Ora conosco veramente la vergogna

TESTIMONIANZA

UNA STUDENTESSA OLANDESE DI ZEN E TRE ROSHI GIAPPONESI SI SCRIVONO SUL RUOLO SVOLTO DALL'ESTABLISHMENT ZEN NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.
Nell'ultimo secolo del primo millennio della nostra era, un monaco chiese al maestro Zen cinese Yun Men: "Qual è l'insegnamento di una vita intera?". Yun Men rispose: "Una dichiarazione appropriata". Alla fine del secondo millennio, una studentessa di Zen in Olanda, Ina Buitendijk, ha reso palese l'insegnamento di Yun Men.
Non molto tempo dopo che Yun Men era vissuto, lo Zen cominciò ad avere una maggiore autorità in Giappone. Delle due scuole più importanti che vi prosperarono, la Zen Soto ottenne vasto seguito tra la popolazione, ma lo Zen Rinzai divenne probabilmente più influente, perché fu seguito dalla classe della nobiltà e dei guerrieri.
Tuttavia per la maggioranza degli studenti Zen occidentali non era chiaro fino a che punto i maestri Zen e l'establishment militare giapponese fossero interdipendenti finché Brian Victoria non ha pubblicato il libro Lo Zen alla guerra, in cui descrive nei particolari la complicità e il sostegno attivo delle autorità Zen nelle imprese razziste e imperialiste culminate con la seconda guerra mondiale. La scuola Rinzai si dimostrò particolarmente suscettibile alle critiche a questo proposito.
Fortemente scossa dalle rivelazioni di Lo Zen alla guerra, Ina Buitendijk decise di mandare una lettera, prima ai principali rappresentanti della sua tradizione, poi agli altri maestri Zen, per esprimere che cos'aveva provato circa tutto ciò che aveva appreso, e per proporre di chiedere scusa. Parecchi maestri Zen risposero alla lettera con le loro osservazioni: tre fra le risposte pervenute sono qui presentate in modo leggermente abbreviato. Queste lettere hanno contribuito a promuovere la discussione che si sta svolgendo nelle scuole Rinzai su questo argomento: una discussione difficile, ma di vitale importanza.
Così Ina Buitendijk spiega che cosa la spinse ad agire:
Nell'ottobre 1999, il mio maestro di Zen in Germania mi parlò del libro di Brian Victoria. Fino ad allora non mi ero mai resa conto che il buddhismo Zen era stato coinvolto nelle guerre atroci che il Giappone aveva scatenato in Asia nella prima metà del XX secolo. Ne rimasi profondamente colpita. Io sono non soltanto una persona che si dedica attivamente allo Zen, ma ho anche sposato un ex prigioniero della guerra del Pacifico.
