Il sutra del parcheggio

di Donald Rothberg


DIECI RAGIONI SUL PERCHE' E' DIFFICILE REAGIRE ALLA VIOLENZA ISTITUZIONALE

L'intero mondo è perturbato dalla follia,
a causa delle azioni di coloro
che sono confusi su loro stessi.

(Santideva, "Guida alla vita del bodhisattva")

Siamo seduti insieme in questo parcheggio di Los Alamos (1), mentre le armi nucleari continuano a essere oggetto di ricerca e sono utilizzate come sfondo per la politica estera, anche se la guerra fredda è terminata ormai da un pezzo. Queste armi sono la manifestazione delle istituzioni, della politica e delle prese di posizione culturali della nostra società. In particolare per l'uso che ne viene fatto quali strumenti di minaccia e coercizione e per la contaminazione radioattiva che ne deriva, esse rappresentano una continua manifestazione di violenza.
Ma l'uso di queste armi e le conseguenze che ne derivano - comprese anche le spese che distolgono risorse dai bisogni sociali basilari sono in gran parte tenuti nascosti oppure, quando sono riconosciuti, sono ritenuti normali e accettabili e non visti come esempi di violenza.
Il concetto di violenza strutturale, sviluppato da Johan Galtung (2) e altri, può aiutarci a identificare chiaramente la violenza delle armi nucleari. Galtung, un pioniere degli studi sulla pace, sostiene che l'opposto della pace non è la guerra ma la violenza, ossia il danneggiare direttamente e sostanzialmente gli esseri umani. Galtung e altri hanno proposto una visione molto più ampia della violenza, ossia come violazione dei bisogni e diritti fondamentali dell'uomo, così come sono stati proclamati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite del 1948.
Galtung distingue tre forme di violenza: diretta, strutturale e culturale.
La violenza diretta è il tentativo deliberato di causare danno all'integrità fisica e psichica di una persona attraverso maltrattamento, omicidio, imprigionamento, lavoro forzato, ecc.
La violenza strutturale ha a che fare con il 'normale' e quotidiano funzionamento di istituzioni e scelte politiche. Ad esempio, che le donne afro-americane abbiano una probabilità due volte maggiore di morire di cancro al seno di quelle europee-americane a causa della qualità più bassa delle cure mediche, è una forma di violenza strutturale. Infatti il meccanismo 'normale' delle nostre istituzioni economiche causa un aumento significativo dei rischi di cancro, malattie cardiache, AIDS, depressione, minacce ambientali e morte prematura per i poveri. L'uso che facciamo delle automobili, per fare un terzo esempio, comporta la morte 'accettabile' di 50.000 persone ogni anno.
La violenza culturale comprende il razzismo, il sessismo e l'omofobia, la svalutazione di culture e gruppi particolari; essa può ispirare e giustificare la violenza diretta e strutturale.
Al Buddhist Peace Fellowship Summer Institute del 1992, Sulak Sivaraksa affermò che reagire alla violenza strutturale è al centro del buddhismo socialmente impegnato. Egli sottolineò come avidità, avversione e ignoranza - le radici della sofferenza - si manifestino non soltanto nelle azioni e atteggiamenti individuali, ma anche nelle istituzioni, nelle strutture sociali e nelle scelte politiche. Reagire alla violenza strutturale, però, in quanto attivista spirituale è spesso difficile, per molte ragioni. Vorrei individuarne dieci e metterle in relazione in particolare con l'esperienza che stiamo facendo qui a Los Alamos.

