Costruire la comunità, costruire la pace

di Sandra Parolin

È la notte di un'attesa,
non di una vaga speranza ma di un'attesa.
Attendiamo una teofania di cui non conosciamo
che il luogo,
e il luogo si chiama comunità.


Martin Buber



"Il senso della comunità non vige là dove nella comunanza, ma senza comunione, si cerca di strappare a un mondo riluttante un diverso ordinamento conforme ai propri desideri. Si trova invece dove la battaglia combattuta viene iniziata in una comunità lottante per la sua vera comunione…
La collettività non è unione, ma affastellamento: individui messi insieme con individui, armati insieme, allineati insieme; tra uomo e uomo vi è soltanto il quantitativo di vita sufficiente per incitare il passo di marcia. Ma la comunità che diviene consiste non più nell'essere uno presso l'altro, ma nell'unione di persone che, anche se tendono tutti insieme verso un fine, sperimentano sempre uno scambio dinamico fra Io e Tu: la comunità vera è divenire…
"

Questo passo di Martin Buber mi risuona come un'eco di qualcosa che ho avuto la fortuna di sperimentare nei tanti seminari di community building a cui ho partecipato, durante quel processo faticoso e bellissimo di diventare comunità.
L'idea che la pace sia qualcosa da costruire non è difficile da comprendere. Ma a volte capire, sapere non basta. Spesso la difficoltà più grande rimane quella del come riportare nella vita quotidiana, nelle relazioni, nei gruppi di lavoro e nelle varie situazioni di vita ciò ho compreso.
Nel mio cammino di ricerca e quindi di ricerca della pace dentro e fuori di me ho incontrato qualcosa che mi ha aiutata e mi aiuta molto a colmare la 'lacuna del come'. Attraverso il lavoro di costruzione della comunità - community building - adesso posso, insieme agli altri compagni di viaggio, gettare delle basi più concrete, come prendere i mattoni e costruire insieme la pace.
È una pratica talvolta molto esigente che richiede l'impegno di ciascuno, un impegno di tempo ed energia e uno sforzo costante di attenzione e investigazione, ma al tempo stesso è spaziosa e liberante. È liberante perché non mi chiede di essere diversa da me, non mi vuole uniformare a un modello standard prestabilito. Insieme al rispetto delle regole comunemente apprese mi è richiesto anche di rispettare la mia unicità.
Nel community building le differenze non solo non vengono più ignorate, ma hanno la possibilità di essere addirittura celebrate. ...La collettività si basa su una diminuzione della personalità, la comunità si basa su un aumento di questa e nella conferma della reciprocità. Lo zelo di quest'epoca per la collettività è la fuga dalla prova di una vera comunità delle singole persone, dal dialogo vitale nel cuore del mondo che esige l'impegno di ogni persona. (1)
La pratica della comunità si basa su alcune regole e principi che il gruppo è invitato a seguire per tutta la durata del seminario. Sono indicazioni semplici, ma spettacolarmente difficili. Esse facilitano il rispetto e la comunicazione autentica e a prima vista si può facilmente cadere nel 'tutto qui?' Poi il gruppo incomincia a praticare e le cose a diventare un po' meno scontate.
Ciascuno diventa gradualmente più consapevole di tutte le volte che non riesce a seguire quella semplice regoletta. Anche il gruppo diventa più consapevole di se stesso. E così inizia un viaggio in cui tutti sono protagonisti, tutti egualmente importanti. Prima di trasformarsi in una vera comunità il gruppo deve attraversare quattro fasi di un processo chiamato appunto community building.
Queste fasi possono essere più o meno travagliate, come sempre in un vero processo di crescita alcuni passaggi faticosi o dolorosi; in particolare in quella fase cruciale descritta come lo stadio del vuoto o dello svuotamento: qualcosa deve essere lasciato per consentire a qualcos'altro di nascere. È un po' come un morire e nel gruppo c'è resistenza e paura. Ma nascita e morte vanno insieme. La morte dei tanti piccoli io e la nascita miracolosa della comunità.
"Lo svuotamento ..è anche una metafora che suggerisce il fare spazio per l'Altro o per lo Spirito rimuovendo dallo spazio il proprio ego...questo risveglio in genere avviene in tempi diversi per ciascun individuo". (2)
Ma non ci sono garanzie: ogni gruppo è diverso, perché composto da individui differenti. Ogni gruppo troverà la sua strada. Così come ogni gruppo incontrerà sulla strada i suoi ostacoli.