Dal 1942 mio marito, che allora aveva sei anni, e la sua famiglia furono internati per tre anni dall'esercito giapponese nelle allora Indie olandesi orientali. Le condizioni di vita nei campi di prigionia erano abominevoli. Circa il 13% degli internati morì, prevalentemente a causa della denutrizione e della mancanza di cure mediche. Pare che molti di questi bambini vissuti nei campi abbiano avuto esperienze traumatiche e più tardi, nel corso della loro vita, abbiano dovuto ricorrere a lunghe terapie. Oggi essi ricevono speciali benefici dal governo olandese, come la parte ebrea della popolazione.
Leggendo Lo Zen alla guerra, mi sono sentita tradita da ciò che molti stimatissimi preti e maestri buddhisti Zen hanno detto e fatto durante e dopo la guerra in Asia. Uno di coloro sui quali è stato dato un giudizio particolarmente negativo è Yasutani Roshi, il fondatore della mia tradizione, il Sanbô-kyôdan. Dissi al mio maestro che volevo scrivere a un maestro Zen giapponese e raccontargli la sofferenza delle persone come mio marito, per la quale consideravo corresponsabili le autorità del buddhismo Zen; lui mi suggerì di scrivere al capo del Sanbô-kyôdan allora in carica, Jiun Kubota Roshi.
Scrissi a Kubota Roshi e gli spiegai come mi sentivo. Descrissi la miseria nei campi e gli effetti che aveva avuto sulla vita di molte persone e delle loro famiglie. Dissi quanto mi ero sentita delusa leggendo il libro di Victoria. Menzionai l'odio e il risentimento delle vittime, e osservai che non ci sarebbe mai stata la pace se le mancanze del passato non fossero state esaminate a fondo. Gli chiesi rispettosamente se per la sua organizzazione fosse possibile assumersi la responsabilità degli errori del passato e rilasciare una dichiarazione ufficiale, e in tal modo recare sollievo ai cuori e alle menti di olandesi e giapponesi.
Kubota Roshi rispose annunciando un articolo che sarebbe stato pubblicato sulla rivista del Sanbô-kyôdan. Le sue scuse mi stimolarono a scrivere altre lettere a maestri e monasteri (raccolsi gli indirizzi su Internet: comprai un computer proprio per poterlo fare). Molti di loro non risposero. Alcuni invece sì: Hirata Seiko Roshi fu il primo maestro Zen Rinzai a chiedere ufficialmente scusa. Anche Shodo Harada Roshi e Kono Taitsu Roshi mandarono lettere di scuse. Di sua iniziativa, Kono Roshi inoltrò la mia lettera ad altri maestri Zen, e mi mandò copie dei discorsi di dharma che aveva pubblicato per fare ammenda e scusarsi del ruolo del Rinzai nella guerra.
L'ammissione degli errori del passato e il riconoscimento della sofferenza che è stata inflitta possono essere un importante passo avanti verso la reciproca comprensione delle vittime e dei persecutori. La presa di coscienza degli errori che vennero compiuti in nome della religione ci fa tutti riflettere sull'universale inadeguatezza degli esseri umani ad agire correttamente. Possa tutto ciò creare una volontà più forte di perdonare e possa contribuire alla pace fra gli esseri di buona volontà.