1. Di solito la violenza strutturale ci viene tenuta nascosta
È tipico che la violenza strutturale ci venga nascosta, sia nella 'normalità' degli incidenti automobilistici o nei danni causati dalle sigarette sia nell'emarginazione della sofferenza dei poveri. Chi subisce tale violenza di solito ha poca voce in materia mentre coloro che ce l'hanno e quindi avrebbero la possibilità di farsi sentire pubblicamente, per lo più non sanno.
Il laboratorio di Los Alamos, ad esempio, nel periodo della sua creazione durante la seconda guerra mondiale, è stato deliberatamente tenuto nascosto alla vista del mondo. Il film introduttivo su Los Alamos che abbiamo visto al Bradbury Science Museum (3) si intitola: "La città che non fu mai". Infatti, i primi che lavorarono al progetto Manhattan di Los Alamos durante la guerra, ebbero come indirizzo delle caselle postali di Santa Fe, mentre la città di Los Alamos restò chiusa fino al 1957.
Anche la violenza delle armi nucleari è stata nascosta e persino negata. Stranamente il film non menziona per nulla Hiroshima e Nagasaki, ma mostra invece la fine della guerra con immagini di folle esultanti, baci nelle strade e il solo titolo di un giornale: "Cadono le bombe atomiche". L'esposizione al museo non mostra nulla sugli effetti delle bombe sugli esseri umani, ma solo su basi militari, fabbriche, ponti e mulini!
Al laboratorio, il linguaggio è pieno di eufemismi. L'edificio dove si produssero le prime bombe è chiamato: "Applicazioni ingegneristiche". Le scorie nucleari sono 'reimballate'. Le bombe stesse hanno nomi simpatici o spiritosi come "Piccolo ragazzo", "Uomo grasso", "Michelino", "Romeo", "Priscilla", "Quercia" o "Martin Pescatore".
Anche molti degli "effetti secondari" nella costruzione delle armi nucleari restano nascosti. Richard Rhodes, che ha vinto il premio Pulitzer per la sua storia delle armi atomiche, ritiene che l'elevato costo delle armi sia strettamente collegato alla incuria delle nostre infrastrutture e alla trascuratezza di impellenti bisogni sociali. In Unione Sovietica i costi erano simili e furono un fattore chiave del declino economico che portò al collasso del paese. Molto spesso tale collasso viene presentato come prova che le spese americane sono servite, senza fare però alcuna menzione del nostro declino e del legame che questo ha con il bilancio della 'difesa'.
2. Per vedere chiaramente la violenza strutturale dobbiamo farci strada attraverso fitte trame ideologiche.
Gli sforzi per nascondere la violenza strutturale, si accompagnano a ben elaborate ideologie che sostengono l'opinione secondo cui una particolare forma di violenza strutturale è normale (e quindi che non si tratta propriamente di violenza). Adesso, per esempio, possiamo vedere più chiaramente che in passato alcune delle ideologie che hanno sostenuto il razzismo, il sessismo e l'omofobia istituzionalizzati. Ma ciò è costato molto duro lavoro per molti anni; proprio come nella pratica spirituale, ci vuole un grande sforzo per liberarci dal condizionamento del nostro senso di separatezza.
In base al lavoro di John Thompson (si vedano i suoi Studi sulla Teoria dell'Ideologia) è tipico delle ideologie funzionare in tre modi basilari per mantenere i rapporti di dominio. La legittimazione dello stato attuale delle cose si compie promuovendo le idee che lo sostengono e denigrando quelle che lo contestano. La dissimulazione vieta le idee contrastanti e nasconde tale divieto tramite una sorta di logica organizzata ma non verbalizzata; i problemi creati dal sistema, ad esempio, possono venire rimaneggiati come problemi individuali. La reificazione presenta i cambiamenti inerenti allo stato delle cose come esterni, il modo in cui le cose debbono essere.
Durante questo ritiro, abbiamo incontrato tali forme di ideologia, in particolare nell'impegno del Museo nelle pubbliche relazioni e nelle pubblicazioni del laboratorio. Abbiamo visto la parzialità della mostra: "Gli aspetti benefici delle radiazioni" al Museo Bradbury. Naturalmente non c'era nessuna mostra invece sugli aspetti nocivi. Abbiamo poi visto il film con la cronaca della costruzione della prima bomba atomica, dove all'inizio si alternavano immagini forti del buono (immagini di chiese del New Mexico con candele, preghiere, ecc.) e del cattivo (mitragliatrici naziste e combattimenti), suggerendo chiaramente il ruolo della bomba come strumento del buono contro il cattivo.
Allo stesso modo, Steven Yunger, direttore associato del laboratorio per le armi nucleari, in un discorso del 1999 agli scienziati di Los Alamos, si richiamò al destino storico degli Stati Uniti quale forza disinteressata impegnata per la libertà del mondo:
" (Le armi nucleari) devono servire per impedire ad altri paesi, altri stati, altre entità nazionali, di fare qualcosa che non sia davvero nel nostro interesse nazionale... A volte dimentichiamo quanto sia importante il nostro lavoro. Abbiamo un ruolo decisivo nella storia... Difendiamo la libertà su questo pianeta... Cerchiamo di aiutare altri paesi. Siamo un paese molto generoso. Dunque, una forte difesa è assolutamente necessaria, non solo per gli Stati Uniti, ma anche perché questo paese possa accettare il ruolo che ci è stato conferito dalla storia. Noi non abbiamo cercato di avere un grande impero, non abbiamo cercato di essere il paese più potente del pianeta: in un certo senso ci è capitato."
Parlando con i diversi scienziati con i quali abbiamo pranzato ogni giorno durante il ritiro, ho invariabilmente notato all'inizio della nostra conversazione un moto veloce del loro pensiero speculativo per giustificare le armi nucleari. Uno di loro mi parlò di come sia solo il forte a riuscire nell'evoluzione; un altro del modo in cui le armi nucleari abbiano aiutato a vincere la guerra fredda; un altro dell'importanza delle armi nucleari per impedire l'aggressione di altri e un altro ancora di come il lavoro a Los Alamos garantisca i diritti ai dimostranti come noi! La mia impressione è stata che gli scienziati volevano che noi li vedessimo come individui che vivono con integrità e per una nobile missione e che, all'inizio di ogni conversazione, ci proponevano le loro migliori ma logore giustificazioni.
3. Reagire alla violenza strutturale può essere un lavoro solitario, ci si può sentire marginali, pazzi e senza speranza.
Siamo seduti qui sull'asfalto caldo accanto al nostro Cruise America RV, in un parcheggio lontano, trascorriamo il tempo per lo più in silenzio mentre oltre diecimila impiegati di Los Alamos vanno avanti con il loro lavoro. Immagino che ciascuno di noi durante questo ritiro si sia sentito qualche volta come se stesse facendo qualcosa di strano e si sia chiesto se ciò avrà mai un effetto sull'industria delle armi nucleari. Così come il funzionamento quotidiano delle istituzioni fa diventare normale la violenza strutturale, allo stesso modo fa apparire anormali coloro che la contestano. Tutti noi siamo sensibili sia al giudizio degli altri sia alla interiorizzazione che facciamo di quei giudizi.
4. Siamo tutti coinvolti nella violenza strutturale.
Sebbene a volte possiamo sentirci radicalmente lontani dalla corrente dominante, è anche vero che in molti modi siamo profondamente radicati proprio nelle istituzioni e nelle ideologie che critichiamo. Non possiamo rivendicare facilmente una superiorità morale. Traiamo beneficio dal vivere in un paese ricco, la cui ricchezza dipende in parte dal dominare e minacciare gli altri. Abbiamo tutti collettivamente permesso l'ininterrotta esistenza delle armi nucleari.
5. Rispecchiamo interiormente le forme esteriori della violenza strutturale.
Come i freddi guerrieri e sostenitori del mantenimento dell'arsenale nucleare, anche noi conosciamo la paura e l'ignoranza, sviluppiamo i nostri tipi di 'armamenti', cerchiamo in vari modi di controllare gli altri (e lasciarci controllare) attraverso minacce e collera, formando a volte delle elaborate razionalizzazioni in nostra difesa. Ieri sera, durante la nostra condivisione, Diana Winston ha parlato di come aveva osservato, proprio nel contesto del ritiro, salire alla superficie la propria paura e il proprio desiderio di potere.
A fornire veramente una base più profonda di comunicazione con gli architetti della violenza strutturale è proprio il riconoscimento di avere in comune desideri e paure nascoste. Nelle nostre conversazioni con gli scienziati di Los Alamos, ho notato la mia tendenza a pensarmi nel 'giusto' (anche senza in genere metterla in pratica) e ad entrare in quel tipo di polemiche unidirezionali che sono senza dubbio molto familiari agli scienziati, dati i loro incontri con gli attivisti anti-nucleari. Tale consapevolezza ci aiuta ad andare oltre la retorica ideologica.
6. È un lavoro duro; reagire alla violenza strutturale vuol dire impegnarsi in un lungo lavoro.
Guardare in direzione della violenza strutturale è come il lavoro della pratica spirituale, quando cerchiamo di reagire ad alcune delle radici più profonde della sofferenza. Affrontare temi come il razzismo, il sessismo o l'esistenza delle armi nucleari è come lavorare con una sorta di koan per tutta la vita, proprio come facciamo quando prendiamo il voto del bodhisattva.
