o cattiva persona, lui mi insegnava quello che sapeva, semplicemente
non era illuminato. Mio padre non viveva in consapevolezza, viveva nella dimenticanza.
Come è possibile insegnare a qualcuno a dare valore alla vita se allo
stesso tempo gli insegni anche a uccidere?
Nell'insegnamento buddhista spesso sentiamo parlare del ciclo di nascita, morte
e rinascita. Credo che molti di noi abbiano l'idea che quando questa forma cessa
di esistere, quando muoriamo quindi, dopo venga una rinascita in un'altra forma
e che il ciclo continui fino a quando tutto il karma negativo non sia stato
curato. Personalmente ho un comprensione leggermente differente del ciclo di
nascita-morte-rinascita, di questo ciclo di sofferenza. Ciò che mio padre
mi ha insegnato, il karma che ho ereditato con la mia nascita, in realtà
è la rinascita della sofferenza di mio padre, io la porto dentro di me.
Prima ho parlato dell'interconnessione tra tutte le cose: un modo per comprenderla
è vedere tutte le generazioni passate e anche future in me: tutte le
generazioni passate sono in me: mio padre è qui, e anche mio nonno, mia
madre, mia bisnonna e sempre più indietro nel tempo, generazione dopo
generazione. Tutto ciò che mi ha preceduto è qui, dentro di me.
Quando mio padre
morì, la sua sofferenza continuò in me. La natura della mia sofferenza,
anche se esiste dentro di me, non è soltanto mia, è la sofferenza
dell'intero universo. Man mano che guarisco anche mio padre, mia madre, che
sono dentro di me, guariscono. Ciò non vuol dire che non continuino a
soffrire, ma che non continuano più a soffrire dentro di me.
Tutte le generazioni future sono in me, se ho dei figli continuo attraverso
loro il ciclo della sofferenza, a meno che non prenda l'impegno di risvegliarmi.
Il pensare che le azioni degli altri non mi influenzino non è esatto,
perché io non mi fermo alla mia pelle, ma è anche vero che la
natura della mia sofferenza è mia.
Mio padre non mi può curare, guarire, e lo stesso mia madre, devo farlo
io questo lavoro.
Quando compii 18 anni, mi ero già reso responsabile della morte di centinaia
di persone, il mio dito ha premuto il grilletto tante volte. Pensavo di essere
convinto della mia ideologia e addirittura, da prima della nascita, ero stato
condizionato a vivere nella dimenticanza e non nella consapevolezza. Perché
sono qui? Per risvegliarmi, per risvegliarmi in questa pratica, per rompere
il ciclo di nascita-morte-rinascita o almeno iniziare a farlo. Ho un figlio
di 25 anni, e non è mai stato nell'esercito: è il primo maschio
della mia famiglia da sei generazioni che non sia stato militare e che non abbia
combattuto una guerra.
E questo non perché gli abbia insegnato a non farlo, è stato lui
a scegliere. In realtà, quando era ragazzo, desiderava diventare pilota,
voleva volare sugli aeroplani, ma non sapeva dove andare per imparare a farlo.
Allora gli suggerii che poteva entrare nell'esercito dove gli avrebbero insegnato
a volare, non l'ho né incoraggiato né dissuaso, gli ho soltanto
permesso di vedere la realtà della mia vita.
Quante volte avete sentito qualcuno dire, o quante volte voi stessi avete detto: "Io non avrei mai potuto dire una cosa, non potrei mai parlare cosi, che cosa penserà la gente di me, che cosa penserebbero di me se lo facessi?" Non c'è guarigione fino a quando non parliamo delle cose di cui non vogliamo parlare. Con questo non voglio dire che dobbiamo parlare di qualsiasi cosa con chiunque, non sarebbe una buona idea perché in realtà buona parte della gente non vive in consapevolezza, ma nella dimenticanza e dunque difficilmente capirebbe che cosa stiamo facendo. Ma quando abbiamo delle opportunità come questa, cioè di incontrare gente che condivide la nostra stessa pratica, allora siamo nel posto giusto per farlo, dove cominciare a fidarci completamente. Dobbiamo essere capaci di sederci in un cerchio come questo e dirci: "Mio caro, io mi dono a me stesso completamente". E dire a coloro con cui condividiamo questa pratica: "Miei cari, mi dono a voi completamente, non vi terrò nascosto niente, non c'è guarigione, non c'è possibilità di trasformazione se tengo le cose dentro di me".