Ina Buitendijk

Qui di seguito riportiamo alcuni passi da tre fra le lettere che Ina Buitendijk ha ricevuto in risposta.


da Hirata Seiko Roshi
Abate capo di Tenryu-ji, Kyoto, Giappone

Ho letto la Sua lettera con un profondo dispiacere e rimorso. [Mi ricordo ancora quando] mi resi conto delle atrocità commesse dalle truppe giapponesi [durante la guerra], e della crudeltà con cui furono trattati coloro che erano stati internati nei campi di prigionia. Rimasi profondamente scosso quando venni a conoscenza di tutto ciò, e ancora oggi non posso dimenticare l'intensa vergogna che sentii per il comportamento inumano dei miei connazionali.
È indubbio che durante la guerra molti miei superiori nella scuola Zen Rinzai violarono l'essenza del più importante precetto del buddhismo, quello contro il prendere la vita, offrendo il loro sostegno al regime militarista. Lasci che io porga le mie più sentite scuse per le loro colpe, che furono, molto più di qualsiasi altra cosa, un allontanamento dal voto originario del buddhismo di portare pace e salvezza a tutti gli esseri viventi.
Lo Zen fu introdotto in Giappone dalla Cina nel corso del XIII secolo, e ben presto esercitò un influsso determinante sulla cultura e sul pensiero tradizionali del popolo giapponese. Influenzando un gran numero di arti come il dramma Noh, la progettazione di giardini, l'architettura, la pittura con l'inchiostro, la calligrafia e la cerimonia del tè, lo Zen stimolò lo sviluppo di una cultura a favore della vita, pervasa di uno spirito di pace e compassione, una cultura che ha arricchito non solo il Giappone, ma anche il resto del mondo. Dal XV al XIX secolo, quando il paese fu governato dalla classe militare, nacque il concetto che "la-spada-e-lo-Zen-sono-una-cosa-sola" (kenzen itchi). In origine, il kenzen itchi considerava la spada non come uno strumento di morte, ma come il simbolo dell'atto di tagliare via l'attaccamento e il desiderio fondato sull'io, allo scopo di acquisire saggezza e compassione. La spada, in altre parole, non era una spada di morte (satsujin ken), ma una spada di vita (katsujin ken). Il prete Rinzai Takuan è un rappresentante dei maestri Zen che insegnarono questo modo di pensare ai governanti guerrieri della nazione.
Tuttavia, nel 1868, con l'apertura del Giappone al mondo all'epoca della Restaurazione Meiji, incominciò un graduale allontanamento dallo spirito originale dello Zen. Influenzati dalla marea di sentimenti militaristi e nazionalisti che accompagnarono gli sforzi giapponesi di sopravvivere e svilupparsi in un mondo dominato dalle grandi potenze europee, troppi preti Rinzai cominciarono a dare un sostegno attivo alla mentalità della "spada di morte" dei militaristi. Questo allontanamento dagli autentici insegnamenti Zen fu il risultato dell'ignoranza e dell'indifferenza dei preti Rinzai verso la nostra tradizione e filosofia religiosa, verso la storia e verso la situazione generale del tempo.
Siamo ora entrati in un nuovo millennio. In questo periodo la chiesa cattolica romana ha rinunciato alla politica di proselitismo aggressivo che ha praticato per secoli, il Vaticano ha adottato una posizione di coesistenza con le altre religioni del mondo, e il papa Giovanni Paolo II è stato in Medio Oriente per chiedere scusa dei crimini ivi compiuti dalla Chiesa nei secoli del passato. Noi nelle organizzazioni Zen Rinzai in Giappone dovremmo comportarci nello stesso modo, riconoscendo sinceramente gli errori derivanti dalle nostre inclinazioni passate per la "spada di morte", riaffermando il nostro impegno a praticare e a risvegliarci, e rimanendo saldamente nel vero spirito del buddhismo Zen, poiché ci adoperiamo per realizzare la pace nel mondo e una genuina compassione verso tutti gli esseri.
Nella tradizione del buddhismo Zen Rinzai, io sono il nipote dharmico di Seki Seisetsu, un maestro Zen particolarmente criticato da Brian Victoria. Vorrei cogliere l'occasione di porgere le mie sincere scuse per le parole e le azioni di Seisetsu Roshi che diede il proprio appoggio ai militaristi giapponesi. Inoltre, a nome di tutta la scuola Tenryu-ji del buddhismo Zen Rinzai, vorrei esprimere il mio sincero rimorso per i crimini commessi dalle forze armate giapponesi durante la guerra del Pacifico, e per l'aiuto dato dai membri del clero Rinzai al regime militarista. Il mio più sentito desiderio è che questa lettera possa in qualche modo lenire la pena interiore di coloro che hanno sofferto così lungamente.