Non sempre i risultati arrivano presto e a volte apparentemente non c'è nemmeno nessun risultato. Inoltre dobbiamo anche guadagnarci da vivere e le occasioni di lavoro per coloro che reagiscono alla violenza strutturale sono davvero poche.
Certamente ci sono più occasioni di lavoro e garanzie per perpetuare la violenza strutturale! Perciò spesso affrontiamo scelte difficili e dobbiamo fare dei veri sacrifici. Ma questa è la nostra pratica. Il rabbino Tarfon, un maestro del II secolo in Israele, disse: "Non sta a te finire il lavoro; ma neanche sei libero di desistere".
7. Dobbiamo fare i nostri compiti.
Potrebbe esserci una sorta di ingenuità in un attivismo basato sulla spiritualità, delle buone intenzioni, ma senza un solido fondamento. Possiamo "agire dal cuore" e tuttavia essere del tutto ingenui.
Dovremmo riuscire a mettere insieme analisi e strategie appropriate ed efficaci con la comprensione spirituale. Come lo sciamano, dobbiamo essere capaci di muoverci in mondi diversi. Qui a Los Alamos è molto chiaro che se non facciamo prima i nostri compiti a casa, non saremo presi sul serio dagli scienziati con cui pranziamo ogni giorno.
8. Tendiamo a dimenticare che le istituzioni che sostengono la violenza strutturale possono crollare presto se davvero nessuno crede in loro.
Siamo tratti in inganno dall'apparente solidità delle istituzioni. Dimentichiamo l'impermanenza in generale e anche quanto rapidamente determinati sistemi possano cambiare. Ricordare il collasso del potere sovietico nell'URSS e in Europa orientale o quello dell'apartheid in Sud Africa, ci aiuta a mantenere una visione "a lungo raggio".
Per quanto riguarda le armi nucleari, possiamo ricordare il sondaggio del 1997 in cui l'84% della popolazione degli Stati Uniti disse di sentirsi più sicura se nessun paese avesse posseduto armi nucleari. E possiamo anche ricordare le potenzialità che ci sono ora: la fine della guerra fredda e il conseguente venir meno di molti dei primi ragionamenti a favore delle armi nucleari e l'impegno delle Nazioni Unite perché la prima decade del nuovo millennio sia dedicata alla nonviolenza.
Uno scienziato che lavora a Los Alamos dal 1966 mi ha detto che alla maggior parte di loro piacerebbe vedere abolite le armi nucleari se potessero sentirsi sicuri senza di esse.
9. In questa cultura, gli insegnamenti buddhisti spesso si concentrano più sulle cause personali della sofferenza che su quelle strutturali.
Spesso le nostre preoccupazioni sulla violenza strutturale non sono sostenute dalle comunità spirituali che frequentiamo. Anche se i buddhisti affermano di occuparsi della sofferenza (dukkha), di solito c'è un'enfasi tipica sulla mia sofferenza, piuttosto che sulla sofferenza in quanto tale. Dobbiamo chiarire il rapporto tra la violenza strutturale e la sofferenza personale. Abbiamo anche bisogno di mettere in discussione quanto una pratica spirituale individualistica possa rafforzare il senso di un sé separato. A questo riguardo possiamo imparare dai nostri amici cristiani ed ebrei, in particolare dalla tradizione profetica di sollecitudine per l''altro', che va da Isaia attraverso Gesù fino ai contemporanei come Abraham Joshua Heschel, Martin Luther King e i teologi della liberazione.
10. Tendiamo a dimenticare che amore, saggezza e non dualismo sono più profondi di violenza e negazione.
Trovarci di fronte a una solida violenza strutturale certamente ci mette alla prova. Possiamo spesso pensarci deboli se paragonati ai sistemi che contestiamo. Possiamo sentirci isolati e dimenticare l'amore e la saggezza profondi che stanno al centro del nostro essere.
Questo indica l'importanza vitale sia della pratica comunitaria che di quella spirituale; abbiamo bisogno di trovare rifugio nell'amata comunità. Ed abbiamo bisogno di tornare alle nostre esperienze vissute di amore e saggezza. Il continuo accesso al nutrimento spirituale è proprio ciò che sostiene nel "lungo lavoro".
Nel 1967, Martin Luther King Jr. disse:
"La nostra unica speranza oggi risiede nella nostra abilità di riconquistare lo spirito rivoluzionario e uscire in un mondo a volte ostile, dichiarando eterna lotta alla povertà, al razzismo, al militarismo… Questo richiamo ad una fratellanza mondiale che porta sollecitudine per il prossimo, oltre la propria tribù, razza, classe e nazione, è in realtà il richiamo per un totale e incondizionato amore per tutti gli esseri umani… Quando parlo di amore… parlo di una forza che tutte le grandi religioni hanno visto come il supremo principio unificatore della vita. L'amore è in qualche modo la chiave che apre la porta che conduce alla realtà ultima"