Andai in Vietnam
per servire l'ideologia del mio paese, ma quando tornai a casa, le stesse persone
per cui avevo combattuto mi rifiutarono: ero diventato un simbolo della loro
dimenticanza. Cercarono di lavarsi le mani della loro responsabilità
allontanandomi. Ero diventato un problema, il Paese mi puntava il dito addosso
senza realizzare che dietro quell'indice puntato su di me c'erano altre tre
dita puntate contro se stesso. Ogni qualvolta ci rendiamo conto che stiamo puntando
il dito, ricordiamoci anche delle altre tre dita come se fossero una campana
di consapevolezza. Mettete giù quel dito e tornate alla vostra vera natura,
inspirate ed espirate e realizzate la natura della vostra sofferenza. La rabbia,
la disperazione, la tristezza, la gelosia, l'insicurezza - la lista potrebbe
continuare all'infinito - sono la natura della sofferenza.
L'avidità per l'illuminazione, la voglia smisurata di piacere, la ricerca
di piacere sono tutte espressioni della natura della sofferenza.
Negli ultimi due giorni ho avuto qualche difficoltà a rimanere dentro
la mia pelle, sto attraversando un momento doloroso, di lutto. Recentemente
ho sperimentato una perdita inaspettata, non di qualcuno che è morto,
ma di qualcuno che amavo molto e che ha tradito il mio amore, che lo ha sfruttato.
Quando tocco questa realtà, ciò che nasce è la sofferenza
e devo prendermene la responsabilità. Nello stesso momento in cui sono
immerso nel dolore e nel senso di lutto, sperimento anche il fenomeno dell'avidità,
perché non vorrei sentirmi come mi sento e quindi sono avido, provo una
forte spinta, a non sentirmi come mi sento. Cerco un modo per sfuggire la realtà
di questi sentimenti, ma non è possibile. Se non riuscirò a portare
alla luce questo groviglio di sentimenti non avrò mai la possibilità
di scioglierlo e alla fine sperimenterò una nuova manifestazione della
mia sofferenza, ad esempio, cominciando a fare cose che non vorrei fare, andando
in posti dove non vorrei andare, con gente che non vorrei frequentare e convincendomi,
invece, che tutto ciò è proprio quello che volevo fare.
La sofferenza non riconosciuta controllerà la mia vita e diventerà
come l'anello che si mette al naso del toro con cui lo si può portare
dove si vuole, da qualsiasi parte. Vivendo nella dimenticanza saremo portati
in giro dalla nostra sofferenza, saremo controllati da essa.
Man mano che cominciamo a trasformarci, ecco che anche il mondo attorno a noi
si trasforma; diventiamo come delle piccole pietre che quando vengono gettate
in uno specchio d'acqua immobile producono dei cerchi che riempiono l'intero
lago.
Mi è stato detto che è possibile raggiungere il risveglio soltanto
battendo le mani o suonando la campana, è possibile diventare illuminati
lavando i piatti o mangiando un granello di riso, se viene fatto stando realmente,
fino in fondo, nel momento presente. Probabilmente ci vorranno diverse vite,
ma non so se ne ho molte a disposizione e quindi devo cominciare ad impegnarmi
fin da adesso, in questa vita, perché è tutto ciò che ho.
Gli strumenti della pratica che condivido con voi sono una strada, non c'è
bisogno di essere buddhisti per usarli, non dobbiamo essere buddhisti per vivere
in consapevolezza, per vivere intensamente nel momento presente. Vivere intensamente
nel presente consiste semplicemente nell'essere consapevoli e se siamo consapevoli
di stare inspirando ed espirando, ecco che tutto ciò che facciamo diventerà
un atto di meditazione.
(da "Buone Notizie", anno 1998 n°2)