Nel community building molto del lavoro che ciascun individuo è chiamato a fare per 'prendersi la sua parte di responsabilità nel gruppo' ha a che fare con l'individuare quelli che sono i personali ostacoli alla comunicazione efficace e autentica. Liberarsi da tutte quelle barriere che ostacolano la comunicazione: ciò che ostruisce, impedisce. E tutto ciò che è concretamente d'impedimento alla costruzione della comunità è di impedimento alla pace. Perché il gruppo è un microcosmo del gruppo più grande, della comunità globale. Le implicazioni di questo lavoro sono dunque più ampie. Vanno al di là della specifica esperienza di quel particolare gruppo o di ciò che 'si porta a casa' il singolo individuo, come bagaglio di esperienza e di nuove conoscenze su di sé. In questi anni ho visto, sperimentato e forse compreso un po' di più quelli che potrei chiamare semi di guerra e semi di pace. Il gruppo è uno specchio di ciò che accade in altri aggregati umani. Quali sono le radici del conflitto? Perché persistono nel mondo le guerre e la violenza? In altre parole in questi anni ho avuto modo di studiare attraverso un'esperienza diretta quali sono i semi della guerra e quali invece i semi di pace. E come fare a sradicare i primi e a far crescere e coltivare i secondi? Solo conoscendo e riconoscendo i semi di guerra, in noi stessi e nel gruppo, possiamo lavorare concretamente alla pace. Non è facile. Occorre coraggio: il coraggio di vedere, di guardare profondamente in noi stessi e, con l'aiuto degli altri, procedere fiduciosamente nel cammino.
Ciò non significa eliminare i conflitti. Anzi, ho potuto notare che uno degli ostacoli più frequenti in un gruppo che cerca di costruirsi comunità è proprio la paura e in particolare la paura del conflitto.
E la paura del conflitto genera il conflitto. Di nuovo ci troviamo di fronte al problema del come: il conflitto esiste, non possiamo coprirci gli occhi e dire che non c'è, non possiamo reprimerlo, eliminarlo o soffocarlo (tanto poi ritorna in qualche modo a galla) il conflitto c'è, fa parte della vita, il problema sta nel come affrontarlo, come ci mettiamo in relazione al conflitto e con quali strumenti. Il community building è uno di questi. Per questo prezioso.
Questo strumento ci aiuta a vedere, a 'toccare con mano' che è possibile attraversare il conflitto scegliendo una via diversa da quella dell'organizzazione (che elimina il caos ma non crea la comunità) e cioè grazie a quello svuotamento che costituisce il terreno ideale per ricevere il "dono della comunità". Ma ho dovuto sperimentare la difficoltà del caos per arrivare a capire concretamente di che cosa mi devo 'alleggerire'. Per esempio, all'inizio posso genericamente pensare che per essere in pace con gli altri devo liberarmi dai miei pregiudizi. Un pensiero un po' idealistico oltre che generico. Il lavoro di costruzione della comunità è più concreto. Non mi chiede di liberarmi in un momento di tutti i miei pregiudizi ma solo di quel particolare pregiudizio che ho visto operare in me in quel particolare momento. Il conflitto dentro o fuori di me ha messo in evidenza qualcosa. Adesso, e cioè soltanto dopo averlo visto, ho la possibilità di cambiare. Posso passare dalla teoria dei bei concetti alla sfida della pratica. Praticare davvero la pace.
Le parole di una praticante: "Durante la fine della mattinata del terzo giorno, dopo le fatiche dei giorni precedenti, lo Spirito sembrava accompagnare chi si stava svuotando donandogli comprensione e serenità…" sono molto simili a quelle di S. Peck quando ci parla dello spirito che regna nel gruppo diventato comunità: "Uno spirito di pace aleggia nella stanza. C'è più silenzio e tuttavia molto di importante viene detto. È come una musica. Le persone lavorano insieme con uno squisito senso del tempo, come fossero un'affiatata orchestra diretta da un invisibile direttore celestiale…più d'uno percepisce Dio nella stanza." (3)
Quando il gruppo entra in comunità è ampiamente ricompensato dello sforzo compiuto. La gioia è il sentimento prevalente, ma vengono sperimentate anche un'ampia gamma di altre emozioni. Infine il silenzio e la qualità del silenzio del gruppo lasciano emergere un'energia fresca, tangibilmente benefica e guaritiva.
Personalmente, è solo quando ritorno a sperimentare insieme a un altro gruppo di persone la gioia della comunità che mi ricordo di nuovo, ritorno in contatto con quel valore così reale e tangibile, e rinnovo il perché del cammino intrapreso -a tratti lungo la strada me l'ero dimenticato, gli sforzi compiuti mi servono adesso soltanto per apprezzare di più ciò che abbiamo fatto insieme.
E non ho dubbi, ne è valsa la pena!