da Turning Wheel, Inverno 2001
Traduzione di Ivan Vandor

Questo articolo è tratto da un discorso tenuto nel corso di un ritiro interreligioso al Los Alamos National Laboratory nel settembre del 2000.

Donald Rothberg insegna alla Saybrook Graduate School dove ha promosso un corso sulla spiritualità socialmente impegnata. Ha scritto e insegnato molto sul buddhismo impegnato. È coautore del libro Ken Wilber in Dialogue. Fin dalla sua fondazione nel 1995, è stato un costante punto di riferimento del programma di base della Buddhist Peace Fellowship (BPF).


Note
1) Gli USA hanno speso quasi sei bilioni di dollari per le armi atomiche dal 1940. Attualmente le spese per progettare, costruire e sperimentare armi nucleari sono maggiori che durante la guerra fredda.
Il bilancio per il solo laboratorio di Los Alamos supera l'intero bilancio dell'Organizzazione Mondiale per la Sanità. Gli USA mantengono un arsenale di circa 10.000 armi nucleari; a Los Alamos ogni anno vengono sotterrati circa 54.000 bidoni di scorie derivate per la maggior parte dal lavoro per le armi nucleari.
2) Johan Galtung è professore di Studi per la Pace in varie università di diversi paesi e ha pubblicato numerosissimi saggi e libri. Tra le edizioni in lingua italiana ricordiamo: Gandhi oggi, Buddhismo una via per la pace entrambi presso le Edizioni Gruppo Adele.
3) La struttura del Bradbury Science Museum viene utilizzata per fornire un primo orientamento ai nuovi assunti.