È
la notte di un'attesa,
non di una vaga speranza ma di un'attesa. Attendiamo una teofania di cui non conosciamo che il luogo, e il luogo si chiama comunità. Martin Buber |
"Il senso della comunità non vige là dove nella comunanza,
ma senza comunione, si cerca di strappare a un mondo riluttante un diverso ordinamento
conforme ai propri desideri. Si trova invece dove la battaglia combattuta viene
iniziata in una comunità lottante per la sua vera comunione
La collettività non è unione, ma affastellamento: individui messi
insieme con individui, armati insieme, allineati insieme; tra uomo e uomo vi
è soltanto il quantitativo di vita sufficiente per incitare il passo
di marcia. Ma la comunità che diviene consiste non più nell'essere
uno presso l'altro, ma nell'unione di persone che, anche se tendono tutti insieme
verso un fine, sperimentano sempre uno scambio dinamico fra Io e Tu: la comunità
vera è divenire
"
Questo passo di Martin Buber mi risuona come un'eco di qualcosa che ho avuto
la fortuna di sperimentare nei tanti seminari di community building a
cui ho partecipato, durante quel processo faticoso e bellissimo di diventare
comunità.
L'idea che la pace sia qualcosa da costruire non è difficile da
comprendere. Ma a volte capire, sapere non basta. Spesso la difficoltà
più grande rimane quella del come riportare nella vita quotidiana,
nelle relazioni, nei gruppi di lavoro e nelle varie situazioni di vita ciò
ho compreso.
Nel mio cammino di ricerca e quindi di ricerca della pace dentro e fuori di
me ho incontrato qualcosa che mi ha aiutata e mi aiuta molto a colmare la 'lacuna
del come'. Attraverso il lavoro di costruzione della comunità - community
building - adesso posso, insieme agli altri compagni di viaggio, gettare
delle basi più concrete, come prendere i mattoni e costruire insieme
la pace.
È una pratica talvolta molto esigente che richiede l'impegno di ciascuno,
un impegno di tempo ed energia e uno sforzo costante di attenzione e investigazione,
ma al tempo stesso è spaziosa e liberante. È liberante perché
non mi chiede di essere diversa da me, non mi vuole uniformare a un modello
standard prestabilito. Insieme al rispetto delle regole comunemente apprese
mi è richiesto anche di rispettare la mia unicità.
Nel community building le differenze non solo non vengono più
ignorate, ma hanno la possibilità di essere addirittura celebrate. ...La
collettività si basa su una diminuzione della personalità, la
comunità si basa su un aumento di questa e nella conferma della reciprocità.
Lo zelo di quest'epoca per la collettività è la fuga dalla prova
di una vera comunità delle singole persone, dal dialogo vitale nel cuore
del mondo che esige l'impegno di ogni persona. (1)
La pratica della comunità si basa su alcune regole e principi che il
gruppo è invitato a seguire per tutta la durata del seminario. Sono indicazioni
semplici, ma spettacolarmente difficili. Esse facilitano il rispetto e la comunicazione
autentica e a prima vista si può facilmente cadere nel 'tutto qui?' Poi
il gruppo incomincia a praticare e le cose a diventare un po' meno scontate.
Ciascuno diventa gradualmente più consapevole di tutte le volte che non
riesce a seguire quella semplice regoletta. Anche il gruppo diventa più
consapevole di se stesso. E così inizia un viaggio in cui tutti sono
protagonisti, tutti egualmente importanti. Prima di trasformarsi in una vera
comunità il gruppo deve attraversare quattro fasi di un processo
chiamato appunto community building.
Queste fasi possono essere più o meno travagliate, come sempre in un
vero processo di crescita alcuni passaggi faticosi o dolorosi; in particolare
in quella fase cruciale descritta come lo stadio del vuoto o dello svuotamento:
qualcosa deve essere lasciato per consentire a qualcos'altro di nascere. È
un po' come un morire e nel gruppo c'è resistenza e paura. Ma nascita
e morte vanno insieme. La morte dei tanti piccoli io e la nascita miracolosa
della comunità.