NOTE

(1) M.Buber, Il Principio Dialogico, IRSeF 1991, p 57

(2) F.C.E - Foundation for Community Encouragement, L.E.P part IV Leading from emptiness

(3) S.Peck , Vivere di Pace, Torino Frassinelli 1988, p.97

BIBLIOGRAFIA

M. Scott Peck, Star bene con gli altri, Frassinelli
M. Scott Peck, Voglia di bene, Frassinelli
Sandra Parolin, Meditazione e relazione, Promolibri.


CHE COS'È IL COMMUNITY BUILDING?


Il Community Building si traduce letteralmente in italiano come 'costruzione della comunità'.
LA COMUNITA', secondo questo modello, può essere definita come un gruppo di due o più persone che al di là delle diversità individuali di età, sesso, ideologia, razza o religione, è diventato capace di accettare e trascendere le differenze, di comunicare apertamente ed efficacemente e di lavorare insieme alla realizzazione di un comune obiettivo.
Nell'esperienza intensiva chiamata appunto Community Building, della durata di tre giorni, i partecipanti hanno occasione di imparare a 'costruirsi comunità', cioè ad apprendere attraverso l'esperienza come un gruppo di persone, per lo più sconosciute, possa diventare comunità. Per realizzare questo compito il gruppo generalmente attraversa varie fasi di un processo durante il quale ciascun partecipante impara a individuare i personali ostacoli alla comunicazione autentica ed efficace e a riconoscere quelle 'attitudini chiave' che favoriscono il sorgere della comunità. Questo processo non può essere appreso da un libro o da una conferenza: per conoscerlo bisogna farne esperienza.
Due facilitatori accompagnano il gruppo con l'aiuto di suggerimenti, storie e periodi di silenzio.
Occasionalmente sono date indicazioni e feedback per stimolare la consapevolezza e l'ascolto costruttivo. Con la loro guida e attraverso l'interazione con gli altri i partecipanti possono rendersi conto delle barriere individuali alla vera comunicazione e riconoscere quegli atteggiamenti e comportamenti che favoriscono la trasformazione del gruppo in una vera comunità.

Il Community Building non è però un apprendimento di tecniche bensì l'espressione di alcuni principi che sono di vitale importanza nella formazione della comunità.
Vivere questi principi come disciplina ci consente di fare esperienza della comunità personalmente, nelle nostre famiglie, nelle organizzazioni e per estensione nella comunità globale al fine di:

-Comunicare autenticamente
-Avere la capacità di affrontare argomenti difficili
-Accogliere e affermare le differenze
-Relazionare con empatia e rispetto
Le implicazioni a carattere umano e spirituale di questo lavoro sono molteplici. Il Community Building può essere usato anche nella risoluzione dei conflitti e per facilitare i gruppi che lavorano in situazioni difficili. Scott Peck, ideatore del Community Building, sostiene che la creazione di vere comunità sia "il primo passo verso la Pace".

La creazione della comunità è una sfida e al tempo stesso un atto intenzionale. Il processo di gruppo richiede che i partecipanti siano disposti ad abbandonare le difese acquisite e modalità di comportamento abituali. Attraverso l'incremento del rischio personale, della vulnerabilità e della responsabilità, il gruppo si trasforma gradualmente in un "luogo sicuro" (safe place).
Crescita personale, guarigione e autoscoperta possono verificarsi in quest'atmosfera di inclusione, comprensione e apprezzamento dell'umana diversità.
Qualsiasi gruppo di persone può fare esperienza di una comunità autentica a patto che capisca che cosa gli viene richiesto, la responsabilità che comporta e che abbia la volontà di impegnarsi a fondo nel processo.




Scott Peck.
Ideatore del Community Building e fondatore della F.C.E (Foundation for Community Encouragement). Psichiatra e psicoterapeuta di fama internazionale. Insignito di vari riconoscimenti per la sua attività di pacifista, è autore di numerose pubblicazioni tra le quali Voglia di bene e Vivere di pace pubblicati in Italia da Frassinelli editore.
La Fondazione per la promozione della Comunità è nata nel 1984 e cerca promuovere la comunità come modello di vita, insegnandone i valori e i principi nella pratica del Community Building. In questi anni ha operato in campi diversi, dall'educazione al business, promuovendo centinaia di seminari e raggiungendo paesi come la Cina, il Pakistan, la Russia, Taiwan, Africa e Australia. In Europa ha operato principalmente in Inghilterra, Croazia e Slovenia, e ultimamente anche in Italia.