da Shodo Harada Roshi
Monastero di Sogen-ji, Okayama, Giappone

La Sua recente lettera mi ha fatto profondamente riflettere su me stesso, come giapponese, come essere vivente e come persona che sta facendo il possibile per guidare gli altri nella pratica del buddhismo Zen. Lei riceverà senz'altro una risposta da molti dei maestri Zen Rinzai a cui ha scritto; anch'io vorrei cogliere quest'occasione per prendere in considerazione le questioni molto importanti da Lei sollevate.
Vorrei cominciare porgendo, come giapponese, le mie più sentite scuse a Suo marito e a tutti gli altri che hanno sofferto, e continuano a soffrire a causa delle azioni del mio paese durante la seconda guerra mondiale.
Io sono nato nel 1940, perciò i miei ricordi degli anni della guerra sono vaghi e scarsi. L'opinione più radicata che mi sono fatto di ciò che avvenne durante la guerra risale al mio maestro, Yamada Mumon Roshi, sotto la cui guida cominciai ad allenarmi nella pratica dello Zen nei primi anni '60. So che Mumon Roshi è stato particolarmente criticato in Lo Zen alla guerra, e porgo le mie sincere scuse a suo nome per qualsiasi cosa possa aver fatto nell'aiutare lo sforzo bellico giapponese.
Tuttavia, vorrei qui riferire le mie esperienze con lui. Dal 1967 in poi, visitò una, due o tre volte all'anno i luoghi delle battaglie della seconda guerra mondiale nel Pacifico meridionale, scusandosi con le persone di quell'area, costruendo santuari commemorativi, e celebrando cerimonie alla memoria di tutti coloro che erano caduti in combattimento, fossero o meno giapponesi.
Visitammo sempre il Pacifico meridionale con un sentimento di contrizione. Quando ci trovavamo in quei luoghi, le atrocità commesse dalle truppe giapponesi erano piuttosto evidenti, e io rimanevo con un profondo senso di pena e umiliazione. Mi resi conto che per molta, moltissima gente la guerra non era ancora finita. A livello personale ho cercato di riparare a tutto ciò esprimendo pentimento per le azioni compiute dal Giappone in tempo di guerra, dovunque fosse appropriato, durante i miei viaggi per dare insegnamenti negli Stati Uniti, in Danimarca, in Ungheria, in Polonia e in Svizzera. Ma, come Lei ha giustamente rilevato, deve ancora essere fatta una dichiarazione pubblica di scuse dalle varie scuole del buddhismo Zen Rinzai a un livello ufficiale, e da numerosi maestri Zen su un piano individuale.
Particolarmente riprovevole è la mancanza di qualsiasi dichiarazione ufficiale di rammarico da parte delle organizzazioni Zen Rinzai. Questo è un problema serio di cui noi preti Zen dobbiamo assumerci la responsabilità. Ora è passato più di mezzo secolo dalla resa del Giappone, ma bisogna dire che le nostre istituzioni devono ancora adottare un atteggiamento chiaro per quanto riguarda il loro ruolo nella guerra. Farò tutto ciò che potrò per favorire un'ammissione pubblica e ufficiale di complicità e un riconoscimento di rammarico.
Nella Sua lettera è sottintesa una sottile domanda: se la vita del buddhismo Zen deve fluire dalla vera fonte dell'amore universale, come hanno potuto i maestri di questa tradizione non solo non adoperarsi il più possibile per fermare il conflitto, ma offrire in realtà il loro appoggio ai militaristi? A questa domanda io non ho potuto rispondere, ma l'ho rivolta a me stesso. Esaminando i miei trent'anni di pratica nel Sentiero e la saggezza che ne è scaturita, mi sono chiesto: "Come avrebbe potuto la mia pratica Zen essermi utile in un tale frangente? Fino a che punto sarei riuscito a resistere alle forze dell'autorità del governo? Per quanto tempo sarei riuscito a seguire l'ammonizione di Shakyamuni di "evitare ogni conflitto", la regola d'oro del vero spirito del buddhismo, nel correggere gli errori del mio governo? La mia pratica è così profonda nel contenuto e nella sua funzione?
Sono passati da 2000 a 2500 anni da quando i messaggeri dell'amore umano universale, Cristo, Shakyamuni, Confucio, Socrate, hanno esposto i loro insegnamenti. Eppure ancora oggi continuiamo a combatterci e a ucciderci in una guerra dopo l'altra. Possiamo soltanto concludere che la religione ha perso non solo la capacità di guidare la gente che soffre, ma anche il suo potere di autopurificazione.