"Lo svuotamento ..è anche una metafora che suggerisce il fare
spazio per l'Altro o per lo Spirito rimuovendo dallo spazio il proprio ego...questo
risveglio in genere avviene in tempi diversi per ciascun individuo".
(2)
Ma non ci sono garanzie: ogni gruppo è diverso, perché composto
da individui differenti. Ogni gruppo troverà la sua strada. Così
come ogni gruppo incontrerà sulla strada i suoi ostacoli.
Nel community building molto del lavoro che ciascun individuo è
chiamato a fare per 'prendersi la sua parte di responsabilità nel gruppo'
ha a che fare con l'individuare quelli che sono i personali ostacoli
alla comunicazione efficace e autentica. Liberarsi da tutte quelle barriere
che ostacolano la comunicazione: ciò che ostruisce, impedisce. E tutto
ciò che è concretamente d'impedimento alla costruzione della comunità
è di impedimento alla pace. Perché il gruppo è un microcosmo
del gruppo più grande, della comunità globale. Le implicazioni
di questo lavoro sono dunque più ampie. Vanno al di là della specifica
esperienza di quel particolare gruppo o di ciò che 'si porta a casa'
il singolo individuo, come bagaglio di esperienza e di nuove conoscenze su di
sé. In questi anni ho visto, sperimentato e forse compreso un po' di
più quelli che potrei chiamare semi di guerra e semi di pace. Il gruppo
è uno specchio di ciò che accade in altri aggregati umani. Quali
sono le radici del conflitto? Perché persistono nel mondo le guerre e
la violenza? In altre parole in questi anni ho avuto modo di studiare attraverso
un'esperienza diretta quali sono i semi della guerra e quali invece i semi di
pace. E come fare a sradicare i primi e a far crescere e coltivare i secondi?
Solo conoscendo e riconoscendo i semi di guerra, in noi stessi e nel
gruppo, possiamo lavorare concretamente alla pace. Non è facile. Occorre
coraggio: il coraggio di vedere, di guardare profondamente in noi stessi e,
con l'aiuto degli altri, procedere fiduciosamente nel cammino.
Ciò non significa eliminare i conflitti. Anzi, ho potuto notare che uno
degli ostacoli più frequenti in un gruppo che cerca di costruirsi comunità
è proprio la paura e in particolare la paura del conflitto.
E la paura del conflitto genera il conflitto. Di nuovo ci troviamo di fronte
al problema del come: il conflitto esiste, non possiamo coprirci gli occhi e
dire che non c'è, non possiamo reprimerlo, eliminarlo o soffocarlo (tanto
poi ritorna in qualche modo a galla) il conflitto c'è, fa parte della
vita, il problema sta nel come affrontarlo, come ci mettiamo in relazione al
conflitto e con quali strumenti. Il community building è uno di
questi. Per questo prezioso.
Questo strumento ci aiuta a vedere, a 'toccare con mano' che è possibile
attraversare il conflitto scegliendo una via diversa da quella dell'organizzazione
(che elimina il caos ma non crea la comunità) e cioè grazie a
quello svuotamento che costituisce il terreno ideale per ricevere il "dono
della comunità". Ma ho dovuto sperimentare la difficoltà
del caos per arrivare a capire concretamente di che cosa mi devo
'alleggerire'. Per esempio, all'inizio posso genericamente pensare che per essere
in pace con gli altri devo liberarmi dai miei pregiudizi. Un pensiero un po'
idealistico oltre che generico. Il lavoro di costruzione della comunità
è più concreto. Non mi chiede di liberarmi in un momento di tutti
i miei pregiudizi ma solo di quel particolare pregiudizio che ho visto
operare in me in quel particolare momento. Il conflitto dentro o fuori
di me ha messo in evidenza qualcosa. Adesso, e cioè soltanto dopo averlo
visto, ho la possibilità di cambiare. Posso passare dalla teoria dei
bei concetti alla sfida della pratica. Praticare davvero la pace.