Rusty Myers.
"Il Community Building è nato dall'esperienza e dal lavoro di Scott Peck. Dopo la popolarità derivatagli dalla pubblicazione del suo libro "Voglia di bene" gli fu chiesto di tenere delle conferenze, ma lui non era soddisfatto (come non lo sono io) della modalità tipica di una conferenza. Egli aspirava di più ad uno scambio reciproco.
Nella sua attività di psicoterapeuta aveva utilizzato inizialmente un metodo di terapia di gruppo chiamato Tavistock che fu sviluppato dopo la seconda guerra mondiale per aiutare la reintegrazione dei soldati dopo il ritorno a casa. Era un modello di gruppo basato sul confronto, ma Peck sentì presto un forte interesse anche verso pratiche di tipo spirituale: conosceva la pratica dei Quaqueri che credono che lo spirito possa muoversi all'interno di ognuno di noi ed esprimersi verso l'esterno, questo loro intendono con 'l'essere mossi a parlare'. Era anche consapevole della validità degli incontri degli Alcolisti Anonimi. Era certo che gli individui possono discernere da soli ciò di cui hanno bisogno, per se stessi e per il gruppo. E così invece di fare conferenze lui faceva riunire le persone e proponeva alcune istruzioni a cui attenersi, semplici suggerimenti che sono il risultato dell'integrazione tra queste tre modalità di relazione da lui esplorate.
Da allora abbiamo facilitato non solo seminari aperti al pubblico, ma abbiamo anche lavorato nelle prigioni con carcerati, secondini e istituzione; nelle imprese piccole e grandi, agenzie governative e anche in situazioni di conflitto dove le persone si sparavano addosso.
Oggi stiamo lavorando in Sri Lanka, dove attualmente ha luogo un massacro; in Bosnia stiamo aiutando le donne che sono sopravvissute alle violenze sessuali nei campi. Il primo intervento è stato fatto con queste donne e le mogli dei soldati che avevano commesso le violenze.
Questo tipo di lavoro può essere adattato a molte situazioni, anche piuttosto difficili."

(Rusty Myers - incontro del 30-11-'98)

Che cosa hanno detto di questa esperienza alcuni partecipanti:

…Ha dato risposta al mio profondo desiderio di essere parte di un gruppo che si impegna a lavorare attraverso le cose con rispetto e fiducia.


…E' stato come ritornare a casa.


…non dissimile da un parto: alla fine del seminario ero esausta, ma così consapevole del dono straordinario che era adesso parte di noi.


…Un'esperienza di profondo apprendimento e di crescita raggiunti in così breve tempo che sarà per sempre con me. Non la dimenticherò mai.

(estratto da una lettera inviata a tutti i partecipanti dopo un C.B)

… Mi sono innamorata, mi sento trapassare da quella gioia violenta che solo un incontro straordinario può produrre. E voi siete i responsabili di tutto questo: voi santi o cialtroni, super donne o cenerentole, convinti o così così, assenti o presenti, voi, tanti piccoli omini, voi mi avete preso il cuore; mi avete restituito una giovinezza matura che mi ripaga del mio gran vagabondare solitario, guidata solo da un'ostinata intuizione sull'esistenza da qualche parte di un senso, un suono, forse un di un cerchio in cui posare il mio fagotto e riconoscermi…e poi finalmente disintegrarmi per rinascere ancora, libera di coltivare con altri quel desiderio pazzesco di restituire all'uomo la sua pace. (Giuliana)

Il più profondo sogno

Ah, il mio più profondo sogno, la mia più profonda aspirazione, qual è?
Per un attimo sono toccata da un vuoto strano: c'è qualcuno laggiù che mi parla?
…Vorrei essere, soltanto essere.
E poi aiutare tutti gli esseri a essere…
Aspiro alla semplicità, al lasciarmi fluire
Non voglio avere un sogno prefissato: vorrei lasciare che la meta si trasformasse in viaggio
Il viaggio in una meta.
Vorrei che più e più persone provassero il Community Building, affinchè il seme venga gettato nel terreno di questa razza umana. Perché è di questo che sto parlando:
il mio sogno è di entrare nella razza umana, diventare o ridiventare umana…
E fare in modo che altri sentano così la propria umanità, lasciando che questa li porti là dove ce n'è più bisogno:

Che l'umano parli all'umano
Che la sua voce si levi
da sotto alle piaghe
di questo mondo fatuo
Che parli, che insegni, che danzi
Ciò che di sacro è rimasto in noi
Sia infine svegliato, riesumato, risorto!
Che tutti gli esseri possano entrare nella sacralità della vita
Guardando con fiducia il momento presente
Siano liberati dalla paura
Che tutti gli esseri possano entrare nella Comunità della vita.


(Sandra)

(da "Buone Notizie", anno 2001 n°1)