Allora perché i maestri Zen giapponesi furono incapaci di organizzare qualsiasi resistenza contro l'autorità del governo? Perché furono così incapaci di opporsi alla guerra? È importante per il futuro che noi cerchiamo di capire questi problemi. Io penso che le cause di tali mancanze siano da ricercare nella storia della nazione, in parecchi secoli trascorsi. Durante il periodo feudale Tokugawa (1600-1868) i templi divennero, di fatto, organi governativi, usati per la registrazione e il controllo dei cittadini. Poco dopo la Restaurazione Meiji (1868), quando il Giappone abbandonò la sua politica isolazionista e aprì le porte al mondo, il buddhismo fu attivamente represso in favore dello Shinto di Stato, che il governo favorì come mezzo per creare una coscienza nazionale unitaria. In alcune aree del Giappone il buddhismo fu quasi completamente distrutto. Con la crescita del militarismo, la religione fu strettamente controllata e ogni forma di ideologia venne messa sotto osservazione. Etichettato come "religione straniera", il buddhismo fu posto in condizione di dover provare la sua lealtà allo stato. Il risultato di tutte queste costrizioni fu un buddhismo che giunse all'età moderna in gran parte privo di contenuti.
Il Giappone è oggi una nazione moderna che ha perso le sue basi spirituali. Con l'inizio del periodo Meiji, il buddhismo fu quasi del tutto privato della sua reale forza di guida religiosa. Come recuperare la sua spiritualità e quale forma darle sono due dei problemi più importanti che il Giappone contemporaneo si trova ad affrontare.
È dubbio che lo Zen in Giappone possa dare un aiuto per risolvere questi problemi. Sebbene oggi nei monasteri Zen ci siano alcuni ricercatori sinceri, la maggioranza dei monaci si trova lì solo per ottenere titoli per diventare prete. Ora in Occidente ci sono persone che si impegnano con la massima serietà per tentare di realizzare gli insegnamenti e lo spirito dello Zen.
Il sentiero del risveglio realizzato da Shakyamuni in India si diffuse a oriente fino alla Cina proprio mentre declinava in India, e a oriente fino al Giappone allorché cominciò a declinare in Cina; ora, proprio mentre declina in Giappone, si sta diffondendo a oriente attraverso gli oceani fino all'America settentrionale e all'Europa. Lo Zen trascende i confini nazionali; anzi, lo Zen ha rinunciato al suo vero spirito e forza proprio dove si è identificato con la nazionalità.
Lo Zen non ha nazionalità, e la sua verità, il reale risveglio del Buddha Shakyamuni, è egualmente valida per tutti. È assai più probabile che questa verità sia sostenuta e rafforzata dove lo Zen è praticato con ardore e devozione, piuttosto che dove è praticato prevalentemente in modo formale. Nel mio tempio, Sogen-ji, ci sono in questo momento quaranta persone che si stanno esercitando, le quali rappresentano quindici nazioni da tutto il mondo; ma, mi dispiace dirlo, neppure uno di questi studenti è giapponese.
In questo modo, attraverso gli sforzi di numerosi praticanti in America e in Europa, sta per aprirsi un Sentiero, sta per nascere una nuova dinamica per la salvezza umana. Ho piena fiducia in questi praticanti, e ho deciso di dedicare gli anni che mi rimangono a guidarli con l'esperienza che ho accumulato nella vita e nella pratica.
Questo è anche il mio tentativo di espiare in qualche modo e in piccola parte i grandi errori commessi dal Giappone in passato, e di offrire qualche forma di riparazione per i tormenti vissuti da tante persone come Suo marito. Le loro sofferenze non devono essere state vane. Prego affinché in questo modo io possa dimostrare che il Risveglio dello Zen, il Risveglio del Buddha Shakyamuni, non ha tradito l'umanità.
Questa risposta alla Sua lettera è tutt'al più imperfetta, ma mi auguro che Lei ne possa capire l'intenzione. E spero con tutto il mio cuore che Lei possa continuare a praticare e raggiungere la piena realizzazione del Sentiero.