Le parole di una praticante: "Durante la fine della mattinata del terzo
giorno, dopo le fatiche dei giorni precedenti, lo Spirito sembrava accompagnare
chi si stava svuotando donandogli comprensione e serenità
"
sono molto simili a quelle di S. Peck quando ci parla dello spirito che regna
nel gruppo diventato comunità: "Uno spirito di pace aleggia nella
stanza. C'è più silenzio e tuttavia molto di importante viene
detto. È come una musica. Le persone lavorano insieme con uno squisito
senso del tempo, come fossero un'affiatata orchestra diretta da un invisibile
direttore celestiale
più d'uno percepisce Dio nella stanza."
(3)
Quando il gruppo entra in comunità è ampiamente ricompensato
dello sforzo compiuto. La gioia è il sentimento prevalente, ma
vengono sperimentate anche un'ampia gamma di altre emozioni. Infine il silenzio
e la qualità del silenzio del gruppo lasciano emergere un'energia fresca,
tangibilmente benefica e guaritiva.
Personalmente, è solo quando ritorno a sperimentare insieme a un altro
gruppo di persone la gioia della comunità che mi ricordo di nuovo,
ritorno in contatto con quel valore così reale e tangibile, e
rinnovo il perché del cammino intrapreso -a tratti lungo la strada me
l'ero dimenticato, gli sforzi compiuti mi servono adesso soltanto per apprezzare
di più ciò che abbiamo fatto insieme.
E non ho dubbi, ne è valsa la pena!
NOTE
(1) M.Buber, Il Principio Dialogico, IRSeF 1991, p 57
(2) F.C.E - Foundation for Community Encouragement, L.E.P part IV Leading
from emptiness
(3) S.Peck , Vivere di Pace, Torino Frassinelli 1988, p.97
BIBLIOGRAFIA
M. Scott Peck, Star bene con gli altri, Frassinelli
M. Scott Peck, Voglia di bene, Frassinelli
Sandra Parolin, Meditazione e relazione, Promolibri.
Il Community
Building non è però un apprendimento di tecniche bensì
l'espressione di alcuni principi che sono di vitale importanza nella formazione
della comunità. La creazione
della comunità è una sfida e al tempo stesso un atto intenzionale.
Il processo di gruppo richiede che i partecipanti siano disposti ad abbandonare
le difese acquisite e modalità di comportamento abituali. Attraverso
l'incremento del rischio personale, della vulnerabilità e della
responsabilità, il gruppo si trasforma gradualmente in un "luogo
sicuro" (safe place). |
(Rusty Myers - incontro del 30-11-'98) Che cosa
hanno detto di questa esperienza alcuni partecipanti:
(estratto
da una lettera inviata a tutti i partecipanti dopo un C.B) |
Il più profondo sogno
Ah, il mio più
profondo sogno, la mia più profonda aspirazione, qual è?
Per un attimo sono toccata da un vuoto strano: c'è qualcuno laggiù
che mi parla?
Vorrei essere, soltanto essere.
E poi aiutare tutti gli esseri a essere
Aspiro alla semplicità, al lasciarmi fluire
Non voglio avere un sogno prefissato: vorrei lasciare che la meta si trasformasse
in viaggio
Il viaggio in una meta.
Vorrei che più e più persone provassero il Community Building,
affinchè il seme venga gettato nel terreno di questa razza umana. Perché
è di questo che sto parlando:
il mio sogno è di entrare nella razza umana, diventare o ridiventare
umana
E fare in modo che altri sentano così la propria umanità, lasciando
che questa li porti là dove ce n'è più bisogno:
Che
l'umano parli all'umano
Che la sua voce si levi
da sotto alle piaghe
di questo mondo fatuo
Che parli, che insegni, che danzi
Ciò che di sacro è rimasto in noi
Sia infine svegliato, riesumato, risorto!
Che tutti gli esseri possano entrare nella sacralità della vita
Guardando con fiducia il momento presente
Siano liberati dalla paura
Che tutti gli esseri possano entrare nella Comunità della vita.
(Sandra)
(da "Buone Notizie", anno 2001 n°1)