Con i più sentiti ringraziamenti,
Shodo Harada

da Kono Taitsu Roshi
Capo del Monastero di Shofuku-ji, Kobe, Giappone

Ho letto la Sua lettera con attenzione e, in qualità di successore di Yamada Mumon Roshi al Monastero Zen di Shofuku-ji, sono stato felice di avere l'opportunità di rispondere alle domande molto importanti da Lei poste.
Noi buddhisti giapponesi abbiamo commesso molti errori sia prima sia durante la seconda guerra mondiale. Questa è una questione che ha provocato in me profonda preoccupazione anche prima della pubblicazione di Lo Zen alla guerra. In molte occasioni ho richiamato l'attenzione su queste mancanze del passato, inoltre ho fatto pressione sulle autorità della scuola Myoshin-ji affinché chiedessero ufficialmente scusa e [ho sollecitato anche le scuse] della scuola Rinzai nel suo complesso.
Credo che Lei sia a conoscenza delle visite di Mumon Roshi dopo la guerra alle zone dei campi di battaglia, per tenere cerimonie religiose commemorative per i caduti della guerra e offrire preghiere di pentimento e cordoglio per le vittime di entrambe le parti, soldati e civili. Accompagnai il Roshi in quasi tutti questi viaggi.
Ciononostante, anche dopo il 1945 le azioni di Mumon Roshi furono talvolta discutibili, come quando chiamò la guerra del Pacifico una "guerra santa" di indipendenza per l'Asia, encomiò gli "spiriti eroici" dei soldati morti, e chiese l'aiuto del governo per il Santuario Yasukuni (dedicato alla venerazione dei militari caduti in guerra). Sebbene la sua motivazione fosse il desiderio di confortare le famiglie rimaste prive [dei soldati caduti], pur tuttavia non riuscì a riconoscere le atrocità delle truppe giapponesi, il tradimento degli insegnamenti del Buddha da parte delle scuole buddhiste giapponesi e l'attiva cooperazione offerta dalle autorità delle scuole Rinzai nell'incitare alla guerra, comportamento del quale esse devono ancora pentirsi. Così le sue dichiarazioni ebbero l'effetto di confermare la validità della guerra e idealizzarla. Porgo le mie sincere scuse per ciò che lui disse.

Una volta il maestro Zen Wu-tsu Fa-yen disse:"Ho praticato per vent'anni, e ora conosco veramente la vergogna". Udendo le sue parole, il maestro Ling-yuan, cugino nel dharma di Wu-tsu, affermò: "Come sono meravigliose queste tre parole, 'Conosco la vergogna!'".
La vergogna di cui parla Wu-tsu non è, ovviamente, quella che si prova quando non si riesce a capire il dharma. È la vergogna di aver realizzato il dharma, eppure non essere capaci di manifestarlo liberamente nelle attività della propria vita quotidiana. Wu-tsu aveva raggiunto il risveglio e ottenuto la pace della mente, e tuttavia non aveva ancora pienamente integrato la sua esperienza nella pratica quotidiana del Sentiero del Buddha.
(1)

Le azioni dei maestri Zen giapponesi durante la guerra ci fanno capire quanto sia difficile mettere in pratica, senza sbagliare, il buddhadharma nella propria vita quotidiana. Sebbene questi maestri fossero profondamente illuminati, nondimeno erano esseri umani e pertanto soggetti all'errore. Proprio per questo Wu-tsu sottolineò l'importanza di conservare sempre uno spirito di pentimento e vergogna.
Così, a meno che non ci pentiamo di come abbiamo tradito in passato gli insegnamenti del Buddha e dei Patriarchi, noi preti della scuola Rinzai non abbiamo futuro come veri buddhisti. Sono passati già più di cinquant'anni da quando la guerra è finita. Mi vergogno profondamente del fatto che la scuola Rinzai debba ancora chiedere ufficialmente scusa. Continuerò pazientemente a lavorare su questo problema.
La Sua lettera ha avuto un effetto molto positivo su questa questione. Prego affinché Lei continui a praticare il vero insegnamento del Buddha.


(1) Dal discorso di Kono Taitsu Roshi "Ora è tempo di conoscere veramente la vergogna", tenuto nel 1995 per la cerimonia commemorativa dell'Imperatore Hanazono e Nippo Soshun Zenji.

da Turning Wheel, Spring 2002.
Traduzione di Antonella Comba